Prof. Massimo Cacciari

Sindaco di Venezia

Vorrei sinteticamente esprimere alcune preoccupazioni e alcuni problemi partendo da alcuni presupposti. Ritengo che i processi di globalizzazione, di interdipendenza economica e la necessità di moltiplicare gli sforzi di concertazione, non soltanto ovviamente all'interno dei Paesi del TRAI, dell'Europa occidentale etc., ci abbiano fatto passare da una fase di concertazione e di cooperazione ad una, appunto, di vera e propria integrazione con gli altri Paesi europei e del Mediterraneo. Credo, anche per evitare equivoci, che sia stata una scelta dettata dalle condizioni storiche e seguita con intelligenza, quella di puntare tutto nel secondo dopoguerra sulla concertazione e sull'accordo prima e sull'integrazione economico-finanziaria poi. Se si fosse puntato ad un accordo, ad una comprensione, ad un mutuo riconoscimento sulla base della ricerca di principi culturali comuni, credo che non saremmo arrivati nemmeno alla CECA. Anche se tale processo in Europa è tutt'altro che concluso, per proseguire su questa strada dovremmo sforzarci di prevedere che cosa aggiungere alla nostra agenda, in che termini approfondirla ed arricchirla.Poiché quando affrontiamo non più i problemi dell'accordo e dell'integrazione economica a livello esclusivamente europeo ma parliamo, come ha fatto il professor Monti, di queste esigenze di pensare ad un'area di libero scambio che comprenda anche i Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, allora qui i problemi diventano davvero complessi. Possiamo non avere risposte, ma non possiamo ignorare i problemi.

Quando il professor Monti dice che bisogna, per realizzare questa zona, rendere compatibili i sistemi, occorre sapere che questo significa omologare altri sistemi al nostro, perché la compatibilità non avviene su una via di mezzo. Il mio discorso è totalmente avalutativo: bisogna sapere che si dice che altri paesi con altre culture, con altre tradizioni, per entrare in questa zona di libero scambio devono omologarsi al nostro sistema di valori.

Ma l'economia, come la scienza, non è neutrale. Occorre sapere che una omologazione economica significa necessariamente una omologazione che riguarda il campo del diritto, il campo giuridico e quindi tutte le problematiche di carattere sociale e culturale, Il mio discorso, ripeto, è avalutativo, ma non possiamo procedere alla cieca pensando che sia possibile storicamente e culturalmente l'omologazione dell'area europea-mediterranea sulla base di una presunta, naturale, ovvia, tanto che sembra nemmeno valga la pena discuterne, dominanza dell'economico come funzione d'ordine dell'intero sistema sociale. Questo è un atto di fede. Dobbiamo crederci? Mai nella storia dell'homo sapiens una società si è retta sulla dominanza dell'economico come linguaggio d'ordine, come metalinguaggio che ordinava l'intero sistema delle relazioni sociali e culturali. Questo non si è mai visto nella storia dell'uomo e quindi sarà problematico dire che per la prima volta noi iniziamo questa storia, ripeto, felice o infelice che sia non mi interessa; è un problema colossale che dobbiamo affrontare e non possiamo proporre come fosse di per sé evidente.

Sono partito dal presupposto che tutte le indicazioni e le problematiche di carattere economico, indicate anche qui con grande pertinenza dal professor Monti, sono necessità per noi, ma occorre combinarle con altre problematiche; come non lo so, ma queste altre problematiche ci sono, altrimenti la mia proposta agli altri paesi è soltanto una proposta di omologazione alla mia cultura.

Credo che in Europa questa mostruosità, nel senso latino del termine monstrum, sia avvenuta in modo irreversibile e il linguaggio europeo è il linguaggio dell'economia. Poniamo attenzione prima di dire "a questo linguaggio devono omologarsi gli Egiziani, gli Algerini, i Tunisini, gli Africani". Siamo convinti che sia così naturale, così semplice, così indolore? Se non affrontiamo questo problema corriamo il rischio di moltiplicare i conflitti e gli integralismi invece di creare spazi comuni, magari anche di libero scambio. Questo è un grande tema culturale che l'Europa deve affrontare nel senso antropologico e non astratto o ideologico del termine.

