"IL DENARO"

20 gennaio 2001

PROCESSO DI PACE: IL RUOLO DELLA SOCIETA’

Occorre garantire la sicurezza senza deterrenti ma solo con la cooperazione

di Michele Capasso e Caterina Arcidiacono

Roma. Villa Madama. 16 aprile 2001. Un incontro di premessa al dialogo italo-iraniano, organizzato dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente presieduto da Gherardo Gnoli . Lamberto Dini, ministro degli Esteri italiano, apre i lavori affermando che " la salvaguardia dell’identità culturale, il rispetto della diversità, la valorizzazione della dimensione spirituale ed etica dell’esistenza non devono in alcun modo essere considerate in contrapposizione alla modernizzazione e alla liberalizzazione economica: sono componenti essenziali e necessarie affinché l’evoluzione della scienza non ci allontani da quei principi di solidarietà e giustizia senza i quali rischieremmo una corsa verso l’ignoto".

Antonio Badini, direttore generale per i rapporti con i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente del ministero degli Esteri, ha moderato l’importante sessione dal titolo "Verso una sicurezza cooperativa?"

Tutti i relatori sottolineano la necessità di ricercare possibili spazi condivisi tra culture così profondamente lontane.

Pur tuttavia emerge con chiarezza la necessità di attivare forme di comunicazione e condivisione.

Farhang Rejai, iraniano, da quattro anni docente all’Università di Carltown in Canada, esperto di processi di globalizzazione, puntualizza la necessità di globalizzazione delle culture locali e allo stesso tempo di localizzazione dei processi globali. Le sue parole sono di rassicurazione a che vede nei processi globali il pericolo della sopraffazione culturale. La globalizzazione del mondo- egli afferma- crea immagini condivise a livello transnazionale, il cui significato differisce tuttavia nei diversi contesti locali, creando nuovi intrecci e scambi.

E’ questo un tema pregnante per la costruzione di dialogo e comunicazione interculturale.

Il legame con la tradizione colto nella dimensione retroattiva del laudator temporis actis assieme al timore di guardare al futuro con fiducia verso se stessi, il mondo e le proprie possibilità costituiscono, invece, la cornice sociale in cui si inscrivono processi identitari perversi.

L'ancoramento statico nel passato e nella memoria con lo sguardo solo all'indietro costituiscono un radicamento fermo nella tradizione. Disaggregazione, incertezza sociale malessere e disagio trovano in questo richiamo un baluardo difensivo contro diffuse inquietudini sociali. La difesa della piccola patria, del piccolo localismo particolaristico, assunta a valore fondante di processi identitari funge da riferimento collettivo; è l'humus di proliferazione delle diverse forme di fondamentalismo religioso ed etnico. La difesa del particolare quale difesa contro il disagio del mutamento che elude la politica del riconoscimento delle differenze .

Per ridurre gli effetti di spaesamento e perdita di senso individuale e collettivo, la difesa dei valori e la memoria delle tradizioni delle comunità locali devono accompagnare i processi di interazione globale.

Il confronto su i temi delle identità va costruita in una dimensione di dialogo attraverso il riconoscimento delle differenze (degli spazi, dei riti, delle consuetudini) dove si superi la tolleranza che mantiene l'indifferenza e si attui contaminazione reciproca di confini e legami.

In questo senso la proposta è di coniugare la comunità localistica con la dimensione globalizzata; la dimensione locale assunta a strumento di forza per vivere in un' unità cosmopolita; l’appartenenza locale come strumento di supporto agli scambi e alla globalizzazione e non come difesa dei particolarismi identitari e relative xenofobie.

Non si tratta di un principio utopico ma di una percorso culturale da perseguire con forza. La scommessa è nel riuscire a far interagire le differenze, dove la libertà dell'uno non sia violenza sull'altro.

