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Intervento di Sua Eccellenza
Mohammed BEDJAOUI
Ministro degli Affari Esteri della Repubblica d’Algeria

Napoli, 20 ottobre 2006


- Presidente della Fondazione Mediterraneo

- Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati

- Presidente della Regione Campania

- Membri del Consiglio Direttivo

- Signore e Signori ed Autorità presenti


Temo di non riuscire a trovare le parole giuste per comunicarvi la gioia che provo nel trovarmi con voi in questa terra di Campania plasmata di storia ed apprezzare questo breve soggiorno ai piedi del maestoso Vesuvio, lambito da fumarole che i millenni non hanno potuto esaurire.

Vorrei comunicarvi la felicità di trovarmi in questa perla del Mediterraneo che è Napoli, della quale si dice che bisogna guardarsi dal morire prima di averla vista. Rassicuratevi, non ho alcuna intenzione di morire dopo averla vista ed intendo, al contrario, approfittare di ogni secondo del mio breve passaggio tra voi per apprezzare la bellezza del suo golfo, l’armonia dei suoi canti, la sontuosità della sua architettura e la splendida bellezza delle sue rive sulle quali, da millenni, artigiani ingegnosi intagliano i cammei, scolpiscono i coralli e cesellano l’oro.

È per questo che vorrei esprimere la mia gratitudine alla Fondazione Mediterraneo ed in particolar modo al suo Presidente, l’architetto Michele Capasso che, consegnandomi il Premio Mediterraneo 2006 per la Diplomazia, mi offre inoltre l’occasione di trovarmi in questa città sulla quale veglia, da tempo immemorabile, San Gennaro.

Vorrei inoltre esprimervi la mia riconoscenza per l’onore che mi fate consegnandomi il premio della vostra istituzione e comunicarvi la mia convinzione che, tramite me, è tutta l’Algeria ad essere onorata da questo gesto che esprime il riconoscimento degli sforzi che il mio Paese, sotto la guida di Sua Eccellenza il Presidente Abdelaziz Bouteflika, non ha cessato di dispiegare per fare del nostro Mare Nostrum uno spazio di pace, buon vicinato e cooperazione.


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Signore e Signori,

Nella vita umana vi sono dei giorni fasti. Quello che vivo oggi, tra voi, sotto questo bel cielo di Napoli, fa certamente parte di questi momenti preziosi che la Parca antica e benevola riservava agli uomini che voleva privilegiare.

Vi dirò semplicemente, banalmente, che questo premio mi fa piacere. Un piacere certamente personale, ma che avrebbe il sapore di qualcosa d’incompiuto se io dubitassi un solo istante che questo premio sia anche il nostro premio, quello che ci ricompensa tutti dei nostri sforzi comuni e continui.
Nuovamente riuniti, eccoci qui, ancora oggi, determinati a perseguire la nostra grande opera: la costruzione della nostra casa comune, sotto la protezione dei nostri Mani tutelari che vegliano da tempo sul focolare del nostro Mare comune.


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Signore e Signori,

Vi è stato un tempo in cui il Mediterraneo si divideva generosamente tra gli uomini che un autore antico comparò a delle formiche industriose. Il Bacino sembrava piccolo e fertile. Il “Mare tra le terre” era un luogo tranquillo di condivisione. Tempi felici in cui si andava d’accordo, in cui gli uomini si offrivano ponti di dialogo e solidarietà e dove, infine, le cattive parole diventavano come per incanto impercettibili, scacciate lontano da una saggezza condivisa. Era il tempo dei miti antichi e di una geografia reale dove l’Italia e la Grecia erano incontestabilmente dei paesi del sud.

E poi la Storia, che sa bene rivestirsi di un’uniforme per armare gli uomini e forgiare le ideologie, si è messa a mischiare le carte. Quando nel 18° e 19° secolo le vele europee si gonfiarono al vento delle conquiste coloniali, i quattro punti cardinali del pianeta si misero a danzare.

