"IL DENARO"

21 marzo 1998

Averroè, il filosofo della tolleranza

di Michele Capasso

Parigi, marzo 1998. Rivedo il film "Il destino", tratto dalla storia di Muhammad Ibn Rushd (Cordova 1126 – Marrakech 1198), meglio conosciuto con il nome latino di Averroè: è il filosofo e medico spagnolo arabo noto per i commenti alle opere d’Aristotele diffuse e discusse in Europa, che influenzarono tutta la filosofia medievale. L’influenza di Averroè fu determinante sui pensatori ebrei e cristiani, soprattutto per la capacità di riunire la legittimità della riflessione filosofica e della ricerca scientifica. Con la sua opera Averroè si propose di conciliare fede e ragione gettando le basi di una razionalità esercitata senza tabù né restrizioni. In questo modo contribuì ad emancipare il pensiero del suo tempo liberandolo da conformismi ripetitivi. Davanti alle manifestazioni integraliste del nostro tempo, il messaggio del grande filosofo arabo è più che mai attuale per questo motivo, la Fondazione Laboratorio Mediterraneo intende attivare, in collaborazione con alcune prestigiose università europee, un progetto – nato dal II Forum Civile Euromed – per la celebrazione europea dell’800esimo anniversario della morte di Averroè. In questi giorni esce in Italia il film "Il destino" del regista egiziano Youssef Chahine, premiato all’ultimo festival di Cannes con la Palma d’oro alla carriera. L’ultima fatica del prolifico regista egiziano è dedicata proprio ad Averroè, a quel filosofo europeo e islamico, laico e femminista, che fece della tolleranza la base del suo pensiero. Come nei suoi precedenti film, Chahine affronta i temi dell’intolleranza e del fanatismo attraverso la figura del grande pensatore, e lo fa magistralmente, con il supporto determinate della musica, della danza e dell’energia visiva. Chahine è teso e soddisfatto del suo lavoro. L’avevo incontrato durante la rassegna "Il Cinema dei Paesi Arabi" lo scorso anno fu contento della personale a lui dedicata e del volume edito dalla nostra Fondazione. Oggi il regista egiziano afferma che il film "Il destino" gli ha dato la possibilità di prendere spunto dalla storia di Averroè per parlare della propria vita, dell’intolleranza e del pericolo – attualissimo – delle sette. Si sente ancora offeso ed umiliato Chahine, per la censura imposta al suo film "L’Emigrè" "Ho subìto il giudizio di un magistrato fanatico – afferma il regista – che voleva impedirmi di continuare a lavorare. Anche Averroè è stato minacciato di morte e ha conosciuto direttamente il fanatismo. È raccontando di lui che in fondo ho parlato anche di alcuni giovani attori che ho conosciuto e che avevano subìto un vero e proprio lavaggio del cervello dai fanatici. Nel mio film Averroè ama la musica, proprio come me. Secondo me, un filosofo che non sa danzare e che non ama la musica è troppo noioso Ho raccontato la storia di Averroè per parlare di me, ma penso che ognuno possa prendersi la libertà di interpretare anche la storia. Tutto s’interpreta la Bibbia, il Corano, la Torah".

Questo film è un evento sia politico che culturale, dove Chahine, con garbo e sensibilità, riesce a parlare a tutto il Medio Oriente conquistandosi la fiducia del pubblico. La rivista americana "Variety" ha scritto "Con "Il destino" arriva dal cinema arabo l’attacco frontale più coraggioso contro il fondamentalismo islamico". Chahine, leggendo questi commenti sulla sua opera, risponde "Il mio film non è contro l’integralismo islamico in particolare è contro tutti i fondamentalismi, contro tutti gli estremismi. Non a caso il film si apre con il rogo di un cristiano che viene bruciato vivo. A quel tempo i cristiani erano molto più primitivi degli arabi. A me interessa soprattutto far capire le ragioni per cui un ragazzo normale, che potrebbe essere tuo fratello, tuo figlio, può arrivare a commettere atti atroci come quelli capitati a Luxor o in Algeria. Tutte le sette, non importa la religione cui si rifanno, adottano più o meno gli stessi metodi. E nel giro di poco riescono a trasformare una persona comune in un killer". Chahine è riuscito, con maestria straordinaria, a cogliere gli aspetti essenziali del pensiero di Averroè, tenuto conto delle poche notizie che conosciamo sulla vita privata del filosofo ed anche della circostanza, solo in apparenza secondaria, che di lui non è stato tramandato neppure un ritratto. Dare volto ad un uomo che nel Medioevo era stato un enigma è stata impresa non facile. Del resto Chahine ha avuto la capacità di ricostruire la convivenza di ebrei, cristiani e musulmani in Andalusia utilizzando il modello dell’Alessandria pre-’56, nota ai lettori di Durrel e Cialente. Il pensiero di Averroè e la sua penetrazione nell’ebraismo e nel cristianesimo è di grande rilevanza. Il filosofo islamico fu protagonista della "falsafa", cioè della legittimazione della filosofia antica nel contesto della comunità islamica al tempo stesso, fu cauto nell’assegnare pari dignità ai due livelli di accesso alla verità quello della fede e della scrittura rivelata per le masse, e quello dimostrativo per i filosofi. La temporanea caduta in disgrazia di Averroè fu determinata, come illustrato sapientemente nel film di Chahine, dalla casuale confluenza di un movimento integralista e di un calcolo politico collegato all’avanzata della "Reconquista". A parte le considerazioni di "fedeltà storica", i pochi scritti di Averroè disponibili – accolti nel XII secolo da un Egitto più che tollerante – lasciano trapelare un’attualità sul piano filosofico e pratico. Il modo migliore per concludere questa breve riflessione su Averroè e sul film di Chahine credo sia quello di riportare due brani del grande pensatore arabo "È chiaro che lo studio dei libri degli antichi è obbligatorio per Legge, poiché il loro fine è identico a quello cui ci sprona la Legge. Chi proibisce a qualcuno che ne avrebbe la capacità naturale di applicarsi al ragionamento razionale e alla dimostrazione apodittica, sbarra la porta attraverso la quale la Legge chiama gli uomini alla conoscenza di Dio, compiendo un atto di ignoranza e di estraniazione dall’Altissimo. (...) Colui il quale proibisce a chi ne ha facoltà di studiare i libri dei filosofi con la scusa che ci sarà poi gente che lo accuserà di deviare dalla retta via, è simile a colui che impedisce a un assetato di bere dell’acqua fresca fino a farlo morire, con la scusa che avrebbe potuto rimanere soffocato". "Se la natura del maschio e della femmina è eguale e si volge a un’eguale attività sociale, risulta evidente che in tale società la femmina deve realizzare gli stessi lavori del maschio, tenuto conto solo della maggiore debolezza relativa. Senza dubbio le donne sono più abili nel tessere e nel cucire, ma anche nell’organizzazione e perfino nell’arte della guerra, com’è dimostrato dagli abitanti del deserto e nella "città delle donne". Del pari, se le donne sono ben educate e possiedono disposizioni rilevanti, non è impossibile che pervengano a essere filosofe e governanti. Nelle nostre società le abilità delle donne sono disconosciute ed esse sono usate solo per la procreazione, restando poi destinate al servizio dei mariti e relegate a funzioni domestiche ed educative. Finiscono per assomigliare a delle piante ed essere un peso per gli uomini, ciò che spiega l’arretratezza economica delle nostre comunità".