"IL DENARO"

28 settembre 1996

L’oro del Mare Nostrum

di Michele Capasso

Roma, 25 settembre 1996. Con predrag Matevejevic; parliamo a lungo del pane del suo significato nel nostro mare.

Sulle sponde del Mediterraneo, nelle aree in cui il cibo manca più che altrove da secoli scoppiano le guerre. Il nostro mare ed il pane nostro si cercano e si perdono l’un l’altro. Il cibo – in primo luogo il pane – diventa uno slogan essenziale lo ritroviamo nella preghiera e nella rivendicazione. È un bisogno e un sogno.

Fare il pane diviene un atto rituale e la ripetizione di questo gesto porterà alla nascita di un mito: ogni storia, racconto, vicenda umana, collegata all’evento rituale della donna che impasta acqua e farina, reiterato di giorno in giorno, per anni, per secoli, diventa parte del prodotto che darà nutrimento all’uomo. Questi, a sua volta, durante il pasto del pane, al ritorno dalla pastura degli animali, seduto insieme agli altri uomini, portando la "pietra" del pane alla bocca, racconterà altre storie, altre vicende, storie passate e previsioni di vicende future. L’energia che il pane trasmette al pensiero dell’uomo, per la sua semplicità e per la sua composizione che mescola insieme i due elementi dell’acqua e della terra, componenti base della struttura organica del corpo umano, traduce il peso della sostanza nutritiva – la pietra del pane – nella leggerezza del linguaggio e nella luce del pensiero. Il pane è dunque l’oggetto "mitico" e il catalizzatore del pensiero: l’oro del Mediterraneo.

La scoperta del pane, la sua invenzione, coincide con il passaggio dalla vita nomade all’insediamento stabile della comunità umana. Il pane nasce nella casa ed il processo di gestazione della sua invenzione è collegato a questa presa di contatto dell’uomo con la terra, nello sguardo che l’uomo "pastore" posa sui campi attraversati, contro la fuga dello sguardo che l’uomo "cacciatore" rivolge intorno a sé per cercare la sua preda. La nascita del pane coincide con questo spostamento dell’attenzione dell’uomo dal mondo animale a quello vegetale ed è accompagnato da una percezione diversa del tempo che scandisce la vita del lavoro e della comunità: dalla rapidità della caccia alla lentezza o ponderazione della vita itinerante del pastore legato alla permanenza stabile della donna nella casa. Diciamo pure che il processo che andiamo a descrivere condurrà ad un evoluzione della natura più propriamente umana – spirituale – dell’uomo, attraverso un avvicinamento alla terra che rivela gli stretti rapporti di parentela tra l’uomo e gli animali, precedentemente cacciati, ora addomesticati. L’uomo addomestica e quindi osserva la vacca, la pecora, il cavallo, il cane, il gatto. Gli animali erbivori suggeriscono di cibarsi dei frutti della terra e la donna comincia a raccogliere vegetali (radici, frutti, semi) che all’inizio vengono mangiati crudi. Lucrezio, Ovidio, Plinio ci tramandano notizie di questa prima fase, nella quale i popoli si cibavano di farina dei fagioli, ghiande e frutti di palma. In realtà si può affermare che il concetto del pane nel Mediterraneo esistesse prima del pane stesso: la sua preparazione fu la risposta naturale ad un bisogno e ad una domanda che cominciarono ad assillare gli esseri umani riuniti nel consorzio civile, messi di fronte all’aumento crescente delle bocche da sfamare. A questa prima domanda – "come nutrirsi?" – alla quale il pane fornì una risposta, fece seguito una serie di considerazioni sulla natura di questo alimento che soddisfacevano gli altri interrogativi e placavano i dubbi in merito all’adeguatezza e superiorità del pane rispetto ad altri possibili "rivali".

La conservabilità del suo elemento base, i cereali, fu un primo fattore decisivo che però non escludeva la scelta di altre graminacee: l’orzo, il miglio, l’avena.

Come accade per tutti i passi fondamentali del cammino dell’umanità, anche la nascita del pane è avvolta da un alone di mistero e di incertezza relativamente al luogo e al momento preciso della sua comparsa. Così come per il grano, dove la paternità è contesa dalle regioni limitrofe al fiume Nilo e al fiume Giordano e dall’Abissinia, allo stesso modo ci sono vari paesi del Mediterraneo che bisticciano per attribuirsi il titolo di "cornucopia" del mondo, e tra di loro c’è anche la Sicilia.

Altro motivo fondamentale che fece pesare la bilancia decisionale nella direzione del grano piuttosto che di altri cereali, fu la sua resistenza alle intemperie, al freddo e al gelo che nell’antichità raggiungevano picchi altissimi, ai limiti della sopportazione.

