"IL DENARO"

3 maggio 1997

Malta, microcosmo culturale tra oriente e occidente*

di Michele Capasso

Domenica 13 aprile 1997. Mdina è una cittadella nel cuore di Malta, "la vera regina dell’isola". Cammino in questi luoghi ed è un viaggio attraverso 4000 anni di storia. Si percepisce un senso di aristocrazia, l’atmosfera serena e riservata dei palazzi, delle chiese e delle mura evoca l’immagine di una regina seduta su un trono che accetta ossequi e saluti, ma con distacco. Eppure Mdina sprigiona un grande calore: quello dei suoi abitanti.

Vicino a Mdina ecco Rabat, un altro angolo di Malta le cui origini risalgono ad oltre 4500 anni. I Fenici eressero una cinta di fortificazioni intorno a Rabat e Mdina nel 1000 a. C. e chiamarono la città "Mahlet" che significa "rifugio", "luogo protetto". Questo senso di protezione si avverte tra le mura, tra la gente, nel silenzio della memoria, tra i marmi della Chiesa di San Benedetto.

Domenica 13 aprile, ore 21. Rischio la vita attraversando la strada perché, per un attimo, dimentico l’usanza della guida a destra: abitudine inglese che poco si addice ad un popolo mediterraneo. Tratto con un tassista – che non parla italiano – la cifra di 6 lire maltesi per il tragitto Mdina-Valletta. Il suo figlioletto undicenne, che lo accompagna, parla invece un italiano perfetto: lo ha appreso seguendo i programmi delle emittenti televisive italiane. E in effetti, dopo quella inglese, durata 164 anni (Malta si è resa indipendente da poco più di un trentennio), una nuova colonizzazione è in atto: quella dei media. La "colonizzazione" televisiva italiana sta creando nuovi problemi in quest’isola-nazione, da sempre luogo di incontro e sintesi tra influssi culturali diversi: dall’arabo allo spagnolo e all’italiano, dal francese all’inglese. Questo processo deviato di "italianizzazione" va governato e regolato scientificamente. Ne parlo con l’ambasciatore italiano a Malta, Marco Colombo, che condivide con me la necessità di promuovere lo sviluppo della complessa identità maltese unitamente alle sue molteplici componenti.

Sono a Valletta, città dei Cavalieri.

"Dal Forte Sant’Elmo, si gode la vista più bella della Valletta. Gli occhi possono pascersi della vista panoramica del porto, dei moli, delle isole dirimpetto e del mare. Valletta è costruita in un modo impeccabile, e la struttura della città è molto chiara. Il visitatore ammira la grazia e la bellezza di una città che è situata su una roccia, e abbina la comodità e il buon gusto. Essendo una specie di microcosmo, manifesta tutte le bellezze dei luoghi più fortunati d’Europa. In modo particolare sono da notare le vie e i marciapiedi della città. Questo è dovuto al colore insolito della pietra, insieme con la sua pulizia e il suo ottimo stato di conservazione". Così scriveva in "Reisen durch Sicilien und Malta" (1796) il conte Johann Michael Von Borch.

Valletta deve in gran parte la sua esistenza all’orda di predoni turchi di Solimano il Magnifico. Se il Sultano, nemico giurato dei Cavalieri, non avesse attaccato Malta nel 1565, con un esercito composto da 40000 giannizzeri e un feroce drappello di mercenari, con tutta probabilità Valletta non avrebbe il fascino che sprigiona attualmente. In termini numerici i Cavalieri erano nettamente inferiori; tuttavia il loro comandante, il Gran Maestro Jean de La Valette, conosciuto come il più grande condottiero dei suoi tempi, era appoggiato da un numero di Cavalieri di eccezionale valore e si preparava al "Grande Assedio", come lo chiamarono in seguito i maltesi, forte di circa 600 Cavalieri, 1500 soldati e 7000 civili armati. I turchi decisero di attaccare Forte Sant’Elmo, una postazione chiave che dominava i due porti sulla costa nord-orientale.

La penisola di Sciberra, tra Marsamxett e il Grande Porto, era la postazione strategica più ambita dai turchi che furono sul punto di impossessarsene se non fosse stato per la tenacia di La Valette e dei suoi uomini. Contro ogni previsione, l’esercito di Solimano non attaccò Sant’Elmo dal mare ma via terra, arrivando senza sforzo sino ai suoi bastioni. Comunque, La Valette rifiutò le condizioni per una resa onorevole e chiamò in aiuto il Viceré di Sicilia. Dopo vari e fallimentari attacchi contro Forte Sant’Angelo, nonché numerose e feroci battaglie, i turchi furono alla fine scacciati.

La Valette, uomo di cultura ed intuizione, decise che la nuova città doveva servire non solamente come forte inespugnabile ma anche da importante centro economico, politico e culturale del mondo. Per questa ragione decise che Valletta doveva diventare una città elegante e raffinata. In onore a ciò, la città doveva essere conosciuta come Valletta, capitale di Malta.

Come architetto resto affascinato quando osservo questa città.