Sconvolta, la carta geografica tentava invano di non perdere il nord. Il Maghreb occupato era diventato vittima dell’attrazione europea della moda del tempo per l’“Orientalismo”. L’Oriente si ritrovava così all’ovest, ed i paesi dell’antico sud prendevano l’avanzata settentrionale. Il mondo si riforgiava dandosi una nuova figura, una configurazione spettacolare orchestrata dalla doppia egemonia del politico e dell’immaginario europeo.

Al centro della scena, solo un punto restava fisso: l’Europa, che si costruiva con armi e discorsi, essi stessi annunciati come un’arma formidabile. Il potere centralizzato in Europa si costruiva una periferia idealmente “barbara” per sognare ed instaurare i suoi imperi. A colpi di fantasmi e spade, l’etnocentrismo consacrava la divisione tra le due rive del Mediterraneo, confermando la rivoluzione geografica: l’Italia e la Grecia remavano ormai verso il nord europeo, mentre il Maghreb, territorio occidentale, divenne orientale nel tempo di un’impresa coloniale.


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Signore e Signori,

Voglio credere che quel tempo sia passato per sempre.

Posso crederci perchè qui, sotto questo bel cielo d’Italia, gli astri ci sono propizi, ed assicurano la stabilità dei punti cardinali così come la nostra volontà di riabilitare il Mediterraneo. Si tratta, ancora oggi, di preparare il nostro mare comune, di renderlo pronto a ricevere le forme economiche che lo aspettano per esprimere nuove solidarietà. Si tratta ancora, per noi, di scoprire ciò che vi è di concreto e vivo in questo mare. Si tratta infine, in ogni occasione, di proteggere gli aspetti diversi della sua cultura e della sua fisionomia.

Allo stesso modo, eccoci qui oggi, nel Sud – cosa dico ! nel sud dell’Italia, e nel sud di questo paese europeo, anch’esso del sud, siamo di nuovo riuniti per affermare la nostra volontà comune di aprire verso il nord una prospettiva più allargata.

Non è lui, il nostro Mediterraneo, che vedrà del male in questi sguardi franchi ed in questi dialoghi liberi che scambiamo ormai senza disprezzo e senza violenza. Il nostro mare comune non può che trarre vantaggio e motivo di soddisfazione dalla nostra visione comune di un avvenire condiviso. Questo avvenire e queste speranze non possono essere incarnate meglio del personaggio di Leone l’Africano. Fortificato da molteplici sventure, la vita riserva ad Hassan el Wazzan il più inatteso dei percorsi terrestri. L’uomo era fiero di essere figlio della strada, di avere per patria una carovana. Al momento di farlo morire l’autore, Amin Maalouf, scelse con piacere di mettere « Hassan » - « Jean-Léon » - « l’Africano » su una barca che naviga in questo Mediterraneo che era stato testimone di tutti i suoi errori per 40 anni. Giunto al termine del suo periplo l’uomo, che aveva avuto la fortuna di essere circonciso dalla mano di un barbiere e battezzato da quella di un Papa, lega queste parole sublimi a suo figlio: « A Roma, tu eri il figlio dell’africano; in Africa sarai il figlio del romano. Dovunque tu sia, ci sarà gente che vorrà sviscerare la tua pelle e le tue preghiere. Guardati dal soddisfare i loro istinti, figlio mio, guardati dal soccombere sotto la moltitudine! Musulmano, ebreo o cristiano, dovranno prenderti per come sei, oppure perderti. Se lo spirito degli uomini ti parrà stretto, ditti che la terra di Dio è vasta, e và dove sono le Sue mani ed il Suo cuore. Non esitare ad allontanarti, aldilà di ogni mare, di ogni frontiera, di ogni patria, di ogni credenza ».

Questa terra di tolleranza e libertà, che Leone l’Africano descrive a suo figlio, noi la rivendichiamo in quanto eredità inalienabile. E questo Mediterraneo, che fu una sintesi del mondo, resta oggi il nostro potere protettore, abbastanza forte per farci proteggere con fierezza le nostre differenze e le nostre identità.

