"IL DENARO"

15 marzo 1997

Il Marocco tra tradizione, emigrazione e modernità*

di Michele Capasso

Venerdì 27 febbraio 1997.11 ministro degli Affan Esteri Dini incontra alla Farnesina il primo ministro marocchino, nonché ministro degli Esteri, Abdullatif Filali. Si parla dello sviluppo delle relazioni bilaterali tra i due Paesi nei settori politico ed economico ed anche di cooperazione culturale e sociale.

L’Italia è interessata ad intensificare i rapporti con il Marocco ed il Maghreb attraverso più frequenti incontri bilaterali a livello politico ed il potenziamento della collaborazione e della cooperazione su temi quali l’immigrazione, l’interscambio, la cooperazione tecnologica ed industriale, il dialogo interculturale.

Il ministro Filali ha illustrato i problemi che attanagliano oggi il Marocco evidenziando l’importanza di incoraggiare i contatti tra gli operatori economici e culturali dei due Paesi al fine di identificare e potenziare nuove opportunità di cooperazione. Dini ha ribadito, per quanto concerne il settore culturale e sociale, l’importanza dell’accordo firmato dal sottosegretario Patrizia Toia, che riserva un’attenzione particolare al ruolo delle donne nel mondo arabo ed a quelle marocchine in particolare.

Le donne arabe sono oltre 110 milioni: una popolazione equivalente a quelle della Francia e della Germania Federale. Un dettaglio importante è che mentre le popolazioni di Francia e Germania hanno una grande percentuale di anziani, le donne arabe sono un autentico esercito di adolescenti – 70 milioni hanno meno di 24 anni.

Il mondo arabo – e quello marocchino in particolare – si distingue dunque per la sua gioventù. La fascia di età compresa da O a 24 anni sarà nel 2000 il 61% della popolazione, mentre il resto del mondo raggiungerà a stento il 45%. In quest’area geografica i problemi delle donne, dei giovani, dell’immigrazione, dell’alto tasso di natalità e dell’analfabetismo sono inevitabilmente connessi tra loro. La crescita della popolazione in Marocco e nel mondo arabo è tra le più alte del pianeta raggiungendo il 4% annuo. Tra il 1990 ed il 2000 si prevede un incremento di 64 milioni di persone che porterà la popolazione araba, alla fine del millennio, a circa 281 milioni. Molte di queste emigreranno – anche loro – verso i paesi della sponda nord e proverranno soprattutto dai Marocco. Destinazioni privilegiate i paesi europei. In Italia il problema dell’accoglienza del flusso migratorio dal Maghreb è molto sentito: soprattutto in città come Torino dove la comunità marocchina ènumerosissima.

Proprio in questi giorni nel Parlamento italiano si discute sulla nuova legge per gli immigrati. Parlando in una scuola, proprio vicino a Torino, il presidente della Camera Violante ha affermato che gli extracomunitari sono fonte di ricchezza per il nostro Paese e che occorre porre basi concrete per attuare rapporti di tolleranza contro ogni forma di razzismo. Il ragioniere generale dello Stato italiano, Monorchio, afferma che l’Italia ha bisogno ogni anno di almeno 50 mila stranieri per impegnarli in lavori che nessuno più vuole fare. Valentino Castellani, sindaco di Torino, descrive il disagio della sua città, dove 25.000 immigrati regolari – provenienti in gran parte dal Marocco – si sommano a quelli irregolari e ad altri provenienti da altre aree del pianeta. Questa concentrazione ha causato vari problemi a Torino: sono state superate determinate soglie di tolleranza, di sopportazione e di accettazione in una città per altro molto civile, accogliente, che ha saputo metabolizzare la patologia della grande migrazione interna della fine degli anni ’50, ma che ha un livello di accettazione, forse proprio per questo, più basso rispetto ad altre città, e quindi con una reattività anticipata.

Il messaggio da dare con chiarezza, senza tentennamento, è che bisogna bandire non solo dalla nostra cultura, ma dai nostri atteggiamenti, dalla quotidianità, che è una cosa molto più pregnante, ogni forma di discriminazione.

Il Marocco è un Paese con un’unica porta sul Mediterraneo, segnato da stratificazioni culturali millenarie che lo hanno reso policromo e unitario al tempo stesso; oggi è una realtà in continuo mutamento. Da più di un decennio a questa parte, il risveglio islamico al sud e la xenofobia al nord, la fine della guerra fredda e del bipolarismo, la mondializzazione dell’economia e la comunicazione multimediale hanno indubbiamente contribuito a valorizzare culture, come quella marocchina, per lungo tempo occultate. Ma una riflessione sugli elementi della tradizione del Marocco non basta a garantire una prospettiva migliore per il futuro di un’area che, oramai slegata dalla politica degli Stati africani, rimane tuttavia ai margini della politica economica euromediterranea, ed esprime un disagio soprattutto nella grande platea dei giovani che, in gran parte, emigrano o si dedicano ad attività illecite.

