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IL MATTINO
29 maggio 2003


Faccia a faccia / Raffaele La Capria, Predrag Matvejevic’
e il progetto di un libro a quattro mani su Napoli


di Titti Marrone

Si sono conosciuti attraverso i rispettivi libri, come quasi sempre capita agli scrittori. Però tra loro è avvenuta un’altra cosa che tra scrittori non capita di frequente: mentre Raffaele La Capria leggeva Breviario mediterraneo di Predrag Matvejevic’, e questi leggeva Ferito a morte di La Capria, ciascuno trovava nelle pagine dell’altro, come nel riflesso di uno specchio, la propria stessa mediterraneità. Così l’incontro diretto è diventato inevitabile.

La prima volta che Matvejevic’ e La Capria si trovarono uno di fronte all’altro fu a Capri nel 1991, quando allo scrittore croato venne assegnato quel premio «Malaparte» inventato da Graziella Lonardi e organizzato con lungimiranza, semplicità e passione, la cui scomparsa dal panorama dei premi nostrani non smette di farsi sentire. Per quell’incontro, ciascuno dei due ha una propria versione, un proprio ricordo. «Io dovevo presentare Mediterraneo», dice La Capria, «che mi aveva molto colpito: questo croato che non conoscevo era riuscito a fare poesia evitando i luoghi poetici e gli stereotipi sul Mediterraneo». E Matvejevic: «La guerra nei Balcani era cominciata, io mi preparavo all’esilio. Quando arrivai da Graziella Lonardi, di La Capria avevo letto solo Ferito a morte. Trovai queste cinque persone che conversavano tra loro. Dalla voce capii qual era La Capria. Nelle parole che pronunciava ritrovai le intonazioni della sua scrittura, dalle inflessioni riconobbi la sua poetica».

Da allora l’incontro è diventato amicizia, scoperta di affinità. Confluite in un libro, L’altra Venezia (ed. Garzanti) presentato ieri sera a Laboratorio Mediterraneo da Caterina Arcidiacono, Michele Capasso, Massimo Galluppi, Franco Mazzei, Nullo Minissi, Gino Pisanò, scritto da Matvejevic’. Il libro reca un’introduzione di La Capria che già fa trasparire una possibilità: un libro a quattro mani, L’altra Napoli, che fonda due immaginari molto diversi - totalmente letterario quello di La Capria, a metà tra letteratura e saggistica quello di Matvejevic’ - ma uniti nel segno della mediterraneità. Così, seguendo quest’idea, abbiamo intrecciato le voci di La Capria e Matvejevic’ in un dialogo, aperto dal ricordo del loro secondo incontro:


MATVEJEVIC’ - «Dopo l’incontro del 1991 ci siamo rivisti alla stazione di Mergellina. Raffaele tornava da Capri, io dalla Fondazione Mediterraneo. Io gli raccontai dei miei guai di esule, con un incarico a La Sapienza di Roma ma senza cittadinanza italiana. Lui rimase colpito, mi disse che conosceva Napolitano, il Ministro degli Interni, che si sarebbe messo in contatto con Magris...»
LA CAPRIA - «Non mettiamola come se fosse stata una raccomandazione anche se sembrerebbe certo una cosa molto mediterranea, secondo i famosi stereotipi... Diciamo che io e Magris abbiamo dato una mano a uno scrittore esule in difficoltà, che si è attivato un circuito di solidarietà per Mostar tra Napoli e Trieste. Ecco, sottolineiamo questa bella specificità mediterranea. Perché, a volergli cercare un tratto comune, l’uomo mediterraneo ha proprio l’umanità. Poi, per colmo di paradosso, si dilania in una guerra atroce. Il fatto è che il Mediterraneo è un’antologia di etnìe. È un melting pot che non si è mai amalgamato.»
MATVEJEVIC’ - «Infatti non esiste una sola cultura mediterranea. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni vicine, le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, da credenze, costumi. Il resto è mitologia. Ho trovato tanta mediterraneità nei libri di Raffaele. Purtroppo, ho letto L’armonia perduta dopo aver scritto Mediterraneo: se l’avessi letto prima, quel mio libro sarebbe stato migliore. In compenso, confesso di averti un po’ plagiato, Raffaele, ne L’altra Venezia...»
LA CAPRIA - «Quando lessi Mediterraneo ti chiesi: Perché sei così ”croatocentrico”, e non ti accorgi di Venezia? Tu mi dicesti: ”Hai ragione, riparerò”. E l’hai fatto, con questo libro. Mi dichiaro soddisfatto della tua riparazione. Hai avuto coraggio. È difficile scrivere di luoghi come Venezia o Napoli, entrambi troppo sovraccarichi di parole, di retorica. Ora non escludo che io e te scriviamo insieme di Napoli. A condizione di evitare i soliti oleografismi, i pacchetti di cellophane. Mi sembra un segno non casuale anche il fatto che stiamo facendo questo colloquio in una sala dell’hotel Britannique che ha alla parete una veduta di palazzo Donn’Anna. Evoca quel che si dovrebbe cogliere, cioé la bellezza della dimensione mediterranea, della luce che aumenta, esalta e divora, mentre ti promette la Bella Giornata. Non dovremmo dimenticare che è una luce attraversata dall’ombra del disincanto. Che tutte le storie cominciate nel Mediterraneo sono finite male, o almeno hanno avuto una promessa di felicità non mantenuta. È bello però mantenere l’idea che il fine della vita è la felicità. Te lo suggeriscono i miti, i luoghi, perfino i pesci, come questo ”delfino d’argento” che mi viene assegnato in premio dalla Fondazione Mediterraneo. Il delfino è un animale bellissimo, molto in sintonia con lo spirito di questo mare».
MATVEJEVIC’ - «Ci dev’essere una ragione per cui le tre grandi religioni monoteiste sono nate qui. Io credo che la spiegazione sia nel cielo trasparente, che suggerisce il rapporto con gli déi. Non credo nelle spiegazioni sociologico-antropologiche, ma solo in questa».

LA CAPRIA - «L’Olimpo sta qui. E anche il paganesimo è nato qui. Anche certe scritture, come quella di Camus ne Lo straniero o nel Mito di Sisifo, potevano nascere solo qui».
MATVEJEVIC’ - E giusto qui poteva nascere un’iniziativa folle come quella di Laboratorio Mediterraneo. Folle perché cerchiamo di promuovere la pace e l’incontro tra culture. Raffaele è stato il primo ad aderire, quando Michele Capasso e io l’abbiamo fondato dieci anni fa. È anche il primo firmatario dell’appello per Sarajevo».

LA CAPRIA - Sì, può sembrare tutta una follia, o solo aria fritta. Invece Laboratorio mediterraneo indica una possibilità: quella di far nascere un’Europa permeata di mediterraneità. L’Europa sarebbe monca se fosse solo celtica. La civiltà mediterranea può mitigare l’altra, con la sua ragione non solo razionale ma anche ragionevole, intrisa com’è di tutti i bisogni dell’umanità. Mentre l’altra, da sola, rischia di apparire spietata».









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