"IL DENARO"

10 maggio 1997

Il Mondo arabo e l’Europa: un dialogo indispensabile*

di Michele Capasso

Venerdì 25 aprile 1997, Marsiglia. Colloquio internazionale "L’Europa e il Mediterraneo all’alba del XXI secolo". Circa cento esperti dibattono su temi quali "Pace e sicurezza nel Mediterraneo", "Il partenariato economico", "L’Economia della Pace".

Ahmed Esmat Abdel Meguid, segretario generale della Lega degli Stati Arabi, lancia un appello: appoggiare la risoluzione n. 5092 del 12 settembre 1991 con la quale la Conferenza dei Ministri degli Esteri degli Stati Arabi stabilì di ritenere elemento essenziale per lo sviluppo "la pace giusta e globale nel Medio Oriente".

La Lega degli Stati Arabi ha partecipato alla I Conferenza Euromediterranea di Barcellona del 1995 ed alla II Conferenza di Malta dello scorso aprile come "invitato speciale", accogliendo favorevolmente l’iniziativa dell’Ue per un partenariato comune finalizzato a creare una cooperazione bilaterale e multilaterale in uno spazio dove l’interdipendenza tra la riva sud e quella nord del Mediterraneo cresce giorno dopo giorno ed è come "stabilita e governata dalla storia". La Lega ravvisa la necessità che tutti i Paesi arabi debbano partecipare alla Conferenza al fine di creare, all’inizio del terzo millennio, uno spazio di libero scambio e dialogo esteso da Amman ad Helsinki. E in effetti, il mondo arabo, come entità sociologica, appartiene – per la sua storia, i suoi interessi e le sue problematiche – allo "spazio mediterraneo", così come vi appartiene l’Europa.

Il processo di partenariato cammina dunque di pari passo con il processo di pace: la stessa politica dell’Ue ritiene prioritario il processo di pace ai fini di una fattiva cooperazione tra gli Stati europei e mediterranei. Ma i conflitti della regione, soprattutto quello arabo-israeliano, rendono difficile l’attuazione dei propositi di Barcellona e di Malta. Oggi l’Europa e il mondo arabo "devono" attuare un dialogo più che mai necessario.

L’Europa e l’Occidente hanno egemonizzato a lungo le varie culture mondiali consapevoli della propria forza, del livello di industrializzazione, delle tecnologie avanzate, spesso crogiolandosi nel proprio egocentrismo. Le altre culture del nostro pianeta, quelle "non occidentali", pur rispettabili e con radici solide ed antiche, non sono state in grado di valorizzarsi ed hanno sempre sofferto nel paragonarsi a quelle "predominanti" dell’Occidente industrializzato.

Alcune elites, spesso legate alle culture vicine al potere, contribuiscono a tale svilimento alimentando un processo assai diffuso: enfatizzare i valori trionfanti dell’Occidente e della "modernità".

Chateaubriand – scrittore ed uomo politico, autore delle Mémoires d’Outre-tombe – scrisse: "È giunto il tempo per l’uomo europeo di scoprire un altro pianeta". Il riferimento era chiaramente al Mondo Arabo e alle "altre culture". È trascorso più di un secolo ed oggi, grazie ai mass-media, alla rapidità delle telecomunicazioni, all’incremento delle traduzioni di testi pubblicati in edizioni economiche, ai sistemi telematici multimediali ed a nuove più aperte sensibilità, molti politici – vuoi anche per esclusiva propaganda – sono maggiormente sensibili verso nuove culture: prima fra tutte quella araba. Una contraddizione è tuttavia presente nella cultura del terzo mondo. Il processo di indipendenza e di decolonizzazione che ha caratterizzato gran parte dei Paesi arabi, anziché produrre uno stimolo democratico, ha fatto rinascere forme insidiose e subdole di colonizzazione interne con il ritorno a valori nazionalistici ancestrali, spesso mascherati da fanatismi religiosi. Un esempio: dopo l’indipendenza, molti Paesi dell’Africa non pensano che a far riconoscere il loro passato più cupo. Il mondo arabo, durante le occupazioni, aveva dignitosamente mantenuto la propria identità, salvaguardando valori e tradizioni ereditati che hanno provocato rigidità assurde sia nella concezione dei valori stessi che nella loro formulazione. Tutto ciò ha prodotto una vera e propria rivoluzione. Per esempio la giovane poesia araba – oggi tra le più significative – non è nata dal rifiuto verso i modelli imposti dall’Occidente colonizzatore, ma, semplicemente, dalla volontà di distruggere un modello arcaico, interno, che fu, durante l’occupazione straniera, il luogo di conservazione e tutela della propria identità.