Incoraggiato da Gabrio Serbelloni, uno dei più quotati strateghi ed ingegneri militari del suo tempo, La Valette inizia il suo piano. Il 28 marzo 1566 fu posta la prima pietra con inciso il motto della nuova città, "Raison d’etre", che il Priore in persona consacrò. Il Gran Maestro stesso mise in posizione il primo blocco di pietra. Le donazioni fioccavano da tutta la Cristianità: in poco tempo la città di Valletta cominciò a prendere forma. Centinaia di schiavi assieme a lavoratori ingaggiati per l’occasione dalla Sicilia e lavoranti giornalieri provenienti dagli adiacenti villaggi confluivano sui pendii di Valletta: in brevissimo tempo la penisola cambiò volto. Mai nessuna città in Europa era stata costruita ex-novo strettamente a tavolino; in passato le città si sviluppavano in modo disordinato con tutte le carenze relative ad una crescita disorganica. La città fu tracciata su un comune reticolato e dotata di ampi fossati sotterranei e canali scavati nella pietra. Questo sistema permetteva agli abitanti di gettare con molta facilità i rifiuti in una cavità ricavata nel cortile delle loro case: ogni mattina infatti un esercito di schiavi sarebbe passato a ritirare l’immondizia per poi eliminarla. Due volte al giorno gli incavi venivano puliti con acqua di mare, mentre i liquami venivano convogliati verso lontani siti marini. Questo sistema preservava gli abitanti di Valletta dalla sporcizia e dagli effluvi soffocanti che infestavano le altre maggiori città europee. Ci si può immaginare quanto questa città rispondesse ad un’architettura futuristica ed unica se paragonata alle altre del periodo con i loro inefficienti sistemi di raccolta dei rifiuti e scarico delle acque fognarie. Unico a Valletta era anche il preciso reticolato costituito dall’intreccio delle vie, ideato per permettere al vento di entrare liberamente in città per attenuare il caldo durante l’estate. Al contrario, nella precedente capitale, Birgu, i Cavalieri avevano molto sofferto per il caldo elevato dei mesi estivi. Particolare interessante è che, come oggi, anche allora Valletta aveva i suoi dipartimenti per i piani regolatori che si occupavano di porre un freno alla speculazione edilizia e controllare tutte le opere di costruzione. Gli edifici non potevano sporgere sulla strada rendendo il passaggio più stretto del dovuto; i giardini davanti alla casa e gli spazi vuoti tra un palazzo e l’altro dovevano essere aboliti. Ogni edificio inoltre doveva esporre una scultura a ciascuno dei suoi angoli, di preferenza un santo, ed essere dotato di un pozzo per la raccolta dell’acqua piovana; la cosa più importante era che ogni casa doveva essere collegata alla rete fognaria pubblica.

A mio padre – sindaco per 35 anni di un piccolo paese –, che utilizzava alcune di queste metodologie nel suo "quotidiano amministrare" credendo "ingenuamente" di attuare importanti innovazioni, ho spesso ricordato che Malta ne faceva uso da almeno 4 secoli.

Capolavoro architettonico, Valletta divenne il fulcro della vita politica, economica e culturale europea nella quale commercio, artigianato e arti fiorivano continuamente. Lo standard di vita dei Cavalieri cambiò radicalmente in un brevissimo lasso di tempo. Con il passare degli anni, infatti, essi si dedicarono sempre meno alla difesa del cristianesimo, all’assistenza degli indigenti e dei malati e sempre più alla costruzione di chiese e palazzi per acquistare lustro. Inoltre, quando la minaccia turca si ritrasse verso la fine del secolo, i Cavalieri iniziarono ad assumere un atteggiamento poco rispettoso degli antichi principi morali e maggiormente rivolto agli aspetti puramente edonistici della vita. Valletta è rimasta illesa e la sua bellezza intatta come 4000 anni fa.

"La bellezza di Malta, la sua limpidezza e la sua luminosità da incanto; una limpidezza che, quando viene trasferita sulla tela, sembra di una chiarezza troppo fantastica per essere vera o artistica. Ma nella sua attualità è sia leggiadra sia piacevole. Le nuvole sono frammenti trasparenti del velo di una ninfa marina, macchiate di tinte caleidoscopiche, rosa, gialle e verdi". Così scriveva Wignacourt ne "L’uomo eccentrico a Malta" nel 1914.

Lunedì 14 aprile, ore 10. Sono a Gozo, terza isola dell’arcipelago maltese. È un luogo dove la vita sembra si sia fermata. Un paradiso in cui rifugiarsi quando si desidera un po’ di tranquillità. Per arrivarci ho preso il traghetto dalla punta più a nord di Malta. La traversata è di 30 minuti, durante i quali si intravede l’incantevole laguna blu spiando attentamente attraverso una stretta apertura della roccia sulla linea costiera. L’isola attrae per la sua insolita atmosfera e per la sua bellezza.

