IL
MATTINO
19/10/2009
Magris, l’Europa oltre
l’utopia
A
Francoforte lo scrittore è stato il primo italiano a ricevere il Premio degli
editori per la Pace
Roberto
Carnero «Molte utopie di paradisi in terra sono
cadute, ma non è certo caduta l’esigenza che il mondo debba
essere non solo amministrato, ma soprattutto cambiato». Con queste parole
Claudio Magris scalda un pubblico concentrato e
attentissimo. La Chiesa di San Paolo, a Francoforte, è gremita di gente e la
cerimonia è molto solenne, di quelle che solo i tedeschi sanno organizzare in
maniera così impeccabile. Perché Magris
è qui per ricevere, primo italiano, alla presenza delle massime autorità
culturali e politiche (tra gli altri c’è anche il recente Nobel per la
letteratura Herta Muller,
oltre al nostro ambasciatore a Berlino, Michele Valensise,
e al console italiano a Francoforte, Bernardo Carloni), uno dei riconoscimenti più ambiti in Germania, il
Premio per la Pace degli editori, che prima di lui è andato a nomi del calibro di
Hesse, Paz, Vargas Llosa, Pamuk.
Un premio assegnato ogni anno a quegli scrittori il cui lavoro
ha influito positivamente sulla reciproca conoscenza e comprensione tra i
popoli. Per accogliere lo scrittore triestino prende la parola Gottfried Honnefelder, il
presidente degli editori tedeschi: «Il punto di partenza di Magris
è Trieste, e ci sono pochi luoghi in Europa, e forse potremmo dire nel mondo,
dove le diverse culture si sono incontrate e tutt’ora si incontrano così
da vicino: aprendosi l’una all’altra e arricchendosi l’una con l’altra, ma
anche, a volte, scontrandosi e combattendosi a vicenda. In tempi più recenti
Trieste si è ritrovata al centro dell’Europa dopo l’ammissione della Slovenia
all’Unione Europea. Se qualcuno vuole capire che cosa
ciò significhi in concreto, dovrebbe leggere i libri di Claudio Magris, le sue riflessioni storiche sul mito asburgico, i suoi reportage e i suoi saggi. Ciò che Magris ha scritto nella sua carriera
è oggi di una straordinaria attualità». Dopo la «laudatio»,
è la volta del discorso di Magris. Un testo, letto in
tedesco di fronte a un uditorio attentissimo, nel
quale lo scrittore non manca di riflettere su scottanti questioni di attualità.
Parte ricordando la figura di un originale personaggio
triestino, Diego de Henriquez, che negli anni ’70
sognava di mettere in piedi un «museo storico di guerra per la pace»: perché
soltanto conoscendo e ricordando l’orrore dell’esperienza bellica, è possible costruire un’autentica cultura di pace. E oggi? «Oggi sono altri i confini che minacciano la pace,
confini talora invisibili all’interno delle nostre città, fra noi e i nuovi
arrivati da ogni parte del mondo, che stentiamo perfino a vedere. Non solo
sulle coste italiane arrivano clandestini in fuga, scambiati per pirati venuti
a saccheggiare. Le reazioni a tale esilio scambiato
per invasione sono isteriche, sintomatiche nella loro brutalità». Poi sembra
prendere le distanze dalla «politica delle ronde»: «Ora nel mio Paese c’è una
legge che viola un fondamentale principio democratico, in quanto autorizza
gruppi di privati cittandini a controllare l’ordine e
la sicurezza, beni certo essenziali e da difendere con fermezza, specialmente
nei confronti degli immigrati». Magris non crede che,
come qualcuno ha affermato, nel nostro Paese stia
rinascendo il fascismo. Ma oggi il vero pericolo in
Italia è quello che lui chiama «il nuovo populismo», che non ha nulla a che
vedere con il fascismo classico: «Spero, da patriota italiano, che il mio
incantevole Paese non sia, ancora una volta, all’avanguardia in senso negativo:
il fascismo, dopo tutto, in Europa l’abbiamo inventato
noi, anche se poi altri ci hanno ben superato nello zelo. Il nuovo populismo
sta creando democrazie senza democrazia. Esso è una
minaccia a quest’ultima e alla pace». Ma che cosa intende con l’espressione «neopopulismo»? «Questo populismo è una gelatinosa tonalità sociale, che
distrugge alcuni valori fondamentali, ogni sentimento del lecito e
dell’illecito, del rapporto tra il bene dell’individuo e il bene
commune. Sentimento che non è sufficiente, ma è
necessario avere per potere almeno sperare di costruire giustizia e dunque
pace». Poco più avanti, il riferimento al berlusconismo
si fa trasparente: «Senza giustizia non ci può essere pace, l’insofferenza
crescente per la legge che persegue i reati e la limitazione del potere della
magistratura che li persegue esprimono il torvo disegno di una vita senza legge
o con meno legge possible, ossia di una giungla, di
una condizione di bellum omnium contra
omnes, in cui i forti trovino
pochi ostacoli nello schiacciare i deboli». Qual è il rimedio a certe derive?
«Un’Unione Europea più forte, capace di essere meno
sconnessa nelle sue politiche. All’Europa spetta il grandioso e arduo compito
di aprirsi alle nuove culture dei nuovi europei provenienti da tutto il mondo,
che vengono ad arricchirla con le loro diversità. Si
tratterà di mettere in discussione noi stessi e di aprirsi al massimo dialogo possible con altri sistemi di valori, ma tracciando le
frontiere di un minimo ma preciso quantum di valori non negoziabili, da
considerare acquisiti per sempre e da rispettare come assoluti, che non vengono più messi in discussione. Pochi ma
netti valori, come ad esempio l’uguaglianza di diritti fra tutti i cittadini a
prescindere da ogni differenza di sesso, religione o etnia».