"IL DENARO"

3 febbraio 2001

SHOAH: MEMORIA VIVA PER COSTRUIRE IL FUTURO

Le esperienze negative del passato facilitano il dialogo e la conoscenza tra i popoli

di Michele Capasso

Palermo, 18 gennaio 2001. Si conclude la prima tappa del Festival del Cinema dei Paesi Arabo Mediterranei organizzato dalla nostra Fondazione. La stampa nazionale ed internazionale ha dato rilievo a questo evento indicando l’alto valore culturale dei film proposti e delle tavole rotonde collaterali. Un tema dominante è stato quello del dialogo tra culture e fedi ed il modo in cui bisogna fare tesoro delle esperienze negative del passato per costruire un futuro migliore.

Bologna, 24 gennaio 2001. Inizia la tappa bolognese del Festival. La sala del Cinema Lumière è affollata di pubblico e, specialmente, di studenti provenienti dai Paesi della riva Sud del Mediterraneo, curiosi di apprendere, attraverso gli oltre 60 lungometraggi e numerosi cortometraggi spaccati di vita di quei popoli. I dibattiti che seguono le proiezioni sottolinenao la necessità di promuovere il progresso condiviso attraverso il dialogo e la conoscenza e, soprattutto, di evitare i conflitti recuperando la memoria delle grandi tragedie del passato. Come la Shoah.

Trieste, 27 gennaio 2001. E’ il cinquantaseiesimo anniversario della liberazione di Auschwitz. La dodicesima edizione di Alpe Adria Cinema – alla quale la nostra Fondazione collabora assegnando il Premio internazionale "Laboratorio Mediterraneo" al migliore cortometraggio – coincide con questa ricorrenza come pure con il centenario dalla morte di Giuseppe Verdi. Come non tenerne conto? Al Museo Revoltella di Trieste, nell’ambito di Alpe Adria Cinema, organizziamo una tavola rotonda sulla "Questione ebraica nell’Europa centro orientale". Coordinata dal critico cinematografico Umberto Rossi, hanno partecipato Dan Fainaru, critico del cinema di Tel Aviv, l’inviato de "La Repubblica" Paolo Rumiz, l’addetto culturale dell’Ambasciata d’Israele Ioram Morad ed il giornalista ex direttore del TG1 Gad Lerner. Ed è proprio quest’ultimo ad evidenziare le ragioni della persistenza dell’antisemitismo nella coscienza europea: "Esse – sottolinea Lerner – sono le stesse, rovesciate, che stanno alla base del filosemitismo e del successo di libri e film di argomento ebraico, di Moni Ovadia che spopola nei teatri raccontando un mondo che ha poco a che vedere con noi. L’ebreo insomma è diventato di moda, con tutti i lati negativi che ciò comporta".

Osservo gli occhi azzurri dell’anziano regista rumeno-ebreo Mircea Saucan. Con lui evidenziamo come l’odio e l’amore siano due facce dello stesso problema. E l’antisemitismo si coniuga ad altri fenomeni di xenofobia: e la paura, oggi, è forse più per gli albanesi, per gli slavi, per i nordafricani. Gli ebrei non hanno più la maglia rosa della repulsione e, credo, siano felici per questo.

" Storicamente – sottolinea ancora Lerner – c’è stata avversione per l’ebreo perché è il più simile a te, quello che più ti somiglia. E’ la dimostrazione vivente del fatto che si può stare nello stesso posto essendo estranei, diversi. Ma l’ebreo era considerato infido anche da chi non lo perseguitava. E la sua condizione esistenziale di essere qui e al tempo stesso altrove, il suo meticciato come condizione permanente, sono alla base dell’attrazione in atto verso il mondo ebraico".

Dan Fainaru è partito dalla Romania alla volta d’Israele quarantanni fa. Sembra ieri, e le sue parole evidenziano ferite mai rimarginate: " La storia dei popoli dell’Europa centrale – dice – non è stata felice e difficilmente si potrà dimenticare. C’era sempre il bisogno di trovare un colpevole. E chi meglio dell’ebreo, che in Polonia non aveva nemmeno il diritto a possedere la terra: poteva soltanto lavorare per gli altri. Ecco come nasce l’ebreo come diverso, come persona di cui si ha paura".

