"IL DENARO"

6 dicembre 1997

Diritti umani, democrazia ed economia nell’Islam*

di Michele Capasso

Milano, 6 dicembre 1997. Partecipo ad un incontro sull’Islam. Con alcuni amici elaboriamo alcune riflessioni da proporre al II Forum Civile Euromed.

Gli islamisti meno radicali – presenti all’incontro – ritengono che uno spazio di dialogo con l’Occidente esista, ma a condizione che i due interlocutori si trovino in una posizione di assoluta parità reciproca, e che l’Islam sia attivo nel proporre un "suo" progetto di società. Vale al riguardo la pena di passare rapidamente in rassegna alcune posizioni islamiche, o islamiste, su temi fondamentali, quali i diritti umani, la democrazia, l’economia.

Il 19 settembre del 1981, il Segretario Generale del Consiglio Islamico per l’Europa, Azzam, aveva ufficialmente proclamato a Parigi la "Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo", testo d’impronta garantista e moderata. Può apparire curioso che un tale passo venisse effettuato dal Segretario Generale di un Consiglio emanazione di quella Lega Islamica Mondiale d’ispirazione saudita creata alla Mecca nel 1962 per sbarrare il passo ai paesi arabi progressisti e di simpatie socialiste. Come noto, nel regno Wahhâbita viene data rigorosa ed integrale applicazione alla shari’a, ivi incluse le pene corporali o hudûd comportanti mutilazioni. Il gesto aveva in realtà un significato soprattutto politico. Quasi per fatale coincidenza, è proprio a partire dagli anni ottanta che, in varie parti dell’Islam, più pressanti si fanno gli appelli perché la shari’a sia applicata nella sua totalità e venga considerata fonte normativa primaria. Nella Federazione della Malesia clamore ed inquietudine, per la presenza di minoranze non musulmane, ha suscitato il progetto di piena applicazione della shari’a e delle pene hudûd sostenuto dal governo del Kelantan nel 1992.

I movimenti islamisti radicali sono naturalmente favorevoli all’applicazione della shari’a, della quale viene enfatizzato il senso letterale di cammino che porta alla fonte, e quindi di retta via da seguire, di percorso indicato all’umanità dall’Onnipotente. Molti propendono anche per l’introduzione delle pene hudûd; auspicio che, come si è visto più sopra, non costituisce patrimonio esclusivo del pensiero islamista radicale. Molti altri hanno però assunto delle posizioni più caute; fra questi vale la pena di citare l’islamista tunisino Ahmida Enneifer che lascia intravedere interpretazioni evolutive dei precetti non soltanto con riferimento alle pene hudûd.

Per quanto concerne i diritti umani, non può certo dirsi che la situazione sia brillante nel mondo musulmano e viene da chiedersi in quale misura certe esasperazioni degli islamisti non siano da connettere alla dura repressione subita. Probabilmente, una vera e propria "cultura" dei diritti umani si crea più facilmente se l’Autorità costituita è la prima a dare il buon esempio.

Sul terreno della democrazia, nei movimenti islamici prevale il principio della shura, della consultazione, con una valenza rivendicativa di tradizioni endogene rispetto ai modelli parlamentari importati. Chi ammette il pluripartitismo, si è visto nel caso del partito della liberazione islamica, intende limitarne la pratica alle sole formazioni di sicura fede musulmana. Per altro verso, si è visto anche come in certi paesi, quali la Turchia e la Giordania, la componente islamica si sia inserita nel gioco istituzionale, e come in altri, ad esempio la Tunisia, abbia richiesto inutilmente di poter entrare nella legalità. Le formazioni islamiche che hanno guadagnato le aule parlamentari ne hanno il più delle volte accettato le regole. Insieme al caso della Turchia, si può ricordare il pragmatismo nel complesso moderato dei fratelli musulmani giordani. Le vicende dell’Egitto rappresentano per molti versi un caso a sé: non si può infatti dimenticare né trascurare la particolare veemenza con cui la contrapposizione fra fratelli musulmani e "principe" si è in quello Stato manifestata già sul nascere. I paesi che hanno aperto le aule parlamentari agli islamisti non sono esenti da fenomeni eversivi a matrice radicale. Ma non ne sono certamente più colpiti dei paesi che hanno praticato la repressione più dura, con l’eccezione della Siria, ove si è operata una vera e propria "soluzione finale", e della Tunisia, che ha potuto contare non solo su ben collaudati strumenti rappresentativi, ma anche sul carattere tutto sommato moderato dell’islamismo con cui si confrontava. In una terza categoria di Paesi lo Stato islamico si è effettivamente instaurato assumendo connotazioni marcatamente radicali e di totale intransigenza nei confronti dell’opposizione. Si è già visto come alcuni osservatori apprezzino delle evoluzioni in Iran. Ma lo Stato islamico sembra rimanere "puro e duro" per sua natura. L’Algeria merita un discorso separato in quanto, a fasi alterne, è rientrata in tutte e tre le categorie di Stati sopra descritte.

Alla luce dei fatti finora evocati andrebbero forse viste le posizioni più "progressiste" sulla shura, intesa quale punto di partenza per l’elaborazione di un concetto di democrazia islamica alternativo rispetto all’esperienza delle democrazie parlamentari occidentali. I movimenti islamisti recuperati al gioco istituzionale, peraltro, pur continuando a proclamare il principio della shura a livello ideologico, si servono ampiamente degli strumenti offerti dalla democrazia parlamentare, diciamo così istituzionale. Negli stati islamici, poi, la shura non ha reso meno triste la sorte delle opposizioni.

Sul piano dell’economia, infine, la concezione islamica interessa in modo più evidente il settore bancario ed in estrema sintesi consiste nella sostituzione dell’interesse, riba, vietato dal Corano, con varie forme di partecipazione agli utili. Fra queste le più note sono la mudaraba e la musharaka. La mudaraba è un vero e proprio finanziamento fiduciario che vede una parte rabbu-ul-mal, fornire il capitale e l’altra, mudarib, il lavoro. Il finanziatore sarà retribuito con una quota concordata di futura partecipazione agli utili dell’investimento. Per l’elevato margine di rischio che presenta, un tale tipo di contatto è di norma utilizzato solo per progetti a brevissimo termine, quali l’acquisto di materie prime e le operazioni di import-export. Più praticata è invece la musharaka, che vede entrambe le parti apportare quote di capitale e partecipare proporzionalmente agli utili ed alle eventuali perdite. Si segnala altresì la murabaha, o compravendita con margine di profitto, nell’ambito della quale l’istituto di credito acquista beni per conto del cliente, che si impegna a comprarli a sua volta dalla banca ad un prezzo superiore a quello di acquisto. La differenza di prezzo è intesa a coprire il servizio offerto dall’istituzione finanziaria. Alcuni islamisti più intransigenti sostengono peraltro che la murabaha altro non sia che uno stratagemma per "mascherare" il riba. Le banche islamiche curano inoltre la costituzione di fondi per il pellegrinaggio, e per altre attività caritatevoli.

Il passato, con il suo splendore, è un mito ricco di fascino per gli islamisti, un po’ come Eretz Israël per gli ebrei. I dati di oggi, a cominciare dall’immobilismo prevalso indurrebbero a non contare molto sulle ancora minoritarie correnti "evolutive". Pur tuttavia, la loro esistenza fa sperare che esistano gli spazi per il pluralismo: se più sinceramente aperti, questi potrebbero trasformarsi da occasione perduta in dimensione da recuperare e faticosamente realizzare, pur con le differenziazioni inevitabili rispetto alle realtà sociali e di costume più familiari a noi occidentali.