Predrag Matvejević, intellettuale cosmopolita dalle troppe radici- allo stesso tempo croato, russo, sloveno e bosniaco - così interpreta lo snodo del rapporto tra appartenenze, identità e particolarismi fondamentalisti: "L'alternativa tra il radicamento tradizionale e un sentimento moderno (o post-moderno se si preferisce) di rottura con le proprie origini lacera una parte considerevole della cultura su scala mondiale e si traduce in maniere diverse nella ricerca di nuove identità. Per contro, il concetto di cultura planetaria porta in se stesso il pericolo dell'uniformare e, soprattutto per le nuove nazioni, rende talvolta faticose le identificazioni. Confrontato alle resistenze legittime nei riguardi dell'assimilazione e della dominazione culturale dei più forti sui più deboli, dei più sviluppati su coloro che lo sono meno, il pensiero della nostra epoca ha fatto valere il diritto alla differenza"

Ciò ben descrive l'ineludibile esigenza di contemplare la presenza di identità sociali molteplici che allo stesso tempo interagiscano tra loro, superando i limiti della tolleranza e i danni della sopraffazione reciproca.

Non si possono recidere memorie e radici, pena la perdita della vita stessa. Una società virtuale senza radici e confini è uno spazio infinito dove l'assenza del limite e della differenza determina l'assenza delle identità sociali: un universo planetario di sradicati.

Questo il nuovo pericolo, i cui effetti non sono meno gravi di quelli connessi alla costruzione di identità dell'assoluto attraverso identificazioni per esclusione. L'effetto spersonalizzante della virtualizzazioni delle relazioni può trovare un antidoto anche in quella che viene definita globalizzazione dal basso; è questo un nuovo strumento di effettiva connessione e impegno sociale a livello planetario dove la tecnologia comunicativa assume forma di partecipazione finalizzata alla globalizzazione dei diritti; si tratta infatti di una interconnessione reale che fornisce nuove risposte ai bisogni di appartenenza, identità e cambiamento. E' infatti a tutti noto come sradicamento e depersonalizzazione sono gli elementi fondanti la negatività e pericolosità delle istituzioni totali- carcere, manicomio, regimi autoritari- contro cui combatte ogni processo libertario. La globalizzazione delle culture non può perciò, essere accompagnata da una cultura di sradicamento. Né la globalizzazione dal basso può essere sostituita dai sistemi di connessione che avvengono localmente. In una prospettiva di società complesse, le identità individuali acquistano dimensioni molteplici, si radicano su appartenenze parziali, differenziate e tra loro dissimili: la memoria del cibo, le tradizioni del gusto, le regole dell'abbigliamento. Consuetudini e abitudini che si sono costituite come privilegiate nel corso della nostra esistenza e che ci accompagnano nelle nostre relazioni come il piacere della scoperta di nuovi gusti che si accompagna a quello di condividere con altri significativi ciò che abbiamo individuato come bene. Non è una prospettiva intimistica, bensì il riconoscimento che le nostre identità si compongono di piccoli segmenti, più o meno significativi. La famosa 'madeleine 'di Proust, e così il lessico alimentare di un gruppo familiare e/o sociale sono tutti segmenti di identità e differenziazione.

Il melting pot globale non ha, così, finalità omologante, bensì è esso stesso teatro di continua mediazione e intercomunicazione. Il dominio dell'individuo su di sé non avviene nello sradicamento. All'opposto l'identità individuale si radica nella convivenza molteplice delle sue diverse appartenenze e identificazioni. In questo senso l'assenza di identità non è la cura per i problemi derivanti dall'eccesso identitario (fondamentalismo e particolarismo).

Un osservatore superficiale potrebbe pensare che le comunità, intese in senso territoriale, perdano di peso a fronte dell’intensificarsi dei processi di globalizzazione delle culture e dei mercati; va invece considerato che proprio la velocità e intensità delle comunicazioni e relazioni da cui si è sempre più bombardati chiede la forte presenza di uno spazio di base in cui i processi identitari possano trovare ancoraggio.

E' altresì auspicabile che l'effetto spersonalizzante della virtualizzazioni delle relazioni possa trovare un antidoto anche in quella che è definita globalizzazione dal basso; è questa un'occasione di effettiva connessione e impegno sociale a livello planetario dove la tecnologia comunicativa assume forma di partecipazione finalizzata alla globalizzazione dei diritti; si tratta infatti di un'interconnessione reale che, come affermano Brecher e Costello, fornisce nuove risposte ai bisogni di identità, appartenenza e cambiamento