"IL DENARO"

26 luglio 1997

Costruiamo il pensiero delle due sponde*

di Michele Capasso

Giovedì 24 luglio 1997. Baltasar Porcel, dopo aver percorso oltre mille miglia di Mediterraneo in barca a vela, mi racconta al telefono le sue impressioni è sempre più convinto della "positività del concetto mediterraneo", ritiene cioè che bisogna guardare a questa dimensione storico-geografica nei termini positivi della sua creatività, della sua grande tradizione artistico-culturale e non in quella stereotipata che la considera come luogo di atroci conflitti.

Venerdì 25 luglio 1997. Parlo, come ogni settimana, con Predrag Matvejevic; su quanto accade nei Paesi dell’ex Europa dell’Est. Ho tra le mani una copia del quotidiano "Le Monde" che descrive l’ennesimo mattatoio algerino con i rituali sgozzamenti di genti inermi – soprattutto donne e bambini – da parte dei fondamentalisti. Matvejevic; mi dice che "siamo ancora prigionieri di questo Mediterraneo micidiale, madre di ogni angoscia". Due posizioni diverse, opposte due facce della stessa medaglia.

Rileggo un biglietto scritto in arabo da un vecchio incontrato in una stradina di Tangeri, la traduzione, più o meno, è la seguente "Il Mediterraneo è come un hamburger che contiene carne grassa e carne magra, la carne magra è il suo genio creativo, quella grassa l’incomprensibilità di guerre e conflitti tra i suoi popoli. Bisogna mangiarlo tutto insieme, così com’è..."

Ancora oggi esiste un’immagine del Mediterraneo riferito soltanto alle grandi civiltà del passato questa è una visione retrospettiva pericolosa definibile come "pensiero di una sola sponda". Questo pensiero mediterraneo ha una sua storia. Prima si parlava ben poco di Mediterraneo. Quando poi, nel XIX secolo, in Europa – principalmente in Francia e in Italia – è nata l’idea mediterranea, si trattava di un’idea nostalgica, neocolonialistica, o addirittura pro-colonialistica sicuramente in Francia, e credo anche in Italia, questa idea faceva riferimento unicamente al mondo greco-latino. Ciò significa che il concetto di Mediterraneo veniva circoscritto appunto ad una sola riva. Esperti francesi, come Charles Mauras o Luis Bertrand, vati e grandi difensori della nozione di "genio latino", quando facevano riferimento al Mediterraneo latino dimenticavano tutto il resto dimenticavano il retaggio ebraico, il retaggio arabo, il retaggio andaluso, tutta quella dimensione che ha costituito "l’essere al mondo mediterraneo". Questa visione, questa idea di una sola sponda ha permesso di costruire e di utilizzare l’idea mediterranea come proiezione del nord sul sud e come legittimazione della presenza coloniale.

Oggi questo concetto, un po’ troppo facilmente sintetizzato nell’espressione latina "mare nostrum", costituisce una visione superata. Per far sì che nel mondo d’oggi sussista una visione del Mediterraneo occorre abbandonare attaccamenti morbosi e nostalgici al passato.

La questione mediterranea contemporanea pone molteplici problemi.

Il Mediterraneo è circondato da quattro forze politico-culturali. La prima è quella definita "occidentalismo". Per dirla con un’espressione presa in prestito da Nietzsche, grande studioso del Mediterraneo – come poi molti altri uomini del nord affascinati dalla luce del sud –, la tendenza culturale dell’occidentalismo può essere spiegata in termini di "filosofia della buona digestione". Questo occidentalismo è oggi l’esatto contrario della dimensione mediterranea, purtroppo sacrificata alla filosofia dell’economismo, della merce onnipotente, della cultura dell’effimero, del segno privato di senso, di quei modelli culturali diventati oggi il modello dominante nel mondo intero. E ciò non avviene semplicemente attraverso il modello statunitense è un po’ troppo facile, in Europa, invocare il grande Satana americano, come se non fossimo anche noi produttori di queste forme degradate della cultura del consumo. Ebbene, questo occidentalismo odierno nega la dimensione mediterranea.

La seconda componente che opprime la realtà mediterranea di oggi è costituita dall’"eurocentrismo". Si tratta di una vecchia tendenza europea basata sul concetto di potenza continentale – vale a dire "l’Europa non ha bisogno di altro che di se stessa" – che, così facendo, non nega nient’altro che le proprie origini. Infatti, la mitologica Europa spiccò il volo da Sidon, nel Libano attuale. Solitamente tendiamo invece a dimenticare che questo nostro odierno continente nasce da quel legame mitico fra l’Europa e il Mediterraneo.

Dalla caduta del muro di Berlino, la tendenza all’eurocentrismo si è sforzata di tessere una rappresentazione del mondo in cui il Mediterraneo avesse un posto marginale e ciò a profitto della Mitteleuropa, dell’Europa centrale. L’Europa si costruisce così attorno alla propria visione continentale e territoriale, tracciando una relazione est-ovest totalmente dimentica della dimensione meridionale. Questa visione politica e culturale che marginalizza il Mediterraneo, restando indifferente a quanto accade nel mondo Mediterraneo del sud, è molto forte attualmente in Europa, e lo sarà ancora di più dopo il programmato ampliamento dell’Unione europea ad est.