Anche per quanto riguarda la globalizzazione la questione è piuttosto complessa poiché ritengo che anche questo sia un destino da seguire, ma da seguire con intelligenza.

Stiamo affrontando adesso i problemi di cui si discuteva cinquant'anni fa. A proposito della globalizzazione, c'è una crisi della politica di cui mi sembra parlasse Podestà nel suo intervento. Io cercherò di dirlo in termini diversi: già sappiamo cosa implica la globalizzazione sul piano economico; sul piano culturale e politico, invece, comporta indissolubilmente anche l'esplosione delle società omogenee tradizionali, dei cerchi sociali tradizionali, una inaffidabilità crescente dei contesti nazionali. Ma ci rendiamo conto di cosa significa il fatto che lo spazio non è più in nessun modo il criterio pertinente dell'azione politica? Questa è la vera origine della crisi della politica e della crisi della rappresentatività politica, perché i criteri europei occidentali di rappresentatività hanno sempre avuto a che fare con determinazioni e definizioni spaziali oggi completamente saltate. Questo comporta il problema di cui mi sembra parlasse Podestà: il problema della riforma delle istituzioni. Se noi continuiamo a pensare di poter governare questo processo di mobilitazione universale con Stati Nazionali, Regioni e Città quali quelle attuali e fantasmi di Istituzioni Europee, dal punta di vista democratico di discutibile rappresentatività e legittimità, allora siamo ben lontani dall'aver compreso le reali necessità per la realizzazione di tale processo. Occorre porre una questione di riforma della politica sottolineando che in questa situazione di straordinaria complessità la forma democratica di rappresentanza tradizionale non è più pertinente. Non possiamo fingere democrazie ormai virtuali, perché questo, alla lunga, allontanerà dalla politica e dalla democrazia. Dobbiamo affrontare il problema della riforma delle istituzioni, e su scala nazionale e su scala europea.

La questione diviene più pressante e l'Europa avrà, come ritengo debba avere, la missione di allargarsi, di trasformarsi davvero; diceva giustamente Monti, non di allargarsi all'Europa, ma di diventare l'Europa che è, ivi compresa la dimensione mediterranea, niente affatto scontata. Non possiamo credere alla leggenda secondo cui l'Europa in passato è stata tranquillamente Europa continentale, Europa mediterranea; c'è sempre stato conflitto tra Europa franco-carolingia ed Europa mediterranea, ma il problema è che l'Europa è questo conflitto e se una delle due parti viene meno, o cessa di avere la voce che ha avuto in tutta la nostra storia, non è più Europa, ma ci troveremmo innanzi ad una nuova realtà. Non c'è mai stata nessuna idillica armonia in Europa, tanto meno tra l'Europa e gli altri Paesi del Mediterraneo, con cui commerciavano e si massacravano; Venezia mandava le sue navi a Lepanto e nel momento in cui a Lepanto si massacravano, al fondaco dei Turchi commerciavano tranquillamente. La storia di questo Mediterraneo è una storia tragica, tuttavia questa tragedia è l'Europa, se manca un protagonista della tragedia, cioè il Mediterraneo, non è più l'Europa. Se dunque dobbiamo affrontare questo colossale problema di mantenere l'Europa nelle sue due dimensioni, per quanto conflittuali, è necessario ripensare le sue Istituzioni; è necessario, cioè, per essere sobriamente e disincantatamente realisti, porre nell'agenda europea anche un suo problema costituente, un suo problema di riforma politica, di nuova rappresentatività politica, di nuove forme politiche.

Nessuno ha le ricette, ma è certo che se non cominciamo a discuterne in modo serio, radicale e non più in modo diplomatico, ideologico, moralistico, non riusciremo mai a trovare la soluzione.

On. Biagio de Giovanni

Grazie. Massimo ha posto molto pepe nella discussione e credo che questo significherà anche qualche reintervento e ripresa di dialogo, che mi pare diventi sempre più fitto ed interessante. Darei la parola adesso al signor José Vidal Beneyto.