CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
19/02/2007
Dare voce all’Islam democratico
di
Una risposta a Magdi
Allam sul convegno che si terrà a Napoli il 23
febbraio 2007
In merito al Workshop
del 23 febbraio a Napoli "Dare voce all’Islam democratico"
riprendiamo la risposta dei prof. Esposito e Petito,
all’attacco di M. Allam.
E’ pubblicata oggi sul Corriere
della sera
Una delle
questioni dalle quali dipende la stabilità internazionale è senza dubbio quella
dei rapporti politici tra Islam e Occidente. Ben venga dunque l’intervento «Se i musulmani
democratici sono estremisti » di Magdi Allam (Corriere del 20 gennaio). Criticando il nostro workshop «Dare voce all’Islam democratico», che avrà luogo il 23 febbraio a Napoli (http://www.meiad.org),Allam riprende gli argomenti di una certa corrente, i cui maîtres à pensée sono neo-con
come Daniel Pipes e Bernard
Lewis, che vede nel tentativo di dialogare con
l’Islam politico un pericoloso cedimento dell’Occidente o, peggio,
un’iniziativa che legittimerebbe gli islamofascisti.
Sfortunatamente le tesi dell’articolo di Allam sono indebolite da una serie di inesattezze fattuali, rispetto alle quali rimandiamo alle repliche
pubblicate sul Corriere del Mezzogiorno. Qui basti precisare che le
affermazioni di Allam
secondo cui Tariq Ramadan nega «il diritto di Israele
all’esistenza», ha fatto «l’apologia del terrorismo suicida», e «predicato il
Califfato Islamico» semplicemente non corrispondono al vero (cf. interviste di Ramadan a Foreign
Policy, nov/04 e a
Repubblica , 28/9/04). Anzi in un recente appello, Ramadan si rivolge ai
musulmani europei invitandoli «a prendere posizione
contro l’abuso della loro religione per giustificare il terrorismo, la violenza
domestica e i matrimoni forzati» (Manifesto for a new
«WE»). Al di là delle inesattezze, la tesi di Allam necessita una risposta nel merito. Il nostro punto di
partenza è che esiste in Europa un deficit di conoscenza sempre più pericoloso
delle correnti politiche islamiche a vocazione democratica in un momento in cui
tali forze guadagnano influenza in Turchia, Libano, Palestina, Egitto eMarocco, partecipando alla vita
politica da posizioni istituzionali. Da qui l’urgenza di comprendere le
posizioni di intellettuali come Ahmet
Davetoglu, Nadia Yassine e Heba
Ezzat (si noti due sono donne) impegnati nel
ridefinire un impegno politico dall’interno della tradizione islamica, partendo
dal bisogno di democrazia, giustizia e rispetto dei diritti che chiedono i loro
concittadini. Parlare di tutto ciò avanzando lo spettro della rete dei Fratelli
Musulmani è politicamente infruttuoso e occulta il fatto che
è proprio l’autoritarismo dei regimi arabi laici la fonte prima di instabilità
politica nel Mediterraneo. Certo, sono possibili atteggiamenti più omeno simpatetici e ottimistici verso questo travaglio politico
all’interno del mondo islamico. Ma ciò che si dovrebbe evitare è
dis-informazione e islamofobia che alimentano
un possibile «scontro delle civiltà». Forse l’Italia, un
Paese dove la via della democrazia è stata frutto di un lungo travaglio e di
una sintesi originale (ma non immediata e senza problemi!) tra religione emodernità, cattolicesimo e democrazia, può essere il luogo
dove queste nuove tendenze islamodemocratiche possono
trovare ascolto. Ne vale del futuro della convivenza pacifica nel
Mediterraneo e in Europa.
direttore del Acmcu, Georgetown
University
docente alla Soas di Londra e «L’Orientale» di Napoli