Penso al contrario che possiamo contare sulla nostra identità in frammenti per proteggere la bella opera euro-mediterranea, umana. Impetuosa, ma non sorprendente, se si crede al giusto ritorno delle cose, al ciclo delle stagioni che riporta sempre la primavera dopo i rigori dell’inverno.

Non è, anche qui, dopo decenni di un Medio Evo definito oscuro, che i mille fiori del Rinascimento hanno annunciato il ritorno di una umanità più umana, ricca della sua diversità, forte della sua differenza? Anche qui, in Italia, un grande pittore “occidentale”, non ha dimenticato che la filosofia araba, venuta dal lontano oriente, doveva essere presente al momento della grande rappresentazione artistica di un sapere universale.

Invitato da Papa Leone X a decorare i muri del Vaticano, Raffaello lavorò alla decorazione di una tela inedita nel XV secolo. Nel cuore del Vaticano, nella Stanza della Segnatura, al centro di un trittico, il grande pittore italiano ha dipinto il suo capolavoro: un affresco in cui sono riuniti i filosofi di tutte le epoche e di tutti gli angoli del mondo. Vi si può vedere dividersi uno spazio di dibattito sull’esistenza, Ibn Rushd “Averroès” accanto a Platone, Socrate e Diogene.

Nel cuore di un mondo da rinnovare, i riferimenti temporali e geografici si mescolavano nuovamente, ma per la migliore delle cause, stavolta: la nascita di un nuovo uomo, migliorato da una finezza della conoscenza che nessun orizzonte saprebbe limitare. E questo accorgimento era sia quello di un artista ispirato che quello di un uomo politico, ispiratore, Papa Leone X.

L’idea era eminentemente positiva. Merita di essere perseguita. Ed è questo ciò a cui miriamo, qui riuniti a Napoli. Siamo tutti convinti che il bacino mediterraneo sia internazionalmente attraversato da tutte le correnti.

Questa realtà vivente che è il Mediterraneo non è cosa nuova per noi. Essa vive in noi nutrendosi delle unioni e dei metissages fertili, affermando la sua appartenenza ad una umanità più che umana, poiché multiforme e pluriculturale. È proprio questa l’idea che Umberto Eco difende nel “Nome della Rosa”, quando sceglie di salvare i libri di Ibn Hazm tra tutti i volumi di una biblioteca data alle fiamme da un monaco ottuso e fanatico.


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Signore e Signori,

Di certo, non sono stati ancora saldati tutti conti in sospeso tra le due rive che a lungo ci hanno separato invece che unirci. Il nostro mare è buono, ma non chiediamogli di essere il mago che cancella con un colpo di bacchetta magica le tensioni, i malintesi, e tutte le conseguenze che la Storia degli uomini trasporta e ravviva di tanto in tanto.

Il nostro bacino non è tranquillo. Le sua acque ribolliscono sotto l’effetto delle correnti antagoniste. Al nord, alcuni vedono nel Sud una minaccia ed un rischio. Circondati da mali sociali e calamità naturali, i “barbari” fuggono il loro inferno meridionale e tentano in tutti i modi di invadere un “paradiso” settentrionale che si barrica con cemento e leggi, il primo reso impenetrabile e le seconde forbite al Nord. «Madre, il muro è alto» gemeva l’eroe del drammaturgo Kateb Yacine rinchiuso nel penitenziario di Lambèse durante il colonialismo.

Oggi non si sentono gemere gli emigrati. Muoiono silenziosamente, clandestinamente, al momento di attraversare i “fili spinati” come scusandosi di avere disturbato la dolce quiete del nord. Quanti corpi inghiottiti nel silenzio delle profondità del nostro mare comune? Quanti charter silenziosi per rispedire i dannati alla loro dannazione eterna? Ed il Mediterraneo continua a nutrire il nostro sogno di appropriazione collettiva di un mare veramente nostrum, mentre i muri si fanno sempre più alti tra il suo nord ed il suo sud.

