LA REPUBBLICA

06 gennaio 2005

 

 

“ La musica etnica nostra unica forza”

 

Da tantissimi anni, da quando militava nella originale formazione della Nuova Compagnia di Canto Popolare, Eugenio Bennato insegue una storia di utopia musicale, ovvero l’affermazione dei linguaggi di tradizione, trasportati e utilizzati nella modernità, al pari di altri generi. Un ‘utopia oggi allargata a un dialogo tra le culture che sono l’insegna del Mediterraneo avvicina l’Europa ai paesi arabi, compito oggi di evidente importanza simbolica. Il concerto, intitolato “Che il Mediterraneo sia un mare di pace” (sottotitolo: 1° concerto euromediterraneo per il dialogo tra le culture) si terrà sabato all’Auditorium dopo un felice debutto organizzato al Cairo il 4 dicembre. Questo concerto è anche un bilancio di questi ultimi anni di lavoro all’insegna del progetto Taranta Power: “Questo concerto è anche un bilancio di questi ultimi anni di lavoro, che no è discontinuo dai precedenti, era una messa a punto sulla nostra musica etnica, su un movimento che è tornato di grande attualità, che anzi anche grazie a Taranta Power, ha ritrovato attenzione da parte del pubblico giovanile”.

Avere un pubblico di giovani è l’incoraggiamento più forte ad andare avanti?

“Certo, poi è ovvio, ci sono anche i nostalgici della N.C.C.P., ma il pubblico è sostanzialmente nuovo. E non vale solo per il pubblico. Ogni volta che ritorno nel Salento o a Montemarano trovo cresciuto il numero di musicisti, quindi il lavoro di indicazione sulle nuove generazioni sta andando bene”.

E il passo successivo?

“E’ stato naturale allargare gli orizzonti a un mondo musicale che solitamente ci è affine. Sto facendo molti tour in giro per il mondo e questo mi consente di confrontarmi con la world music, di avvertirne il polso. Mi è venuto spontaneo scrivere una frase, che poi è anche un pezzo, come “Che il Mediterraneo sia…” uno slogan ma anche una preghiera. Devo parlare senza mezzi termini del fatto che la musica italiana langue, è in ritardo rispetto al resto del mondo, e confermo che la musica etnica è la nostra unica forza”.

Organizzare un gruppo misto con musicisti europei e arabi ha oggi un’evidente significato politico…

“Ci tengo a dire che l’idea è precedente, era premonitrice questa voglia di affratellamento col mondo arabo, ma viene da premesse essenzialmente musicali, anche perché con la musica non si può barare, i musicisti che si incontrano devono avere qualcosa di reale da trasmettersi se no non funziona. “Che il Mediterraneo sia” è un progetto nato come contrapposizione alla musica delle multinazionali, l’Italia da sola non ce la può fare se non prendendo coscienza della sua essenza mediterranea”.

Napoli rimane il centro ideale della sua ricerca o col tempo se n’è allontanato?

“Ho sempre pensato a Napoli come un porto di mare, un punto da cui si parte e dove si ritorna, ma è una sovrastruttura problematica a causa dell’oleografia. Quando ho parlato di Taranta Power ho avuto bisogno di prendere le distanze dall’immagine oleografica della tarantella associata a pizza e mandolini. Storicamente Napoli è stata il punto di accumulazione di tutta la cultura del sud, ma per me i luoghi significativi sono quelli più emarginati nel profondo sud.”

Auditorium, Sala Sino poli, sabato ore 21, biglietto 15 euro.