*     Analisi organizzativa: con il Prof. Sarchielli sono state approfondite le modalità d’intervento e di formazione all’interno delle organizzazioni, tenendo presente che è sempre più pressante la richiesta da parte delle aziende di esperti nella “gestione delle risorse umane”.

L’analisi condotta con il Prof. Sarchielli ha preso l’avvio dalla considerazione, per l’analisi dei gruppi di lavoro, del livello intragruppale. L’analisi a questo livello considera che la persona inserita in un’organizzazione appartiene ad un gruppo di lavoro. Già a questo livello emergono fattori che prima erano sullo sfondo, ma aumentando ancora il piano di focalizzazione arriviamo al livello intergruppale dove si considera che l’individuo è membro di un gruppo che è in competizione con altri gruppi. Si arriva quindi ad inquadrare l’organizzazione intera.

Gli ultimi due livelli sono quelli sui quali si colloca l’analisi organizzativa. Un buono psicologo di comunità, comunque, deve tenere sempre presente la compresenza dei vari livelli.

La considerazione dell’ambiente sociale, infine, è un ultimo modo di valutare le condizioni che facilitano o ostacolano il funzionamento dell’organizzazione. All’ambiente sociale appartengono:

a)      L’unità produttiva-ambiente esterno (tipo di legislazione, sistema di relazioni industriali, sistema salariale, competizione, ecc.).

b)      La struttura organizzativa come sistema multigruppo (relazioni tra gruppi, regole e procedure, comunicazioni, cultura, ecc.).

c)      I gruppi di lavoro (morfologia, funzioni, clima psicosociale, leadership, ecc.).

Là dove l’ambiente sociale non è progettato ma è frutto di formalità e non c’è ragione sostanziale per l’esistenza di un gruppo di lavoro, è più facile che si creino ostacoli alla vita lavorativa e conseguenze negative per gli operatori dal punto di vista della soddisfazione. L’organizzazione vista solo come ordine costituito porta a far si che certe conseguenze inadeguate non vengano affrontate. Nascono così delle operazioni difensive individuali, come la ricerca di una propria nicchia aziendale, che portano a giudicare l’organizzazione come “cattiva”. Per non incorrere in questi problemi, l’organizzazione dovrebbe avere l’abilità di ritagliarsi il modello organizzativo che è pertinente in quella fase di vita e trovare l’equilibrio giusto tra fluidità e stabilità (spesso viene preferita la stabilità in quanto più rassicurante, in realtà corre il rischio di diventare rigidità).

 

*     Analisi organizzativa multidimensionale: un’altra tecnica, sempre relativa all’analisi organizzativa, su cui si è concentrata la nostra attenzione è stata l’Analisi Organizzativa Multidimensionale, discussa con la Prof. Francescato. È una tecnica che: a) presuppone un confronto tra discipline diverse perché l’organizzazione è vista nelle sue 4 differenti dimensioni; b) presuppone che all’Analisi Organizzativa partecipino persone di status diversi; c) consente nuove interpretazioni rispetto all’evento e un’azione futura, quindi un progetto empowerment.

I principi enunciati prima, in sostanza, vengono applicati all’organizzazione.

È un metodo che si può utilizzare nel privato sociale, nelle cooperative, nelle scuole, nelle associazioni di volontariato, nei servizi di professionisti (perché sono gruppi di pari o di persone con gerarchie basate sulla competenza), in alcune amministrazioni o aziende (con il consenso del Top che permetta di mettere insieme operai e impiegati): è uno strumento che minaccia le culture non paritarie.

In un ottica sistemica, che sta dietro la psicologia di comunità, si ritiene che tutte le dimensioni di un organizzazione (dimensione strategico-strutturale, dimensione funzionale, dimensione psicodinamica e dimensione psicoambientale) interagiscano l’una con l’altra creando relazioni di influenza reciproca, di feedback: le figure professionali che stanno dietro ciascuna dimensione non devono rimanere murate tra le proprie competenze specifiche.

·        L’approccio strutturale si focalizza sul posizionamento e tira fuori gli obiettivi strategici.

·        L’approccio funzionale guarda alle attività da svolgere per raggiungere gli obiettivi strategici.

Questi due primi approcci vengono definiti “hard” poiché provengono da discipline quali l’ingegneria, l’economia, la giurisprudenza, ecc.: dietro ci sta il principio del funzionalismo razionale. Quando un organizzazione chiama un esperto non psicologo le viene fatta questo tipo di analisi.

 

·        L’approccio psicodinamico: ha tra i maggiori esponenti antropologi e socioanalisti che sostengono l’irrazionalità dell’organizzazione. L’organizzazione è fatta di inconsci che hanno a che fare con l’amico-nemico, potente-sottomesso, quindi con le dimensioni “potere” e “amore-odio”.

·        L’approccio psicoambientale: ha a che fare con la leadership dell’organizzazione, la motivazione delle persone, il setting ambientale dell’organizzazione, ecc.

 

Queste quattro dimensioni sono state integrate in un unico modello di analisi che presuppone l’importanza di ciascuna dimensione nel guardare una realtà organizzativa. Da un punto di vista operativo, dunque, si prende un gruppo di persone che rappresenti tutti i livelli dell’organizzazione; si fanno analizzare i punti forza e le aree problematiche di ogni dimensione con strumenti propri di quella dimensione e coerenti alla teoria della disciplina di riferimento. È altrettanto importante guardare le interazioni tra queste dimensioni.

Esistono due metodi per far questo:

a)      metodo lungo: si guarda a ciascuna dimensione con appositi strumenti che permettono di trarne profili;

b)       tecnica breve (quella di cui ci siamo occupati nel corso delle due giornate di lavoro): può essere usata in corsi di formazione e, in generale, quando si ha poco tempo a disposizione.