28 febbraio 2005
di Nicolò Carnimeo
Mediterraneo mare del dialogo.
Questa la strada da seguire per evitare
conflitti e costruire uno spazio di pace. Il messaggio viene da “Galassia
Gutenberg”, la “kermesse” del libri napoletana che al grande mare ha dedicato
la sua XVI edizione (che si conclude oggi).
“Quando siamo riusciti a far
dialogare israeliani e palestinesi – ha detto padre Ibrahim Faltas francescano,
protagonista dell’assedio della Natività a Betlemme – per un attimo le ostilità
e gli attentati sono cessati. Le parole sono riuscite a fermare un lago di
sangue”. Parole che a “Galassia Gutenberg” diventano libri: anch’essi strumenti
di dialogo e integrazione, libri come L’assedio della Natività (ed.
Ponte alle Grazie) scritto dal medesimo padre Ibrahim Faltas, insieme ai due
giornalisti Marc Innaro e Giuseppe Bonavolontà. A Napoli ne è stata presentata
in anteprima la traduzione in arabo. Un
gesto concreto, fortemente voluto dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo di
Napoli, partner della manifestazione libraria, che promuove il confronto tra
paesi che si affacciano sul “mare nostrum” e che ha così festeggiato dieci anni
di attività nella cooperazione euro-mediterranea.
Dialogo che serve a colmare un
vuoto di conoscenza tra i popoli, al di là della retorica e dalle “cartoline”
dei depliant turistici. Un vuoto pienissimo nel Mediterraneo, denso di fatti,
di percezioni, di storia e storie, oltre i conflitti e le crisi sempre alla
ribalta. Galassia Gutenberg è servito anche a questo: far emergere il
Mediterraneo che non si racconta.
Questo è il nodo riaffiorato
dalle tante testimonianze di scrittori e giornalisti del mondo arabo e provenienti
specialmente da Libano, Algeria ed Egitto, paesi sui quali quest’anno era
focalizzata l’attenzione. Libano, “che non è solo guerra civile – ha detto
Samir Kassir, storico e scrittore libanese – negli ultimi 15 anni si è parlato
poco e nulla di questo paese, di Beirut e delle sue trasformazioni e dinamiche
di sviluppo. I media si sono fermati ai fatti del dopoguerra, per poi tornare a
parlarne improvvisamente oggi quando l’ha imposto l’attualità di un altro
attentato eclatante”.
E’ ciò che pensa anche Hany
Shukrallah, direttore del settimanale in lingua inglese “Al-Ahram”, tra le
maggiori testate del mondo arabo. Ha denunciato una “conoscenza distorta degli
uni e degli altri”. L’antidoto proposto da Shukrallah è ancora una volta la
conoscenza, soprattutto del contesto culturale e storico, attraverso la
letteratura, per esempio.
Sul conoscere e sul conoscersi
si è soffermato anche Khaled Fouad Allam, editorialista e scrittore algerino
(autore di Lettere a un kamikaze ed. Rizzoli), e su come, agendo nel
Mediterraneo, non si può prescindere dall’Islam. “Ciò che troviamo nel flusso
informativo è un ordine tradotto, una rappresentazione caotica e quindi
violenta, che invece richiede un’acculturazione nel senso della consapevolezza
che al mondo arabo islamico qualcosa è mancato: elaborare il lutto della
propria decadenza diventando così vittima di un mito, della sublimazione di una
storia che non tornerà più. Noi arabi – ha ribadito Allam – non siamo stati
capaci di creare un’alternativa, per i giovani soprattutto”. Si costruiscono
altrimenti, secondo Allam, frontiere simboliche “fatte di proiezioni, sguardi,
visualizzazioni di ciò che è l’altro”.
Che la percezione di sé e della propria storia sia tema centrale nel dialogo, è stato sottolineato anche da Abderrahmane Djelfaoui. Lo scrittore e cineasta algerino parte dalle piccole storie di tutti i giorni, dagli aneddoti e dal caso, per spiegare distanze e prossimità tra Oriente e Occidente e per innescare lo scambio: “Le nostre storie sono un puzzle complesso e fragile”.
Un puzzle mediterraneo che
grazie a libri e parole possiamo riuscire a ricomporre.