Il flusso delle nuove generazioni marocchine – che non conosce calo demografico e registra un tasso di analfabetismo piuttosto elevato malgrado competenze, professionalità e specializzazioni (spesso inutilizzate) presenti sul territorio – continua ad essere dirottato verso i paesi della Unione Europea, con tutta la complessità e difficoltà che ne deriva per entrambe le parti. I dati sono allarmanti: la percentuale di analfabetismo è pari al 50% della popolazione totale, mentre solo il 28% della popolazione è occupata nei diversi settori. La percentuale stimata di emigranti, rispetto al totale della popolazione, rappresenta circa il 41,7%. I paesi maggiormente interessati ad accogliere tale flusso sono l’Italia (11,5%) e l’Olanda (12,4).

L’intreccio tra modernità e tradizione produce disagi e contraddizioni. Una di queste – come mi dice Tahar Ben Jelloun – è espressa nelle piazze delle città marocchine dove nei mesi invernali le donne residenti non si avvicinano alle caffetterie, mentre nel periodo estivo, con il ritorno degli emigrati, i tavolini si animano di donne e famigliole che riportano costumi acquisiti nelle strade della Francia e degli altri paesi europei. La mancanza di opportunità e di strumenti nel campo lavorativo alimenta, d’altra parte, il lucroso quanto deleterio mercato della droga che proprio da e attraverso paesi come il Marocco giunge in Europa.

In questo quadro, la "cultura" della coltivazione della "cannabis", cui si dedicano soprattutto i giovanissimi, sarà oggetto del Convegno su "Giovani, droga e agricoltura in Marocco" che intendono promuovere il Parlamento Europeo, la Commissione Europea, Grande Italia Grande Europa, la Fondazione Laboratorio Mediterraneo ed altre Istituzioni.

Il problema della droga sta investendo sempre più il bacino mediterraneo. Dall’Albania al Marocco, dalla Turchia alla Tunisia – spesso con la complicità di mafie diverse e degli stessi "colombiani" nascono nuove coltivazioni di coca e di "cannabis". Un fenomeno nuovo per le regioni mediterranee. Tra modernità e tradizione la droga comincia ad essere anche in questi luoghi una strada di possibile emancipazione economica e sociale. La Comunità Europea vede con allarme tale fenomeno in quanto c’è il rischio che i giovani considerino la via della droga come l’unica alternativa possibile all’emigrazione a alla disoccupazione.

Napoli, giovedì 13 marzo 1997. Per tre giorni si discute di tossicodipendenze. Il Presidente Scalfaro inaugura la conferenza nel Teatro Mediterraneo della Mostra d’Oltremare. "Contro le droghe, cura la vita!". È questa la parola d’ordine intorno alla quale si riuniscono oltre 1200 esperti e politici per trovare efficaci strategie di vita. Promozione del benessere e strumenti di empowerment individuale e collettivo sono le strade da percorrere per ridurre l’attrazione verso la droga come "cultura" e "coltura".

I risultati della conferenza di Napoli ed i progetti presentati dalle equipe napoletane potranno essere risorse per una più ampia dimensione mediterranea nell’ambito del secondo "Fòrum Civil Euromed" organizzato dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo per la fine di dicembre 1997.

La coltura della coca e della "cannabis" è strettamente connessa all’uso delle risorse agricole. In Marocco lo sviluppo dell’agricoltura è da sempre legato al problema della siccità: combattere in primo luogo questo flagello e la conseguente povertà dei raccolti, fornire tecniche e strumenti per utilizzare una terra recalcitrante è compito dell’intera comunità europea, in quanto i frutti del futuro benessere del Marocco contribuiranno a rendere meno problematica e più equilibrata la situazione dell’Europa e del Mediterraneo stesso.

Ma l’apertura verso i mercati europei può produrre anche effetti contrastanti. Nell’ambito agricolo – ad esempio – arance, clementine, pomodori, pesche ed albicocche del Marocco potrebbero invadere presto l’Italia mettendo in ginocchio economie di regioni come la Sicilia. Preoccupazione già evidenziata dai coltivatori di questa regione al presidente della Sicilia al quale è stato chiesto di intervenire per bloccare l’accordo siglato tra l’Europa e il Marocco per l’importazione di prodotti ortofrutticoli dal paese nordafricano.

D’altra parte, però, lo sviluppo dell’agricoltura marocchina consentirebbe maggiore sviluppo, minore emigrazione e conversione delle piantagioni di "cannabis" con le innocui aranceti.

È indispensabile trovare un punto di equilibrio tra modernità e tradizione. Hassan II, spregiudicato e intelligente sovrano del Marocco, ha detto: "Occorre liberarsi attraverso il progresso senza stravolgere i principi dell’Islam, modernizzarsi tenendo in una mano il Corano e nell’altra il computer".