L’EUROPA DEGLI INDIFFERENTI

Le Democrazie sono ferite dall’ossessione del denaro

Di Michele Capasso

 

Nizza, 13 dicembre 2000. La maratona europea che doveva condurre alla costruzione di una "Nuova Europa Comune" ha deluso un po’ tutti. Il Commissario Monti parla di un "cattivo risultato del vertice". Romano Prodi, presidente della Commissione europea, dice che "hanno vinto i non europeisti" e che " è stato un vertice dominato dai nazionalismi. Espressi con forza perfino simbolica. Alcuni argomenti importanti, quali il veto sul fisco, non sono stati neanche messi in discussione sul tavolo. Nei vertici chi non ha un diritto di veto non conta nulla. Si può esercitare un’autorità morale, battersi per le proprie idee. Ma anche quando si ottiene un grande successo, come quello strappato sui poteri della Commissione, viene pesato come un dono gratuito. Un Trattato, lo dice la parola stessa, si fa tra Stati Sovrani, e molti di essi sono ancora invasi da nazionalismi e lontani dall’idea di un’Europa Comune". Il presidente Ciampi insiste sulla necessità di fare il primo passo dopo Nizza, senza recriminare sul risultato raggiunto: e il primo passo è passare dalla Carta dei diritti approvata a Nizza ad una vera e propria Costituzione europea. Su questo argomento Italia e Germania stanno già lavorando da tempo. Le resistenze degli Stati nazionali rispetto al processo di integrazione e le difficoltà da risolvere, quali il problema della sovranità nazionale rispetto a quella sovranazonale, sono state sottolineate dal primo ministro italiano Amato che sul vertice esprime "non piena soddisfazione, ma solo una possibilità per il futuro dell’Europa". E Prodi, a conclusione del vertice, non nasconde di rimpiangere Kohl e afferma: " E’ vero che a Nizza non c’erano leader dotati della sua visione europeista. Ma sono cambiati anche i tempi. Oggi la politica vive sui sondaggi, giorno per giorno. Ed è questo un grande problema: è difficile difendere l’Europa, che è un progetto di lunga durata, negli "opinion poll". Per questo faccio di tutto perché ci si occupi di cose concrete, per la gente".

Napoli, 14 dicembre. Ho tra le mani il bel saggio di Josep Ramoneda "Después de la pasiòn politica" edito da Taurus: in esso il saggista catalano – direttore del Centro di cultura contemporanea di Barcellona – sottolinea come l’Europa, e non solo, sia invasa da un disinteresse politico ogni giorno più tangibile; una malattia opposta all’invadente politicizzazione generale prevalsa in altri momenti della nostra storia recente. " Come ogni vera e forte passione – scrive Ramoneda – pure quella politica non è una pulsione indistinta e deve avere il suo oggetto preciso; ma senza questa passione concretamente operante le democrazie muoiono per inanizione e per mano di un dio minore, il denaro, e di un'indifferenza generalizzata ed estesa alla vita intera"." Ramoneda accetta pienamente l’economia liberale ma critica fortemente l’economicismo tirannico che appiattisce il mondo in un’indifferenza totale, pretendendo di ridurre la classe politica a propria cameriera ed esaltando retoricamente la nuova figura eroica dell’ "uomo competitore". Proprio la fine del secolo "iperpoliticizzato" come quello che sta per finire dovrebbe consentire una politica autentica, libera da nazionalismi e da pretese totalizzanti ma fortemente protesa a proteggere le libertà concrete e l’esistenza degli uomini. "senza pretendere – scrive Ramoneda – di creare il bene, ma più che paga di evitare il male".

