"IL DENAR0"

8 febbraio 1997

La rabbia dell’Est*

di Michele Capasso

Sabato 25 gennaio 1997. Trieste. Incontro Anna Chmil, vice ministro della cultura dell’Ucraina. Chiede maggior interesse verso il suo Paese 60 milioni di abitanti, orfani di vecchie ideologie, che "sognano il Mediterraneo". Ad un certo punto, le parole della dolce austera signora esprimono – sia pur filtrate flemmaticamente dall’interprete russo – una forte rabbia. L’Ucraina è attanagliata da una crisi economica senza precedenti. Il gasdotto, le centrali nucleari, le difese e gli armamenti nucleari ereditati dalla ex Unione Sovietica sono problemi di difficile gestione. Spesso gli ucraini credono di "non saper spostare nemmeno un foglio di carta". Sembrano "bambini ai quali viene affidato un mitra carico facendo credere loro che si tratti di un giocattolo". Chiedono, a voce alta, di capire come sia possibile equilibrare risorse mal sfruttate con nuovi e vecchi bisogni sempre più impellenti. Si rivolgono all’Europa. Ed ai popoli mediterranei.

Venerdì 31 gennaio 1997. Con Ismail Kadaré commentiamo i fatti d’Albania. Ancora una volta mi dice che la stampa internazionale riporta solo una minima parte di ciò che accade nel suo Paese. Su quella italiana si esagera – come al solito – enfatizzando episodi legati alla prostituzione o alla criminalità. Il mondo dell’Est – quello dell’ex Europa "cosiddetta" dell’Est – ha un disperato bisogno di verità. Non ha la solidità per sopportare le inutili e contraddittorie storielle che ci raccontano ogni giorno i nostri giornali.

All’inizio del 1995, intervenendo in una delle tante manifestazioni a favore della pace nei Balcani, accennai al rischio che quella regione potesse diventare completamente preda di vecchie e nuove mafie. Più specificamente, riferendomi all’Albania, sottolineai il pericolo di truffa nei confronti della popolazione derivante da "finanziarie" capaci solo di dare l’illusione di arricchimenti facili. Ho parlato di questo alcuni giorni fa con Federico Bugno, inviato de "L’Espresso". Abbiamo commentato la rabbia delle vittime di una truffa definita "delle finanziarie a piramide". È l’antico metodo – mai tramontato – della "catena di Sant’Antonio". Questi sciacalli hanno rastrellato forse più di mille miliardi di lire dalle tasche degli albanesi promettendo interessi compresi tra il 30 e il 70 per cento all’anno. Un sistema anomalo, conosciuto da tutti, ma non dagli albanesi, forse a causa dei cinquant’anni di isolamento dal resto del mondo. Il 20 per cento della popolazione è stato in questo modo defraudato dei propri risparmi.

Alcune settimane fa – vedi "Il Denaro" del 14.12.96 – ho scritto, quasi prevedendo quanto sarebbe accaduto, che "in Albania ci troviamo di fronte alla brutta copia di un capitalismo alterato, disinibito, privo del controllo delle democrazie". Ho concluso quell’articolo con i versi dell’amico Kadaré che ci narrava di "una palla di stracci, quelli grigi di Albania". Come stracci sono stati trattati oggi i poveri albanesi. Queste cinque finanziarie, che da cinque anni operano alimentate da fondi neri frutto di traffici illeciti per la vicina guerra in Bosnia, hanno riportato indietro la Storia. Il presidente Berisha dice che rimborserà il capitale perduto. Pochi ci credono sembra evidente il legame tra lo Stato e le finanziarie, giustificato dall’assenza di leggi che autorizzino l’istituzione di banche private. Ecco perché queste "piramidi" sono diventate l’unico canale per raccogliere i risparmi di un popolo che, grazie anche all’aiuto di investimenti italiani, aveva iniziato il lungo cammino della ripresa economica.

Lunedì 3 febbraio 1997. Raiuno trasmette il bel film di Gianni Amelio "Lamerica". Gli albanesi aggrappati alle navi sembrano appartenere alla storia passata.

Martedì 4 febbraio 1997. Gad Lerner porta il suo "Pinocchio" a Tirana. Tra gli ospiti, il sindaco Antonio Bassolino. Emergono, dal dibattito, spunti interessanti "L’Europa ha un preciso dovere verso l’Albania" – dice Bassolino – "perché questa nazione non è una porta verso l’Europa, ma è già Europa". Una suora evidenzia il ruolo nefasto dei media occidentali che hanno alimentato illusioni e promesse irrealizzabili. Delle finanziarie si parla poco. S’invoca l’aiuto serio di strutture internazionali come il Fondo Monetario e la Banca Mondiale. La chiusura è affidata al sindaco di Napoli che – posto di fronte ad una ipotetica concorrenza tra le imprese italiane in Albania e quelle del Sud d’Italia – chiede una coesistenza pacifica, l’interscambio di manodopera a tempo e, soprattutto, l’istituzione di "regole" per controllare l’immigrazione ed incrementare la formazione affinché l’Italia consideri l’Albania un paese partner per lo sviluppo. Un imprenditore dell’Italia del Nord minaccia il sindaco Bassolino: "attenti, l’Albania farà passi da gigante, avrà un tale boom economico da distruggere l’economia del mezzogiorno d’Italia". Parole al vento. Le ragioni dell’economia vanno di pari passo con quelle della cultura.