L’amico Paolo Rumiz porta la sua testimonianza: "A Verona – afferma – quando scoprirono che il professor Marsiglia si era inventato l’aggressione, ci fu quasi un sospiro di sollievo. Una sorta di autoassoluzione collettiva da parte di una comunità locale che aveva in prima linea la Curia. Insomma il razzismo a Verona, come nel Nordest che simpatizza per Haider, è sempre qualcosa di esterno alla comunità locale. E quindi si evita l’autoanalisi di cui ci sarebbe invece un gran bisogno".

Chi scrive evidenzia come gli 8.566 ebrei deportati dall’Italia e dalle isole del Dodecaneso (sotto denominazione italiana) non possono essere dimenticati. Questo "Giorno della memoria", a loro dedicato in tutt’Italia, deve rappresentare un monito per tutti e riaffermare la memoria come "dovere morale". Dietro i volti dei sopravvissuti allo sterminio dei campi di concentramento rimbomba qualcosa senza sosta. Il ricordo dei prigionieri gasati o bruciati o finiti a colpi di mazza sulla testa dà la sensazione che camminino come sulle uova. Avvicinandosi ad un forno crematorio o visitando le foto ingiallite del museo dell’olocausto ci si sente annullati. Non si ha più voglia di riprendere contatto con la quotidianità di questo nuovo millennio. Ed anche per noi riaffermare queste sensazioni diventa sempre più difficile ed il rischio della retorica incombe su una memoria ancora viva ed incancellabile.

La storia è imprevedibile. Quando ci si sente afflitti dall’eterno conflitto tra Israeliani e Palestinesi che, nel "Giorno della Memoria" ci rende ancora più impotenti, ecco una notizia che lascia spazio alla speranza e ci ricarica per nuove battaglie nel nome della pace e del reciproco rispetto.

Trieste, sabato 27 gennaio 2001. Ore 20. Teatro Miela. Consegno il Premio internazionale "Laboratorio Mediterraneo" all’irresistibile cortometraggio "La caduta" di Aurel Klimt. La giuria, formata da studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste, ha voluto premiare questo ventinovenne regista della Repubblica Ceca per un notevole lavoro di animazione che ha saputo racchiudere in una divertente cornice folcloristica un soggetto dai contenuti drammatici.

Pochi minuti prima della premiazione mi è giunta, via fax, un messaggio dalla Palestina. Jamal, giovane palestinese conosciuto lo scorso ottobre ad Amman, si è sposato – simbolicamente proprio nel giorno dell’anniversario di Auschwitz – con una giovane israeliana. Quando mi annunciò questa possibilità non speravo potesse realizzarsi, in un momento di crisi tra i due popoli: tuttavia volli lo stesso lasciare all’amico palestinese una busta da aprire il giorno del matrimonio. In quella busta c’erano i versi di un noto poeta arabo. Jamal me l’ha rinviata per fax, datandola "27 gennaio 2001, giorno del mio matrimonio " con una dedica per la sua sposa. Ho letto quei versi al pubblico che affolla il Teatro Miela: "Quando immergo i miei occhi nei tuoi / vedo l’alba profonda / vedo l’antico ieri / vedo ciò che ignoro / e sento che passa l’Universo tra i miei occhi e te".

Gli occhi azzurri di Mircea Saucan si riempiono di lacrime. L’autore di film come "Alerta" e "100 lei" vuole leggere quel fax. Scandisce le parole con attenzione e sacralità, quasi come fosse un testo sacro, non importa se il Corano, la Bibbia, il Vangelo o il Talmud. Dopo pochi ma lunghissimi minuti ci osserva e si accarezza la barba bianca: "Fin quando un palestinese dedicherà alla sua sposa israeliana versi come questi, la speranza sorreggerà la storia. Non morirà mai. Andiamo avanti e costruiamo un futuro di pace".