On. Vannino Chiti

Presidente della Regione Toscana

Ringrazio molto la Fondazione Laboratorio Mediterraneo per la costruttiva occasione d'incontro creata con il II Forum Civile Euromed.

Vorrei, lungo il corso del mio intervento, sviluppare quattro principali considerazioni, spero in modo abbastanza breve e, quindi, inevitabilmente anche più schematico.

Vorrei partire da una considerazione fatta dal Presidente Pujol: dovendo infatti discutere di Regioni e di Collettività locali dobbiamo anche interrogarci non solo sulla situazione delle regioni e delle collettività in Europa, ma anche sullo stato delle regioni e delle città nel resto del bacino del Mediterraneo, nella costa Sud e nella costa Est, poiché sappiamo bene che non parliamo della stessa realtà.

In Europa c'è una forte spinta, in questa fase storica, verso un più forte impulso regionale e di autogoverno delle collettività locali. Ritengo che questa spinta sia giusta e corrisponda ad un bisogno storico. La costruzione dell'Unione Europea richiede anche di riformare gli Stati nazionali per essere vicina ai cittadini superando le realtà centraliste, dando più spazio alle regioni, come momento di potere legislativo e di governo sulle materie che non sono di competenza dello Stato centrale, ed alle città. Sono anche convinto che se questo processo non viene portato avanti con grande determinazione ci sia il rischio di assistere ad una frammentazione, se non ad una vera e propria secessione degli Stati nazionali. Quindi considero questa spinta positiva e, del resto, si è manifestata in tutti i paesi dell'Europa, dalla Spagna all'Italia, dalla Gran Bretagna al Belgio.

Credo che nostro compito sia anche assumere con forza un'iniziativa contro ogni rischio di secessione. Sono convinto, cioè, che ci sia bisogno in Europa e per l'Europa di questo cambiamento degli Stati nazionali, ma sono altrettanto convinto che debba essere espressa con forza dagli stessi protagonisti di questa trasformazione la condanna verso questi processi disgreganti e avviata una battaglia ideale, culturale e politica, così come si cerca di fare anche in Italia e in Spagna. Se non conduciamo questa battaglia rischiamo di non far vedere con grande nettezza questo processo e di creare, invece, un problema, perché l'Europa non può nascere da una frammentazione degli attuali Stati membri. Nel resto del Mediterraneo, nella costa sud e nella costa est, la situazione è profondamente diversa; ci sono certamente le città, ma non tutte hanno una rappresentanza politica o democratica come noi la intendiamo; a volte esistono le regioni, ma non sempre sono il risultato di un processo elettivo d'insediamento.

Ritengo che questo sia un punto della discussione da affrontare con grande chiarezza perché la difficoltà d'attuazione della cooperazione decentrata, segnalata anche da Pasqualina Napoletano, potrebbe costituire un momento di grave difficoltà. È opportuno avere un approccio realistico nei confronti di queste realtà, sia che vengano considerate le città della costa sud o della costa est.

La seconda considerazione riguarda il Mediterraneo, e credo sia necessario sottolineare con grande franchezza due aspetti. Il Mediterraneo, rispetto al continente europeo, è un'area in cui esistono ancora pericoli di guerra in quanto il Medio Oriente non ha ancora imboccato in modo definitivo la via del processo di pace. Non è una considerazione che possiamo mettere da parte, è la precondizione: bisogna dare al bacino del Mediterraneo la sicurezza e la stabilità della pace. Solo così potrà esserci fiducia reciproca e collaborazione. Un'altra questione, sollevata dall'intervento di Khalida Messoudi, è quella di non consentire l'eversione violenta e terroristica, di non consentire la strumentalizzazione del fenomeno religioso per una operazione politica che è portata avanti da formazioni terroristiche, di combattere qualsiasi forma di totalitarismo. Questo deve essere uno dei nostri obiettivi di lotta culturale e politica coerente ed intransigente.

Esistono poi evidenti disuguaglianze nello sviluppo dell'area mediterranea: disuguaglianze enormi relative alle condizioni di vita, accentuate nelle tendenze demografiche. Il differente numero di abitanti che avremo sulla costa meridionale rispetto a quello dei Paesi dell'Unione Europea comporterà dei problemi rispetto alla formazione, all'occupazione, alla situazione socio-sanitaria e, inoltre, un aggravamento dei temi relativi all'ambiente  in un mare chiuso come il Mediterraneo va infatti valutato il rischio di una compromissione irreversibile —, il problema a cui accennava il Presidente Ghigo dell'immigrazione ed infine i problemi del mare e delle stesse risorse idriche. Queste sono questioni paragonabili a bombe ad orologeria che tra 10, 15, 20 anni potrebbero esplodere. Tuttavia, esistono grandi potenzialità che noi con forza dobbiamo sottolineare: quelle dell'arte, della cultura, di uno sviluppo che si può fondare sulla valorizzazione delle risorse del territorio, sulla piccola impresa, sull'agricoltura, sul mare e sull'economia del mare, sul turismo e — come ricordava stamani il sindaco Bassolino, con cui concordo — l'enorme potenziale delle risorse umane che forse costituisce la ricchezza più grande che abbiamo e che possiamo mettere in campo.

