IL MATTINO

21/02/2007

 

PUNTO DI VISTA

Perché difendo Ghannouchi

 

Tanto rumore per nulla, verrebbe fatto di dire. Il tunisino Rachid Ghannouchi, invitato dagli organizzatori a partecipare al convegno napoletano di venerdì e sabato prossimi, non ci sarà. Ciò non attutisce minimamente, anzi rafforza, quell’autentico imperativo del futuro costituito dal dare voce ai musulmani democratici. È del resto questo il tema del convegno organizzato dalla Fondazione Mediterraneo in collaborazione con l’università Orientale che ha suscitato polemiche anche aspre proprio per la presenza tra partecipanti di esponenti dell’Islam contemporaneo considerati eufemisticamente controversi.

I musulmani democratici sono quei musulmani che, pur rimanendo fedeli alla propria tradizione, sposano le regole procedurali della democrazia e i valori della pace e del rispetto della vita umana. Riferirsi al Corano per la democrazia può non risultare poi così inconcepibile, anche se non sempre sarà in armonia con le convinzioni dell’Occidente, che ha fatto dei propri valori i valori universali. Islam e Occidente sembrano opporre l’uno all’altro la propria identità. Ma l’affermazione esasperata dell’identità, sia essa musulmana o occidentale o cristiana, è segno di debolezza. Chi è saldo nella propria identità non ha bisogno ogni giorno di riconfermarla, la possiede tranquillamente. Da più di un secolo l’Islam si sta mettendo dolorosamente in discussione, da quando al-Afghani e Abduh, alla fine dell’Ottocento, proclamavano la necessità di appropriarsi della modernità. L’Islam contemporaneo si mette tanto in discussione da lasciarsi sempre più sedurre dalla modernità, anche se questa modernità si trasforma, assumendo caratteri qualche volta diversi da quelli occidentali. Le resistenze dei conservatori sono aspre, qualche volta violente, ma il processo appare inarrestabile, seppur lungo e accidentato. Ebbene i musulmani democratici invitati a Napoli, come Heba Rauf Ezzat e lo stesso Rachid Ghannouchi, sono musulmani che lottano per una versione islamica della democrazia in condizioni difficili. Partendo dall’identità, ma discutendola. Heba è una ancor giovane donna egiziana, attivista per i diritti umani; porta il velo, ma afferma che l’Islam è umanista, perché difende il pluralismo. La Medina del Profeta era una società pluralista in cui convivevano arabi, persiani, abissini, e l’egualitarismo del Corano, che si rivolge al bianco e al nero, ne costituiva il riferimento. Rachid Ghannouchi è un tunisino che vive in esilio a Londra. Il regime di Ben Ali, uno dei più autoritari in una regione in cui l’autoritarismo è la norma, lo ha accusato di terrorismo: ecco il motivo per cui non potrà essere a Napoli. Il suo terrorismo consisteva nell’opporsi al governo tunisino attraverso la fondazione di un partito della rinascita islamica. Ghannouchi ha scritto molti libri e articoli a favore di una democrazia pluralista che rispetta i diritti individuali e comunitari. Le sue posizioni sono aperte e documentate. Certo, si tratta di una democrazia che vorrebbe fondarsi sul Corano, sul principio della libera interpretazione, della consultazione tra governanti e governati e del valore etico della politica. Di una democrazia egualitaria che può riproporre il binomio tra religione e società. La rappresentanza politica, secondo Ghannouchi, non funziona se è scissa dalla società civile. Si parte dall’identità, ma si assume il meglio dell’altro, negli strumenti e nei mezzi. Dare voce ai musulmani democratici è un imperativo del futuro perché essi interpretano le esigenze di parte consistente della società civile, una società civile che tenta di svincolarsi dall’abbraccio soffocante di molti regimi di polizia e di molti regimi corrotti e che rimane, negli atteggiamenti del popolo, una società civile musulmana. I musulmani democratici, per usare le parole di François Burgat, cercano una nuova grammatica del discorso islamico, dopo che la grammatica dell’Occidente non è riuscita a risolvere i loro problemi. Guai a identificarli automaticamente col terrorismo, come fa parte della stampa italiana mossa da evidenti pregiudizi. Si rischierebbe in questo modo di tacitare voci indipendenti che stanno cercando di adattare alle circostanze dell’oggi la loro tradizione, senza, come è giusto, abbandonarla.

 

Massimo Campanini

docente di Storia contemporanea dell’Islam e dei Paesi arabi all’Università Orientale