"IL DENARO"

14 settembre 1996

Centro storico e porto: una rottura evidente

di Michele Capasso

Sabato 3 settembre 1996. Una limpida giornata di fine estate. Napoli sembra essere la "capitale" del Mediterraneo. Nel suo golfo gareggiano 30 velieri sono tra i più belli del mondo. Richiamano antiche memorie. Quelle di una città che dialogava con il suo mare. Senza le barriere erette negli ultimi decenni da una classe politica incapace come l’Ilva di Bagnoli, la raffineria petrolifera, gli insediamenti industriali dell’area orientale e quant’altro persiste nell’area portuale e lungo la costa, sbarrando, di fatto, l’accesso della città al mare. Napoli è un’estensione iperbolica nella quale si è radicata la falsa convinzione di poter pianificare isolando "pezzi di città": senza "vedere" il "corpo della città". Nel nostro caso un corpo fragile e sensibile ad ogni mutamento, capace di reagire improvvisamente in maniera quasi "umana", con sregolatezze volute.

È come se la città si vendicasse delle violenze perpetrate su di lei.

Scrivevo più di vent’anni fa, sulle pagine di "Napoli: centro storico e politica di piano", i danni provocati dai cosiddetti interventi di riqualificazione urbana su "pezzi" del tessuto della città. Come, ad esempio, l’apertura del Rettifilo, che ha reciso l’antica articolazione del quartiere Pendino verso il mare come i nuovi edifici di via Marina, immemori della storia e della vita della città come l’interminabile barriera del porto, che isola i "centri" di Napoli dal proprio mare. Queste sregolatezze, i danni conseguenti e la "vendetta" operata dalla città sono sotto gli occhi di tutti. Auspicavo, allora, una pianificazione capace di considerare la città nel suo insieme e l’insieme della città in rapporto con il mare Pensavo ad amministratori in grado di abbandonare interessi particolari e burocrazie. Mi appellavo ai colleghi architetti e ingegneri, affinché evitassero di produrre architetture senza unità, disgiunte dalla memoria e dai simboli della città. Poco o nulla è stato fatto. All’iniezione di programmi economici, utilizzati in gran parte per alimentare inutili egoismi di pochi, non è corrisposta l’iniezione di programmi culturali capaci di valutare la storia e gli spazi della città.

Prima ho accennato ai "centri" di Napoli perché questa città ha una storicità policentrica. Il rapporto di Napoli con la storia è anzitutto un rapporto con la propria memoria ed i propri simboli. In molti casi è splendido. In altri ricade nello storicismo che ha prodotto e produce solo "architetture di accompagnamento", laddove è indispensabile avere "architetture di sostegno". C’è un problema di produzione dei luoghi della città avendo la consapevolezza che Napoli è fatta di parti in continuo rapporto con un insieme, ognuna delle quali ha un proprio "centro".

Non è possibile perciò parlare di un "unico centro". La sua storia è stata talmente densa da determinarne diversi. Come, ad esempio, piazza Mercato, piazza San Domenico Maggiore, piazza Municipio, piazza del Gesù, l’antico Largo di Palazzo – oggi piazza Plebiscito. Questi luoghi hanno costituito e costituiscono, ciascuno a proprio modo, un "centro", la cui importanza è dipesa dallo sviluppo della città e dal modo con cui si amministrava. La tipologia dei vari centri mutava col susseguirsi dei periodi storici, durante i quali la città ha avuto espansioni diverse. Come pure si modificava il rapporto tra gli stessi centri ed il porto. O i porti.

Osservando, tra le tante carte di Napoli, quella elaborata da Antonio Bulifon nel 1685, appare evidente il naturale collegamento tra i "centri" della città ed i suoi "porti" il porto di Chiaia, quello di Santa Lucia, il Molo Grande e la Lanterna, i piccoli attracchi di piazza Mercato e Mergellina, i porticcioli di Nisida, Miseno, Pozzuoli. Ciascun centro di Napoli era legato al suo porto – e quindi al Mediterraneo – anche attraverso i mestieri di artigiani, maestri d’ascia, salatori, calafatori ed ancora da luci, odori, suoni, sapori, reti, imbarcazioni, boe, funi, bitte, empori. La vita del porto e quella della città era tutt’uno le merci non solo sostavano ma venivano curate e trasformate nei luoghi più diversi della città. L’omologazione odierna ha appiattito ogni differenza. Il porto di Napoli appare oggi in gran parte come un cimitero recintato dove si vagola tra scheletri di moli non utilizzati, gru, cantieri in disuso, containers arrugginiti, officine dismesse.

