*     Ambiti a rischio: altro obiettivo del master è stato quello di fornire degli strumenti per intervenire in aree a rischio e nell' emergenza. A tal fine è stata invitata la Dott.ssa Angelucci, psicologa e  responsabile progetti emergenza rifugiati dell’ONU.

La dott.ssa Angelucci ci ha immediatamente invitato a considerare che parlare di emergenza significa considerare che in questa circostanza i parametri soliti che definiscono il benessere e la vivibilità vengono meno e la figura dello psicologo di comunità diviene fondamentale. Un individuo anche nella situazione di emergenza è un uomo con una storia, con delle risorse; chi lavora con lui deve considerare tutto questo e soprattutto analizzare le risorse.

Per emergenza intendiamo un cambiamento repentino di una situazione, che può essere causata dalla natura (inondazione, terremoti) o dall’uomo stesso (conflitti, guerre). Il primo gruppo di cause comporta perdita assoluta della sicurezza, anche se si conserva la strutturazione sociale originaria. Il secondo gruppo di cause, invece, altera la rete sociale e le istituzioni significative. Un esempio di questo secondo caso è la situazione del Ruanda, dove le persone rifugiate nelle chiese o nelle loro case (istituzioni significative) sono state uccise: né i bambini, né le donne, né gli uomini potevano più riporre la loro fiducia in quelle istituzioni che erano diventate teatro di massacro.

Lo scopo del lavoro nelle situazioni d'emergenza è di ricreare la strutturazione sociale.

Nelle situazioni d'emergenza s'interviene subito: nel caso di stragi naturali dopo il quarto giorno, quando l’emergenza è creata dall’uomo è più difficile intervenire subito.

La risposta all’emergenza è una “risposta umanitaria”.

Questo genere di risposta viene sempre più chiesto nei casi di conflitti tra nazioni che sono aumentati dal 1990. Dalla caduta del muro di Berlino, prima del quale i grandi conflitti erano tenuti dalle grandi potenze, non c’è stato più un contenimento ai conflitti, un primo esempio è stato la guerra del Golfo.

Il lavoro nelle situazioni di emergenza implica diversi stadi:

a)      rispondere all’emergenza,

b)      creare e attuare programmi per l’immediato post-emergenza,

c)      promuovere attività di riabilitazione,

d)      formare i funzionari dei nuovi governi con corsi di formazione,

e)      sostenere i processi di passaggio alla democrazia,

f)        fornire gli strumenti,

g)      promuovere progetti di sviluppo.

 

La regola fondamentale nelle emergenze è lavorare per obiettivi a breve termine.

Lo psicologo in queste situazioni, che non è, e non può essere, un clinico, è un vero psicologo di comunità. Non c’è il tempo per terapie individuali, non c’è una conoscenza della lingua locale; in tali situazioni è opportuno, invece, fare campagne d'educazione alla salute.

In una tale situazione i problemi sono ovviamente diversi e molteplici. Il primo è coordinarsi tra gli operatori, quindi rinforzare la regione sanitaria con il Direttore regionale della sanità per aumentare le sue capacità. Con questo coordinamento si riconosce l’importanza di lavorare con le persone del luogo, riconoscendo la necessità del loro contributo.

Un altro problema sono i bambini traumatizzati dalla situazione, che, nella maggioranza dei casi, non hanno più adulti significativi (o perché sono dispersi, o perché i genitori restano vittime del conflitto). Questi bambini, nonostante la forma terribile di disagio che sperimentano sulla loro pelle, vivono e riescono a giocare,: è necessario ridare l’holding, i confini, lo spazio di vivibilità. Creare piccoli gruppi, e delle stanze di poche persone raggruppate per età, significa ricreare piccole famiglie, ricreare una situazione normale di relazione sistemica. I bambini che sono definiti “bambini non accompagnati", non sono orfani. I loro genitori non sono considerati morti, ma dispersi. 

Ancora un altro fattore da considerare è il ricongiungimento familiare, si utilizza il metodo della ricerca dei propri familiari attraverso le foto con l’indicazione dell’età, le foto sono distribuite in vari centri dove i genitori possono andare a cercarli.

Infine è necessario occuparsi delle attività quotidiane del campo.

Lo scopo è far rientrare la persona in un ciclo di vita quotidiano normale. Lo psicologo di comunità ha lo scopo di capire la situazione, leggere la postura, ostacolare i silenzi.

Lo scopo è dare valore ai ruoli, assegnare nuovamente i compiti, lasciarsi guidare da un approccio per obiettivi: risolvere bisogni fondamentali (cibo, alloggio, protezione, cure sanitarie, istruzione).

 

Il metodo che resta fondamentale in questi casi è la diagnosi di comunità, l’analisi del bisogno, che deve essere adottato all'ambiente che si analizza.

E’ necessario:

¨       la situazione socio-politico-economica

¨      cercare persone chiave da intervistare, per conoscere quali sono i bisogni, cosa si aspettano, qual è la domanda

¨      prendere contatto con i colleghi delle varie agenzie

¨      prendere contatto con le grosse ONG sul territorio

¨      elaborare un progetto considerando i fondi effettivamente disponibili

¨      creare un piano operativo

¨      valutare la fattibilità, conoscere l’accessibilità di una zona: attraverso la mappatura compiere scelte precise circa il lavoro da fare

¨      essere informato sulle informazioni date dai grandi media,

Bisogna capire di far parte di una rete e il primo dovere è entrare in questa rete.