Accanto a queste due prime tendenze ne è emersa un’altra molto più violenta che potremmo chiamare il "nazionalitarismo" si tratta della propensione a voler costruire un essere politico, o un’entità politica, attorno a un integralismo territoriale. Questa ideologia della frammentazione territoriale in nome di una purezza etnica si definisce negando tutto ciò che invece fa del Mediterraneo il grande territorio, o il grande Continente, della confluenza meticcia per antonomasia. È una tendenza che attualmente circola ovunque nei territori del Mediterraneo nella ex Jugoslavia il fenomeno ha senz’altro toccato l’apice della violenza, ma anche in Albania, in Libano, in Algeria o a Cipro. Si sono riscontrate diverse altre forme di queste frammentazioni religiose e territoriali. È questa una delle forze politico-culturali che accerchiano oggi il mondo mediterraneo e che mirano a frantumare la possibilità di costruire un progetto per questo mondo.

La quarta di tali forze è quella che i media veicolano più frequentemente si tratta dell’"islamismo", ovvero la politicizzazione del religioso. Questa corrente è senz’altro molto potente, forse in ascesa, ma è ben lungi dall’occupare tutta la realtà politica e culturale del mondo arabo contemporaneo. Invece spesso, guardandola da qui, dall’Europa, ce ne lasciamo spaventare e utilizziamo l’immaginario proprio della paura per considerare impossibile qualsiasi compatibilità culturale fra una riva e l’altra del Mediterraneo a causa di questa forza repulsiva che va sotto il nome di islamismo.

Al di là di tutte queste forze repulsive, al di là di tutte queste frammentazioni e di tutti questi conflitti, esiste qualcos’altro è quello che viene definito il Mediterraneo creatore. Non si tratta di una semplice utopia, né di un sogno ad occhi aperti. Si tratta soltanto di raccogliere tutti i fermenti che, al di là delle forze repulsive, percorrono con analoga energia il mondo mediterraneo e tutte quelle società mediterranee che tendono a riallacciare un legame con la dimensione a loro più consona.

Questo sarebbe un fatto del tutto nuovo poiché, dal XIX secolo – e, se si risale alle fratture descritte da Braudel, forse già a partire dal XVII – fino a oggi, di fatto il mondo mediterraneo ha smesso di essere il centro del mondo ed è stato isolato dalla modernità. Da circa dieci anni esiste un’altra tendenza che si va affermando è quella per cui il Mediterraneo – inteso come insieme delle due rive (in contrasto con il pensiero di una sola sponda cui si accennava all’inizio) – si riallaccia alle proprie origini senza cercare i suoi modelli al nord. Non li imita né li applica più poiché sa benissimo che anche tali modelli si trovano in un vicolo cieco e tendono alla depressione nervosa collettiva che è l’esatto opposto del senso autentico della mediterraneità, ossia di quell’arte di vivere di cui questa è portatrice e che difende con forza e vitalità. Tutto ciò si traduce in espressioni culturali significative per cui oggi nel design, nelle arti plastiche, nella letteratura, nell’architettura e in genere in tutte le forme di espressione culturale – fino alla musica, che è senz’altro il campo in cui il fenomeno è maggiormente manifesto – non si cerca più di imitare, né tanto meno ricalcare pedantemente i modelli che vengono dal nord, bensì ci si impegna a inventare forme nuove a partire dai propri repertori. Si prenda la musica, per esempio il rap, il flamenco rock, le nuove polifonie. È un fenomeno che esiste da meno di dieci anni, ma non è più la musica folcloristica che divertiva i turisti del nord in cerca di sole nel Mediterraneo sono piuttosto forme emblematiche che nascono qui e s’irradiano all’esterno.

Mi sembra che questo fenomeno del Mediterraneo creatore sia estremamente importante, anche se meno rilevante rispetto alle grandi forze che assediano l’insieme mediterraneo. Ma dopo tutto è mai esistito un grande movimento culturale significativo che sia stato davvero preminente rispetto a tutti gli altri Il surrealismo o l’espressionismo tedesco, per fare degli esempi, sono forse stati dei movimenti culturali di maggioranza Erano movimenti inizialmente frammentari che in seguito hanno acquistato senso e forma.

Oggi il mondo mediterraneo va considerato in modo analogo, cercando di affermare il concetto di questa particolare creatività mediterranea. Dobbiamo assecondare questa nostra innata inclinazione e, infine, riconoscere nella combinazione dell’unico e del multiplo, che costituisce l’identità polifonica caratteristica dell’"essere al mondo mediterraneo", la fonte da cui riceviamo le capacità per inventare il Mediterraneo e per far sì che, alle forze "repulsive" più potenti, possiamo opporre forze "propulsive" che siano altrettanto significative.