Per quanto riguarda la preparazione del pane, uno degli aspetti più curiosi è quello riguardante il modo nel quale l’uomo arrivò all’ideazione del processo di molitura. Anche qui egli fece ricorso, evidentemente, all’osservazione di un meccanismo naturale e spostando lo sguardo dai frutti della terra agli animali che di quelli si cibavano, se stesso incluso, si appropriò della masticazione e ne tradusse la manualità attraverso l’invenzione della molitura. La riduzione del cereale in farina era già un passo importante verso l’istituzione del cibo per eccellenza; ma fu la possibilità dell’aggiunta del lievito a dire l’ultima parola. La crescita dell’importanza del pane nella storia nutrizionale dei popoli mediterranei e dell’umanità intera è propiziata dalla lievitazione della sua massa ad opera della birra, cioè del lievito di birra, che era conosciuto fin dai tempi di Babilonia.

Il lievito introduce un fattore creativo nella prassi artigianale del pane: esso è l’elemento che permette all’uomo, come soggetto creativo e pensante, di concrescere all’oggetto della sua creazione, innestando la sostanza ed il tempo dell’idea sul corpo della prassi. Le varie forme e qualità che il prodotto assume, variando la natura del processo di creazione, è ciò che rivela all’uomo la sua natura di homo faber. In questo senso la farina è l’equivalente dell’argilla e dei mattoni utilizzati per fare la casa, ed alla costruzione della casa corrisponde la costruzione dei forni, cioè degli strumenti necessari per condurre a compimento il lavoro. Il forno è la fucina dove si forgia l’idea che si esprimerà nell’oggetto che viene fuori, una volta terminato il processo, nella forma di un mattone per la costruzione della società, oppure nella forma del pane, quella che viene chiamata "pietra filosofale" che consente di estrarre l’oro del pensiero.

Dalla terra – farina, sabbia, argilla – combinata alla fluidità dell’acqua, dopo il suo passaggio nella forgia del fuoco, si approda all’aria: la leggerezza della parola e dell’idea. Questo parallelo ci porta, ancora una volta, a fare un’incursione nella filosofia e nella religione. Che nasca dai quattro elementi dei presocratici oppure dalla terra dei cristiani, nel mito della creazione del primo uomo è implicito il sorgere dell’homo faber, "sinolo indissolubile di natura naturata e ragione ragionevole" – come voleva Locke –, che appone la sua impronta, il marchio della sua ragione nella materia, oggetto del suo fare. Ebbene l’homo faber, che come soggetto autocosciente nasce nel 700 ma come semplice artigiano – fabbro, fornaio, falegname, scrittore – comincia la sua carriera perlomeno dal tempo in cui si può datare l’invenzione del pane, è colui che si impadronisce del tempo e lo scandisce secondo il ritmo della "durata delle proprie idee". Il suo piacere nell’osservazione del processo di produzione è tale da consentirgli di impastare le proprie idee contemporaneamente all’impasto del materiale che ha di fronte, senza sentire noia oppure distacco per l’azione che sta compiendo la quale corrisponde alla traduzione dell’idea in una forma. Nella storia del pane questo rapporto con la forma è della massima importanza: forma conica, concava, tonda, piana sono il supporto che l’uomo predispone al proprio operare affinchè la sua creatività non fluisca all’infinito e sia materiata in un oggetto; affinchè il tempo della creazione non fluisca ininterrottamente e si condensi invece in una porzione limitata dello spazio.