Per quanto riguarda la penultima considerazione, il Mediterraneo per l'Europa e la cooperazione mediterranea per l'Europa dopo l'incontro di Barcellona, condivido il giudizio del Presidente Pujol l'Europa si occupava del Mediterraneo in modo non settoriale e voleva affrontare queste tematiche nel suo insieme, creare la fiducia, la stabilità politica, l'area di libero scambio, la cooperazione economica e culturale. Tuttavia, credo che l'attenzione rivolta al Mediterraneo sia diminuita, e questo è un giudizio politico su cui bisogna discutere. E sono convinto che non si debba porre come alternativa l'espansione dell'Europa al centro o all'est oppure dedicare una maggiore attenzione all'Europa del nord o alle questioni del Mediterraneo, ma si debba attribuire ad ognuno un peso rilevante. Ciò non dipende soltanto dalla volontà dei centri decisionali europei, ma anche dalla maggiore o minore disattenzione mostrata dai Paesi del Mediterraneo, in primo luogo l'Italia, la Francia e la Spagna, che non si fanno carico come dovrebbero di queste tematiche affinché siano presenti con rilevanza in Europa.

Il secondo aspetto è quello della cooperazione. Anche qui non tutto sta marciando nella direzione sperata. Certamente ci sono i problemi di cui parlava l'Onorevole Napoletano, ci sono anche quelli relativi all'approccio realistico tra regioni e città a cui ho accennato, ma c'è soprattutto la questione della cooperazione decentrata che stenta a decollare. Ho avuto un incontro, di recente, con il Presidente dell'Andalusia Javes e con il Commissario Marin il quale mi ha informato che a gennaio-febbraio partiranno di nuovo, speriamo con ben altro slancio e determinazione, almeno due programmi di cooperazione decentrata Med Urbs e Med Campus. Ritengo che questo sia un punto forte, poiché se la cooperazione del Mediterraneo deve servire a sviluppare la Società Civile, tale azione è impensabile senza il consolidamento e lo sviluppo del ruolo delle regioni e delle città, senza uno scambio di esperienze tra le nostre regioni e città che sorgono sul Mediterraneo. Come si sono costruite e si consolidano in Europa le Società Civili? Lo sviluppo indotto può non risultare efficace, in quanto applicare un modello di sviluppo, basato sull'esperienza di un'altra area geografica, ad un paese che presenta condizioni fisiche e geografiche del tutto diverse significa non tener conto delle risorse di quel territorio che, in realtà, costituiscono i veri fattori da valorizzare per una giusta politica di sviluppo.

E infine la questione dei diritti umani e della democrazia che non va posta come precondizione rigida e inflessibile, ma come obiettivo della cooperazione. D'altra parte, è impensabile che vengano riconosciuti i diritti umani e democratici senza una partecipazione delle città e delle collettività locali. Durante la Conferenza di Barcellona si sarebbe dovuto sollecitare un impegno da parte della politica europea a favorire questo tipo di cooperazione capace di coinvolgere regioni e città. Tuttavia, già allora, c'era in noi la consapevolezza di una contraddizione, non esisteva uno spazio adeguato per le regioni e per le città nell'ambito di quelle politiche che quindi sarebbero risultate traballanti.

L'ultima considerazione vuole essere propositiva: dobbiamo far sì che questo Forum della Società Civile serva da forte richiamo dei propositi risultati dalla Conferenza di Barcellona. Nel giugno '98 avrà luogo la conferenza di medio termine a Palermo, convocata proprio per fare il punto della situazione. Dobbiamo, dunque, far crescere questa spinta affinché la prossima conferenza di medio termine serva a registrare tale nuova sensibilità che potrebbe già essere colta in questa sede. È necessario, inoltre, fare delle proposte per esempio lavorare insieme nelle politiche di sviluppo, per i programmi Meda, istituire una rete di città e di regioni del Mediterraneo, dei Paesi dell'Unione Europea e dei Paesi della costa sud ed est. Vi ringrazio per l'attenzione.