Giovedì 6 febbraio 1997. Riesplode la rabbia degli albanesi truffati. La tivù trasmette le immagini di un mare Adriatico calmo e assolato dove sostano, lontano dalla costa, mercantili e pescherecci. Li hanno fatti uscire di corsa dai porti perché sussisteva il serio pericolo che gli albanesi di Valona, esasperati per la truffa subita, volessero imbarcarsi verso l’Italia. Le immagini di Amelio ne "Lamerica" si ripetono. Gli auspici di Bassolino e degli altri ospiti di Lerner sembrano svanire dopo appena 48 ore.

"I Balcani sono sempre i Balcani, lo zoccolo fragile d’Europa" mi dice Izet Sarajlic; da Sarajevo.

Quest’area geografica è più che mai al centro dell’attenzione internazionale. E non solo per le "piramidi" d’Albania che rischiano, ormai, di sgretolare la struttura precaria del Paese. Bisogna ancora parlare di Serbia, Bosnia, Kosovo, Macedonia, Romania, Bulgaria. Anche se da Sofia il presidente bulgaro Petar Stoianov ha lanciato un appello al governo socialista ed all’opposizione affinché concordino una tregua che conduca, pacificamente, la Bulgaria ad elezioni anticipate a maggio, la fragilità di quest’angolo d’Europa è rimasta immutata. Come un secolo fa.

Prima Belgrado, poi Sofia, ora Tirana quest’anno è tragicamente iniziato con tre storie diverse solo in apparenza. È il paradosso di una transizione incompiuta. I popoli dell’ex Europa dell’Est, senza più eredi né alcuna eredità, si sentono abbandonati da noi "occidentali ricchi e potenti".

Tra un’Europa insensibile a queste forze in movimento e gli "arrabbiati dell’Est" si apre una voragine sempre più larga e profonda. Il fallito rinnovamento in Albania, il falso cambiamento in Bulgaria – dove i politici del vecchio regime sono rimasti al potere illudendosi di poter continuare come prima – ed il tradimento in Serbia – dove Milosevic; ha difeso quel paleo-nazionalismo che ha originato la barbarie e la distruzione della ex-jugoslavia e che rischia di coinvolgere il Kossovo in una pulizia etnica – sono l’epilogo di una grave infezione in un’Europa dell’Est che si sente tradita.

La fragilità di quest’area è dovuta senza dubbio alla complessità della sua storia, alle invasioni e dominazioni che hanno lasciato insediamenti etnici e culturali differenti – cioè popolazioni che sono state costrette ad esporre la propria identità e a farla sopravvivere con metodi selvaggi – ma anche e soprattutto alla fragilità del sistema economico. Questo stato di cose, questa "rabbia dell’est", sembra destinata a durare all’infinito.

Ciò che dovrebbe cambiare è l’atteggiamento dell’Europa.

Anche l’Italia dovrebbe ascoltare di più questo grido di dolore, perché è suo interesse colmare il vuoto strategico presente nel Mediterraneo Centrale.

Il ministro degli Esteri Dini, in una recente intervista al "Corriere della Sera", ha sostenuto che la politica estera della Unione Europea deve essere comune. Siamo più o meno tutti d’accordo su questo. Tuttavia è necessario non far ricadere tutte le responsabilità su Bruxelles. Occorre interessare la Società Civile.

Per questi motivi la Fondazione Laboratorio Mediterraneo intende sviluppare il partenariato euromediterraneo esaminando, valutando ed esaltando le potenzialità dell’Italia e del Mediterraneo Centrale. L’obiettivo è quello di far sì che la nostra nazione – naturale "passerella" tra il Mediterraneo e l’Europa – si proponga come partner essenziale per lo sviluppo e la cooperazione dell’intera Regione e, soprattutto, dei Paesi dell’Est che si affacciano o convergono sul Mediterraneo.

Il II Fòrum Civil Euromed – che la Fondazione Laboratorio Mediterraneo svolgerà in Italia alla fine di quest’anno – avrà lo scopo di riunire la Società Civile su temi di vitale importanza al fine di proporre progetti e soluzioni concreti.

La speranza è che finalmente si possa comprendere che la sicurezza dell’Europa richiede che lo sviluppo economico, culturale e democratico dell’Est sia un’assoluta, imprescindibile priorità.