Alla ritualità ed al godimento dell’uomo nel tempo individuale della produzione del pane, corrispondono l’atto rituale e il piacere della mensa, momento nel quale veramente il pane diventa oggetto mitico, e la sua fruizione collettiva, autentico rito. L’essere commensali, il piacere della mensa sono immensamente importanti per gli antichi, a partire dagli egizi e dai latini. E se risaliamo ancora la china della tradizione vediamo che la questione del convivio rituale, nel suo collegamento con il pane in quanto simbolo, è tema centrale ed emblema profondo della Bibbia: il pane sudato, frutto del lavoro dell’uomo e oggetto di sacrificio come il corpo dell’uomo stesso, messo a dura prova nel lavoro della terra ed offerto come sacrificio nel corpo di Cristo durante l’Ultima Cena. Dunque, la consumazione del pane non è mai un atto inconsapevole ma sempre accompagnato da meditazione sul processo, e dunque sul "tempo" significativo della sua preparazione. Ci troviamo, ancora e sempre, di fronte al connubio ed all’"impasto" idee-materia, pensiero e pane: impasto che ritorna ancora nella coniugazione di pane e memoria. Possiamo dire, a questo proposito, che il lievito è la memoria del pane: il tempo della lievitazione è il simbolo del fermento della storia che accompagna la crescita dell’uomo, delle sue idee e della sua prassi. E se ci spingiamo oltre nella metafora che abbiamo stabilito, possiamo ben affermare che la lievitazione rappresenta l’innesto della storia sulla natura dell’oggetto. Ecco che allora, come coacervo di storia e natura insieme, e quindi simbolo dell’uomo, il pane diventa "pane di commemorazione", prestandosi alla celebrazione della nobile essenza dell’uomo. Non a caso, l’immagine del pane è riproposta iteratamente dall’iconografia sacra e profana. Nella Bibbia si pone l’accento sull’"epifania" del pane, sul pane che si fa vedere, che si espone. Raccogliendo questa prescrizione, gli artisti incentrano il racconto degli eventi sacri intorno alla figura del pane, o quantomeno rivestono tale elemento di enorme dignità allegorica ed estetica.

L’enfasi con cui si sottolinea, in campo religioso, l’importanza del pane trova corrispondenza nel campo politico dove la leggendaria "distribuzione dei pani e dei pesci" della tradizione biblica non è altro che l’astrazione di un’esigenza pratica, di un bisogno avvertito sempre di più: quello di "trovare" il pane da dare alla gente. Basti pensare che le riforme di Caio Gracco sono collegate al pane e che a partire da questo momento si instaura un meccanismo tipico della politica teso a conquistare oppure alienare il favore delle masse con provvedimenti su questo alimento: fino ad arrivare ad una vera e propria demagogia del pane. Esistono una serie di decreti a proposito del pane nella legge romana che ai nostri occhi possono apparire estremamente curiosi: ad esempio, sappiamo che per avere la cittadinanza bisognava dimostrare di "avere" il pane, che equivale ad essere in grado di assicurarsi autonomamente la sussistenza. Secondo un decreto di Traiano, il fornaio forestiero che forniva il pane per tre anni di seguito acquistava automaticamente il diritto alla cittadinanza.

Esiste una Poetica del pane. Se abbiamo paragonato la preparazione del pane a quella di un’opera di creazione, è ovvio che, come in ogni arte che si rispetti, anche in quella del pane si conferisce un valore particolare agli strumenti (le forme, i mulini, i forni), alle persone, alle norme che ne regolano l’attuazione. A conferma del rilievo conferito agli artigiani o artisti del pane esiste infatti a Pompei il ritratto di un fornaio, cosa che la dice lunga sul fatto che questa professione fosse insignita di un onore speciale. Inoltre, come accade per i generi letterari per i quali le poetiche descrivono e prescrivono una gerarchia degli stili, allo stesso modo, nell’antica Roma venne codificata una gerarchia dei pani: pane plebeus, rusticus, sorticus, digesticus, con le sue varie forme: fornaceus, acquaticus, etc. Nasce anche una nuova dea che corrisponde quasi ad una musa: Annona, protettrice del pane e di coloro che lo fanno.

Discorso a parte merita la Poetica del pane sacro. Nella Sacra Scrittura il pane è visto innanzitutto come dono di Dio e, ad un primo livello, possiamo comprendere che il riferimento è all’uomo, figlio e dono di Dio. Ma gli appellativi utilizzati sono numerosi: pane di cenere; pane di gioia; pane di menzogna (che è quello del peccatore); pane di ozio (il cibo del pigro). San Paolo raccomanda ai Corinti di ricordare che il pane è il primo dono di Dio, dono sottratto dopo il peccato originale, o meglio sudato nel lavoro dell’uomo, condannato alla fatica fino all’arrivo dell’epoca escatologica. Coerentemente al concetto di dono, nella Bibbia si mette l’accento sulla natura democratica del "frammentare" il pane durante il rito eucaristico. "Tagliare" il pane è peccato.

Guardando questo pezzo di cibo ogni giorno presente sulla nostra tavola, ricordiamoci la grande storia che in esso è racchiusa, recuperiamone i valori profondi ed accanto a tutti i pani che ci vengono dati dalla poetica e dalla tradizione inseriamo il "Pane della pace" che da oggi questo simbolo diventi un messaggio di pace e solidarietà dobbiamo essere capaci di "frazionare" il nostro pane, di abbandonare i nostri interessi particolari per aiutare chi soffre. Solo così potremo sperare in un futuro migliore che – ricordiamolo – dipende soprattutto da noi e dalle nostre volontà.