"IL DENARO"

23 maggio 1998

Le antiche civiltà del nostro mare

di Michele Capasso

Spalato, 20 maggio 1998. Sto leggendo un libro inedito di Braudel, pubblicato dopo tredici anni dalla sua morte. Nel 1968, l’editore Albert Skira convinse il grande storico francese delle "Annales" a scrivere un testo da inserire in un volume illustrato. L’idea iniziale era quella di redigere una vera e propria storia del Mediterraneo partendo dall’età paleolitica, attraverso le varie epoche, per evidenziare l’incrocio continuo di civiltà che si sono succedute. L’editore morì nel 1970 e la preziosa collana fu abbandonata. Dopo trent’anni, l’editore francese Fallois pubblica questo testo di Braudel che, scomparso nel 1985, è ricordato per i suoi volumi fondamentali: "L’identità della Francia", "Civiltà e imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II". Il titolo è "Les mémoires de la Méditerranée"; trattasi di una ricostruzione a largo raggio della storia antica del Mediterraneo, fino alla fondazione di Costantinopoli del 324. Protagonista assoluto è il mare, artefice di uno spazio economico e sociale in formazione e in continua evoluzione. Braudel sapeva bene che l’editore Skira pensava di sfruttare il suo nome per lanciare la collana; tuttavia accettò lo stesso, provando a misurarsi con un periodo storico di cui non si era mai occupato. Nell’introduzione, infatti, Braudel riconosce di aver ceduto al "peccato della curiosità". Di seguito alcuni brani del libro. "La più bella testimonianza sull’imminente passato del Mediterraneo è quella del mare stesso. Bisogna dirlo e ridirlo. Bisogna vederlo e rivederlo. Certo, da solo, non spiega tutto di un passato complesso, costruito dagli uomini con più o meno logica, capriccio o aberranza. Ma restituisce pazientemente le esperienze del passato, rende loro gli albori della vita, le colloca sotto un cielo in un paesaggio che possiamo vedere con i nostri occhi, analoghi a quelli di un tempo. Un momento d’attenzione o di illusione: tutto sembra rivivere. Allora è importante ridare la sua rispettabilissima età al mare che vive, eternamente giovane sotto i nostri occhi, "sempre pronto a servire"? Che importa, penserà il viaggiatore, che il Mediterraneo, insignificante frattura della scorza terrestre che un aereo supera con sdegnosa velocità, sia un tratto arcaico della geologia del globo! Che importa che il Mare Interno sia favolosamente più antico della più antica delle storie umane che ha trasportato! E tuttavia il mare è interamente comprensibile solo nelle lunghe prospettive della sua storia geologica, esso deve loro la sua forma, la sua architettura, le realtà di base della sua vita, quella di ieri come quella di oggi o di domani. Allora apriamo il dossier! Dall’era primaria, a milioni e milioni di anni dal tempo presente, a una distanza cronologica che sfida l’immaginazione, un largo anello marino (la "Tetide" dei geologi) va dalle Antille al Pacifico. Taglia in due, nel senso dei paralleli, quel che sarà molto più tardi la massa del Vecchio Mondo. Il Mediterraneo attuale è la massa residua delle acque della "Tetide", che risale quasi alle origini del globo. I corrugamenti ripetuti e violenti dell’era terziaria si sono costruiti a spese di quell’antichissimo Mediterraneo, ben più esteso dell’attuale. Tutte quelle montagne, dalla cordigliera betica al Rif, all’Atlante, alle Alpi, agli Appennini, ai Balcani, al Tauro, al Caucaso sono uscite dall’antico mare. Hanno eroso il suo spazio, ripreso a loro profitto i sedimenti depositati nell’immensa cavità del mare – la sabbia, l’argilla, l’arenaria, il calcare sovente di uno spessore prodigioso, perfino le rocce profonde primitive. Le montagne che rinserrano, strangolano, sbarrano, dividono il lungo corso del mare sono la carne e le ossa della "Tetide" ancestrale. L’acqua marina ha lasciato dappertutto la traccia del suo lento lavorio: vicino al Cairo, i calcari sedimentari "di una grana così fine e di un bianco latteo, che permetteranno allo scalpello dello scultore di dare la sensazione del volume, giocando su profondità di qualche millimetro soltanto", le grandi placche di calcare corallino di cui sono fatti i templi megalitici di Malta, la pietra di Segovia che viene bagnata per lavorarla più facilmente, i calcari delle Latomie, le enormi cave di Siracusa, le pietre d’Istria a Venezia, e tante altre rocce greche, siciliane e italiane sono tutte uscite dal mare. Finalmente, non essendo stata riempita la serie di fosse mediterranee, il mare resta un solco potentemente depresso, sovente scavato con profondità pari o addirittura superiori ai dislivelli delle più orgogliose montagne mediterranee…Vicino al capo Matapan c’è una fossa di 4600 metri, in cui si potrebbe facilmente affogare la più alta cima della Grecia, i 2985 metri del monte Olimpo. Marittimi o terrestri, questi rilievi non sono interamente consolidati. Reti di lunghe faglie sono visibili ovunque, certe continuano fino al mar Rosso. È una fenditura per lo meno doppia che apre, tra il Mediterraneo e l’Oceano, lo stretto cammino delle Colonne d’Ercole. Tutto ciò lascia prevedere una geologia tormentata, un’orogenia ancora oggi mobile, terremoti frequenti, spesso letali, fonti termali (già note agli Etruschi in Toscana), terreni vulcanici molto estesi, vulcani attivi o inattivi, per lo meno capaci di ridestarsi…". Le parole di Braudel catturano il lettore, anche se le conoscenze del grande storico sono state superate dalle ricerche archeologiche dell’ultimo trentennio; due specialisti come Jean Guilaine e Pierre Rouillard hanno evidenziato in nota gli aggiornamenti. Quest’opera, anche in questo modo, è di grande importanza per la cultura mediterranea; Fernand Braudel, ancora una volta ha dimostrato la sua originalità: pur muovendosi su un terreno che non era di sua specificità, ha saputo viaggiare al di là delle convenzioni storiografiche con analisi e ricerche del tutto originali. "Il mare – scriveva – bisogna saperlo ‘vedere’!