Claudio Magris, commentando il libro, dice che questo testo "disegna una società che potrebbe perire perché incapace di generare una propria normale e fisiologica negazione. Per difendere la libertà dall’oscena indifferenza il libro propone un’etica scettica fondata sull’elaborazione e accettazione di pregiudizi condivisi, nella consapevolezza che si tratta di pregiudizi e non di valori assoluti, ma altresì nella consapevolezza che non tutti i pregiudizi sono uguali e che occorre stabilire tra essi giudizi di valori, scegliendone alcuni quali basi di civiltà e rifiutandone altri quali fattori di barbarie ossia assumendosi la responsabilità di scelte di valori in difesa dell’umano: garantendo ad esempio la tolleranza e la pari dignità tra le religioni, ma condannando e reprimendo l’infibulazione. La ricerca di questa difficile via liberale è un itinerario flessibile." E Ramoneda, non a caso, dinnanzi alla gelatinosa totalità socioeconomica che risucchia la realtà, dice che la nostra modernità deve fondarsi su due principi morali minimi: "Non tutto è possibile" e "Tutto potrebbe essere avvenuto in modi diversi".

L’Europa incarna pienamente questa problematica. E’ un’ Europa degli indifferenti. Un’Europa ancora bambina, che spesso, come a Nizza, fa i capricci. Un’Europa che si comporta da "figlio unico" ignorando i suoi "fratelli naturali": primo fra tutti il Mediterraneo, che deve diventare un mare di pace.

La cosa importante da capire è che la pace si svilupperà in una nuova realtà e non nei campi militari o nelle azioni di guerriglia. La pace germoglierà realmente nella vita sociale e culturale e, per questo, il ruolo determinante della Società civile costituisce un indispensabile strumento di pace e sviluppo.

Il grande cambiamento dei nostri tempi è dovuto al fatto che noi stiamo andando oltre, stiamo abbandonando l’idea di un benessere universale per un benessere di "esplorazione".

La pace che stiamo cercando di conseguire nel Mediterraneo non riguarda solo le popolazioni che vivono in quell’area, ma è il tentativo molto più ambizioso di portare questa antica regione nella nuova era. Se il nostro compito si limitasse a porre fine alla guerra, la conseguenza sarebbe solo che il Medio Oriente o i Balcani rimarrebbero poveri, ignoranti, insoddisfatti, e tornerebbero – come purtroppo sta accadendo - alle antiche abitudini di combattere e uccidere.

A conclusione di questo secolo abbiamo visto la fine dell’economia basata sull’agricoltura e non abbiamo più, oggi, un’economia ed una politica legate agli eserciti, ai confini, alle sovranità nazionali.

C’è una nuova "forza" che ci permette di esistere e ci darà la prosperità; una forza che non è più la "risorsa terra" ma la " risorsa cultura", la scienza, le nuove tecnologie di informazione e comunicazione: non più il territorio ma la tecnologia, non più il suolo ma l’essere umano. Finalmente ci siamo resi conto che sia il nostro spirito sia il nostro intelletto hanno risorse che vanno ben oltre la ricchezza materiale.

Siamo passati ad un tipo di economia in cui i confini hanno perso importanza e stiamo assistendo ad un nuovo fenomeno nell’era moderna per cui ciò che è fondamentale non è più conservare beni e accumularne di nuovi, ma agire nel modo più veloce possibile, e con qualità e determinazione.

Ecco il grande problema che blocca la nascita della "Nuova Europa" dominata, oggi, soprattutto dagli indifferenti. E concludo con alcune parole di Shimon Peres sul tema:

"Non credo che la globalizzazione e la privatizzazione siano ideologie pure ma, pittosto, i risultati della nuova economia. Non è un concetto semplice, perché la globalizzazione ha posto fine, in un certo senso, ai tradizionali Stati Nazionali Sovrani: questi sono troppo piccoli per i grandi problemi e troppo grandi per i piccoli problemi. I governi non riescono a controllare l’economia mondiale, in quanto le ricchezze si spostano da una parte all’altra, senza che lo Stato possa realmente intervenire; questo perché l’economia è diventata globale mentre gli Stati sono rimasti nazionali. Non esiste un Governo globale, non esiste una politica globale né legge globale, in quanto le Istituzioni internazionali esistenti sono valide per un mondo fatto di nazioni e non per una mondo basato sull’economia globale.

In realtà io non sono un profeta, ma ritengo che non ci sia bisogno di guerre; bisogna insegnare ai propri figli non a ricordare la storia del passato ma ad immaginare e comprendere la storia del futuro"