La storia delle isole maltesi si snoda attraverso i secoli sin dal periodo preistorico, quando l’arcipelago faceva parte di un vasto territorio che si estendeva dal nord dell’Africa all’Europa. A Xaghra si innalzano monumenti megalitici considerati i più antichi del mondo: i templi di Ggantilia, costruiti intorno al 3500 a. C., un centinaio di anni prima delle piramidi egizie. Gozo è stata governata da diversi popoli tra cui i Fenici, i Cartaginesi, i Romani, gli Arabi. Sono stati però i Cavalieri dell’Ordine di Gerusalemme che hanno lasciato un’impronta determinante sull’isola. I più antichi villaggi furono costruiti sulla cima delle colline, in modo che gli abitanti potessero trovare protezione ed avessero così una buona visuale sulla campagna circostante. Per secoli l’isola è stata rifugio di corsari e pirati che spesso facevano razzie nelle fattorie e nei villaggi di Gozo e rapivano gli abitanti per venderli come schiavi.

Al centro di Gozo si innalza la cittadella, dalla quale godo di una vista meravigliosa su tutta l’isola: per secoli è stata il luogo più sicuro per gli isolani. Dopo il Grande Assedio nel 1565, per volere dei Cavalieri, fu attorniata da bastioni e per molti anni gli abitanti furono obbligati per legge a trascorrere la notte al loro interno. Nella cittadella ha sede la Cattedrale, un capolavoro di Lorenzo Gafà che ha progettato anche l’antica cattedrale di Mdina. Si trova dove all’epoca dei Romani sorgeva il tempio dedicato a Giunone.

Gozo mi attrae per due particolari fenomeni naturali a Dwejra: il Mare Interno e il Fungus Rock, dove si dice che i Cavalieri avessero trovato un’erba dalle proprietà medicinali. Accanto si può ammirare la Finestra Azzurra, un foro naturale della roccia dal quale si scorge ancora più intenso il colore del mare, la Basilica di Ta’ Pinu, centro di pellegrinaggi e la nuova chiesa di Xewkjia con una delle cupole senza impalcatura più grandi del mondo.

Mercoledì 16 aprile, ore 14. Prima di lasciare Malta visito Cottonera. In un piccolo ristorante assaggio il "Ross fil-forn" e la "Kapunata". Il Ross fil-forn è riso con carne tritata e sugo di pomodoro cotto al forno. La Kapunata si prepara invece con pomodori, peperoni verdi, melanzane ed aglio e fa da ottimo contorno al pesce fresco grigliato. Inutile dirlo: tutte queste delizie si gustano con larghe fette di croccante pane maltese (Hobza). Un’altra deliziosa componente rustica dell’alimentazione nazionale è il Hobz biz-zejt (pane all’olio), una volta pranzo all’aperto tradizionale del contadino e dell’operaio. È un disco di pane croccante immerso in olio d’oliva, sul quale si strofina un pomodoro fresco tagliato. Viene poi ricoperto di capperi, olive, aglio, sale e pepe nero. Talvolta si aggiungono acciughe o tonno, con menta o basilico fresco.

È un mistero la ragione per cui Cottonera ed in particolar modo Vittoriosa siano escluse dalla maggior parte degli itinerari turistici: vi si trovano infatti alcune tra le più significative vestigia storiche e culturali dell’isola. Il nome Cottonera risale al Gran Maestro Nicholas Cottoner che nel 1670 iniziò a costruire un muro di fortificazione per proteggere le tre città di Vittoriosa, Senglea e Cospicua che rientrano nell’area conosciuta oggi come "Cottonera".

Molti sono gli storici che considerano l’area intorno a Dockyard Creek come la culla della storia maltese. È persino probabile che il nome di Malta derivi da questo luogo: in passato infatti era conosciuta come "Malet", un nome di origine fenicia che significa pressappoco luogo protetto o sicuro. I Fenici, pionieri della navigazione nel Mediterraneo, furono i primi nell’evidenziare l’importanza strategica di Malta. Nella località di Tas-Silg eressero un tempio che si affaccia sulla baia di Marsaxlokk, dedicandolo alla dea Astorte al fine di innalzarle preghiere e ringraziarla per l’aiuto da lei concesso nelle missioni riuscite. Il vecchio costume di apporre due occhi sulla prua delle loro barche da pesca risale anch’esso ad un’usanza fenicia. I coloratissimi "luzzi" sono sinonimo dell’isola di Malta: i loro occhi sono là per avvisare di ogni pericolo imminente e scacciarlo prima che si manifesti. Nessun costruttore di barche o pescatore maltese si sognerebbe mai di dimenticarsi di questo "espediente di sicurezza".

Costruzioni navali e lavori di cantiere sono stati dal Medio Evo le principali risorse di Cottonera ed indubbiamente ancora oggi rappresentano la maggiore fonte di reddito. Anche dopo il ritiro inglese, i cantieri continuarono ad essere attivi modernizzando le loro strutture e rendendo i prezzi competitivi.

Parto da Vittoriosa per Valletta con la tipica "dghaijse". Un’esperienza indimenticabile. Troppo breve. Il volo Malta-Catania-Napoli mi attende.