Esiste un rapporto essenziale tra il centro storico ed il porto. I problemi del centro storico e del porto sono tra loro collegati, senza tuttavia ridursi o sottomettersi gli uni agli altri. Come pure la problematica del porto non può essere ridotta a quella del centro storico e viceversa hanno un’autonomia di cui occorre tener conto. Oggi esiste, a Napoli come nelle principali città mediterranee, una rottura evidente tra il centro storico ed il porto. Da quando antichi "dialoghi urbani" sono andati perduti, cancellati dall’ignoranza e dall’incompetenza. L’evidenza di tale rottura a Napoli è rappresentata proprio da quella "ringhiera" che fende la città da San Giovanni a Teduccio, fin oltre piazza Municipio.

La rielaborazione dei vari centri della città e la sua espansione non è coincisa con il ripensamento dell’area portuale. Forse perché Napoli, già nella sua primitiva evoluzione, non si riduceva solo al suo porto. Nel Mediterraneo vi sono molte città nate dal porto. Napoli invece ha una genesi duplice da un lato il suo sviluppo sulla costa, dall’altro l’importanza storica del suo approdo. Non è quindi una città la cui origine si riduce alla presenza del porto, come, ad esempio, Genova. Una multipolarità caratterizza l’evoluzione di Napoli dove un tempo esistevano molteplici corrispondenze con il mare e con i suoi porti. Occorre ritrovare queste corrispondenze seguendo criteri di efficienza ed utilità, ma, soprattutto, di estetica ed integrazione con il tessuto urbano un esempio ben riuscito è quello di Barcellona.

Credo importante avere l’umiltà di imparare dai grandi errori commessi nel passato, non solo a Napoli. Ritornando a Genova, in questa città la sopraelevata ha svalorizzato lo spazio del porto che oggi, a grande fatica, viene recuperato. È quindi indispensabile fare riferimento alle esperienze delle altre città. Nel porto storico di San Francisco, ad esempio, è rinata una nuova vita sociale ma anche nella stessa Genova, come a Trieste, Marsiglia ed altre importanti città portuali, sono stati recuperati spazi importanti per attività legate a convegni, esposizioni, ospitalità e tempo libero.

Napoli oggi costituisce uno dei casi peggiori. Gli spazi inoccupati, i "vuoti del porto", esteticamente nulli, devono essere ripensati con competenza e garbo in relazione alla storicità della città. Non è solo un lavoro di pianificazione urbana. Deve essere accompagnato da una dimensione storico-culturale capace di indirizzare gli amministratori per risolvere nella sua interezza, e non a "pezzi", il destino del porto e della costa di Napoli.

La Fondazione Laboratorio Mediterraneo dedica da tempo particolare attenzione al destino dei porti delle principali città mediterranee, promuovendo studi, dibattiti e ricerche tesi a sensibilizzare tutti coloro che possono contribuire a recuperare spazi indispensabili per la vita di queste città. Sono state attivate finora collaborazioni con la città di Trieste, per il recupero del "Vecchio porto" con quella di Genova, per la valorizzazione culturale dell’area del "Porto Antico" e, infine, con le città di Marsiglia e Barcellona.

A Napoli la posta in gioco è recuperare un’area indefinibile che imprigiona il cuore di questa città allontanandola dal Mediterraneo. L’unico metodo credibile è "entrare in rete" con le altre città e con diverse professionalità confrontandosi con competenza attiva. Non si commetta, anche in buona fede, l’errore di rinchiudersi nel proprio guscio. Questa volta risulterebbe fragile e, come tale, immediatamente frantumato.

Nota:

A partire dal maggio 1998 sono state attivate procedure concrete per eliminare la barriera che divide il porto di Napoli dal resto della città. All’inizio di agosto 1998 viene demolito parte del muro tra il Molo Beverello e Piazza Municipio.