Per stabilire un dialogo fecondo tra due diverse identità – quella europea ed occidentale, fortemente radicata, e quella araba, incerta e chiusa in se stessa – occorre soprattutto pazienza e buona volontà, intuire e capire i bisogni dell’altro, rispettarne i valori, evitare di assumere gli atteggiamenti tipici del "più forte". Solo attraverso questo rispetto, questa intuizione, questa attenzione vigile ed anche affettuosa verso il mondo arabo è possibile garantire le condizioni indispensabili per scambi economici e culturali basati sull’apertura e la tolleranza reciproca. Questa è l’unica via oggi percorribile.

Se tutto ciò non sarà praticabile, le culture nazionali si sentiranno minacciate e, rinchiudendosi in se stesse, si porranno – con un orgoglio giustificabile, ma pericoloso – in una posizione di "non-dialogo", di "non-partecipazione" agli scambi ed all’inevitabile processo di globalizzazione.

Oggi il mondo cambia troppo in fretta. Ideali della filosofia e della storia, che furono predominanti ed orgogliosamente "intoccabili", cadono oggi a pezzi, spazzati via dal vento. Sistemi, strutture, tipi di società complesse si liquefano sotto i nostri occhi rasentando e spesso raggiungendo l’autodistruzione. Nuovi spazi immensi si aprono di fronte alle ritrovate libertà. L’Europa si costruisce e si distrugge, i suoi confini sono in continuo movimento.

L’Europa, dal XV secolo in poi, lo si voglia o meno, rappresenta una sorta di "punto focale" del nostro pianeta, dal quale si diramano le linee del pensiero, dell’industria e del commercio lungo le quali tutti si dirigono, in un’attività costante di flusso e riflusso. Qualunque metamorfosi dell’Europa avrà conseguenze sul mondo intero.

La libera circolazione delle idee e degli uomini è una grande idea "europea". Ma l’Europa sembra aver paura delle "idee" che circolano nel sud del pianeta, così come teme gli uomini che emigrano dal sud del Mediterraneo.

Questa contraddizione, quella di un’Europa centrata su un’area che va dall’Atlantico agli Urali, contrasta l’idea stessa di Europa. La culla della sua civiltà, l’Oriente, ha fornito all’Europa il suo Dio o i suoi dei, la matrice della sua cultura. Per questi motivi l’Europa deve aiutare il mondo arabo a convincersi che il Mediterraneo non è una macchina da guerra lanciata contro di loro – guardiamo cosa succede in Libia, in Iraq, e così via. Se gli arabi integreranno la loro dimensione mediterranea con la profondità della propria storia e religione, il dialogo con l’Europa sarà facilitato. Dal canto suo, l’Europa, forte dell’appoggio del mondo arabo, potrà agire meglio e concretamente, anche per lo stesso sud: un beneficio per l’Europa e per i "suoi sud", ma soprattutto per il mondo intero, il cui futuro è e sarà legato a quello che accade e accadrà nel Mediterraneo.

Bettona 9 maggio 1997. La Fondazione Laboratorio Mediterraneo e l’Associazione Bictonia organizzano l’evento "Migrazioni spirituali mediterranee. L’uomo nomade. Spiritualità nella storia. Crispolto: Gerusalemme – Bettona". Un convegno di studi sul tema e dieci mostre – tra queste: "Simbologie mediterranee", dedicata alla scultura in ceramica, "Fra cielo e terra: le campane. Gerusalemme in Val D’Egola", grande esposizione di campane ad opera di artisti contemporanei, "La terra e il mare", "Mediterraneo luce ed energia, conduttore liquido di civiltà", "Spiritualità nell’arte", "Gerusalemme dal cielo" ed altre – serviranno a far conoscere una dimensione diversa, basata sulla reciproca tolleranza e comprensione.

La "costruzione della pace" non è cosa facile. Nella recente Conferenza Euromediterranea, svoltasi a Malta il 15 e 16 aprile scorsi, la Fondazione ha profuso ogni sforzo per attivare, sia pur lentamente, un durevole processo di pace capace di ricomporre i cocci del dissestato mosaico mediterraneo.

Soltanto quando i Paesi occidentali e arabi che si affacciano su questo mare – spesso diviso da noi e tra noi – sapranno identificarsi semplicemente come "mediterranei" potremo sperare in un futuro migliore.