Prof. Francesco Paolo Casavola
Garante per l'Editoria e la
Radiodiffusione
Il Mediterraneo si usa chiamare mare "interno"
almeno da quando si sono scoperti e navigati gli oceani. Ma "interno"
non è solo un connotato geografico. Nella storia dell'incivilimento dell'uomo e
dunque nella vicenda dell'umanizzazione del mondo, questo mare rappresenta un
luogo "interno", di comunicazione di esperienze di tre continenti,
Asia, Africa ed Europa, dove queste si sono incontrate e mescolate per divenire
la coscienza evoluta del pianeta.
Gli alfabeti fonetici, traguardo straordinario della comunicazione
umana, di fronte al quale impallidiscono le odierne sofisticazioni
elettroniche, sono nati nel Mediterraneo. Senza ripercorrere le linee di
contatto delle diverse civiltà confluite nel Mediterraneo, consideriamo
soltanto quanto dell'emulsione mediterranea è costitutivo del mondo moderno.
Tutto il linguaggio scientifico è elaborato sul patrimonio lessicale dei Greci.
Terminologia e apparati concettuali del diritto sono ereditati dai giuristi
romani. Il monoteismo, nella sua rappresentazione più rigorosa, è ebraico. Il
pensiero filosofico nei suoi fondamenti è greco. Ancora dai Greci ci viene il
pensiero politico. Scienza, filosofia, diritto, politica e religione, nei loro
nuclei più avanzati rispetto a quanto è stato prodotto dall'intero genere umano
ed in ogni altra parte della terra, sono un retaggio mediterraneo.
Eppure, dopo che il baricentro del progresso del mondo si è
spostato nel nord Atlantico, l'Africa, l'Asia e l'Europa si sono come
allontanate dalle rive mediterranee. Le contrapposizioni Nord-Sud ed
Oriente-Occidente nascono entro un Mediterraneo trasformatosi, dall'età antica
al mondo moderno, da luogo di unità a luogo di divisione.
Malgrado lo sviluppo dei traffici e delle comunicazioni, che
cosa sanno i popoli mediterranei l'uno dell'altro L'Africa araba è
indecifrabile per quanto vi accade nei nostri giorni, nell'intreccio
culturale-politico-religioso, con eventi tragici di eccidi di massa. Dell'area
palestinese non si sa fino a che punto siano in gioco le giuste aspirazioni
delle popolazioni o i disegni di gruppi politici. Quali affinità e quali
distanze sono registrabili tra i regimi politici degli Stati mediterranei? Vita
quotidiana, costumi, tradizioni, sistemi amministrativi, standard tecnologici,
organizzazione scolastica, ricerca scientifica, produzione letteraria, modelli
socioculturali dell'un paese e dell'altro sono noti a specialisti di settore e
a qualche viaggiatore che vada oltre le offerte superficiali del più banale
turismo, ma non sono diffusi tra i milioni e milioni di abitanti dei paesi
mediterranei, utenti dei mezzi di comunicazione di massa.
È facile proporre programmi che vadano a correggere questa
"distrazione" dei mass media dai temi mediterranei. Ma è
indispensabile avere consapevolezza del perché di tanta distrazione. La
televisione di per sé ha, fin dalle sue origini, dimostrato una dominante
vocazione allo spettacolo, al divertimento, dunque alla distrazione dalla
realtà. Salvo eccezioni, la televisione è l'equivalente moderna del panem et
circenses, metodo antico dell'accontentamento e dell'addomesticamento delle
masse. La stampa, che al contrario è dall'origine dedicata all'informazione e
formazione dell'opinione pubblica, è, tuttavia, sotto l'aspetto che stiamo
osservando, diversa da paese a paese. La Francia, che è stata uno dei grandi
imperi mondiali, ha una stampa che informa su quanto accade nel mondo, negli
altri continenti e nell'area mediterranea, dove per altro vivono popolazioni
francofone. L'Italia ha una stampa molto, troppo racchiusa sui fatti di casa
nostra, con una esaltazione degli aspetti estrinseci e polemici della vita
politica. Che cosa sapevamo dell'Albania prima del suo collasso istituzionale
Che cosa abbiamo appreso della dissoluzione della Jugoslavia se non le cronache
angosciose e crudeli delle guerre etniche Come siamo informati del regionalismo
spagnolo, nei suoi assetti costituzionali e nel suo funzionamento
amministrativo L'informazione sui grandi eventi, sulle strutture del
quotidiano, sulla cultura di riflessione e su quella antropologica è affidata
alle riviste specializzate che hanno circuiti di lettori ridottissimi. Le
moltitudini sono tenute accuratamente all'oscuro delle concatenazioni causali e
contestuali dentro le quali soltanto i fatti di cronaca assumono chiarezza di
significato.
Se non ci liberiamo, conoscendoli, dei nostri difetti, sarà
precaria e debole la proposta di cambiare rotta ed obiettivi alla informazione
dei mass media, in direzione di un dialogo tra popoli che sia conoscenza
reciproca delle proprie culture. È ovvio che il dialogo interculturale esigerà
un vero ricambio negli operatori dei mass media. La professionalità attuale è
tutta viziata dal richiamo verso l'enfasi dell'immagine, della battuta, della
provocazione polemica, dello spettacolo, dell'inseguire sempre gli stessi
personaggi e gli stessi temi. Il mondo della comunicazione è prigioniero di un
paradosso: da un canto il flusso sterminato ed interrotto delle notizie,
dall'altro l'effetto riduttivo della labilità e rapidità delle procedure
dell'informazione. L'effetto non ricade solo sugli ascoltatori, spettatori e
lettori. Investe anche gli operatori, giornalisti, speaker, conduttori, che
sanno sempre di meno, che hanno codici culturali sempre più esigui e talora non
comunicanti tra stati sociali e finanche tra generazioni. I mass media sembrano
dar credito alla tesi di Rostovev che la cultura quanto più si diffonde tanto
più si degrada in barbarie.
Non siamo alla barbarie, ma alla banalizzazione certo. E
dunque se è necessario far dialogare le culture, occorre far ricorso nei mass
media ad adeguate risorse per compiti e forme meno futili e più utili.