Madre, povera madre! eccoti messa in difficoltà dai tuoi stessi figli che subiscono l’ingiustizia storica, gli uni ricoperti di beni, gli altri che non trovano che il tuo petto affamato per tentare di sopravvivere. Polo d’attrazione, il nord ha fatto scoppiare il tuo bacino, mater dolorosa, ed eccoti mutilata, disarticolata tra due mondi che tutto sembra opporre, ognuno barricato dietro le sue certezze ermetiche.

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Signore e Signori,

I vecchi demoni dell’etnocentrismo lambiscono ancora le nostre rive. Allo stesso modo del padre di Amleto – privato della sepoltura definitiva – essi vengono nell’ora sbagliata per ricordare, a chi voglia ascoltare, che l’Islam resta il nemico di sempre. Così gli angeli sterminatori, i clichè e gli stereotipi vengono a rafforzare l’attacco e sconfiggere le vittime riducendole a niente, ombre folkloristiche su carte postali ingiallite, ombre afasiche perchè non si vuole ascoltarle.

Avvisati da questa presenza malefica, eccoci qui, messi in guardia.

Troppo a lungo privato di esistenza storica, il nostro sud conservava ancora le sue qualità d’infanzia ed innocenza. Privato del suo benessere, il nostro sud mediterraneo aveva conservato la sua culla dell’umanità poiché sapeva che sua madre, la nostra acqua comune, era piena d’avvenire. Piena di speranza, essa aspetta ancora l’ora di mettere al mondo tutto un popolo, uno dei suoi figli che ancora deve nascere: la Palestina. Elemosinando uno Stato ed un territorio nazionale, i figli palestinesi soffrono nel bacino mediterraneo. Si disperano. E bisogna ascoltare i loro lamenti ai piedi di un muro dietro il quale essi gemono chiamando la loro madre: «Madre, il muro è alto !».

Quindi, ancora un muro che dovrà crollare in un luogo che dà appuntamento all’occidente. È in quello stesso luogo che deve apparire un vero punto di svolta che permetterà alle nostre acque di ritrovare la loro rotondità materna, quella stessa che il poeta palestinese Ghassan Kanafani descrive nella sua opera per assicurare al suo popolo una nascita simbolica, aspettando l’altra, quella reale, ad una data che la storia consegnerà al suo registro di stato civile.

Lo si vede bene, i fautori dell’immaginario fanno un ottimo lavoro difendendo la cattiva opera di un etnocentrismo distruttore. Questa ferita e quest’arma sono difese solo dall’occidente. E se, come dice Parsifal di Wagner, «la ferita può essere guarita solo dall’arma che l’ha prodotta», spetta agli uomini politici mettersi all’opera, perseguendo lo sforzo di distruzione dei muri, siano essi reali o simbolici, ed erigendo al loro posto questo grande territorio di libera circolazione delle intelligenze creatrici.

Il compito è arduo, ma agli uomini di buona volontà la difficoltà sorride.




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Signore e Signori,

Da sei anni lottiamo per applicare il processo di Barcellona. Il successo, a dire il vero, non è ancora arrivato, ma non renderemo mai le armi. Sappiamo che il Mediterraneo, fortemente addossato all’Europa che si unisce essa stessa, può divenire l’occasione per una costruzione prospera dell’insieme euromediterraneo, un’entità forte, capace di controbilanciare i colossi che la sommergono ad est con l’India e la Cina, ed a Ovest con gli Stati Uniti.

La posta in gioco è immensa, in misura di ciò che appare come una sfida che si declina al plurale. Piuttosto che parlare di un solo e semplice futuro per il nostro Mediterraneo, parliamo di futuri al plurale, dell’immagine di questi molteplici compiti ai quali siamo legati al fine di realizzare una “cooperazione economica feconda “, dei “poli di sviluppo”, un “piano blu” ed altri progetti.

Nessuno ha bisogno di mentire, chiunque egli sia! Sappiamo bene che una delle due rive è povera di risorse, disarticolata nei suoi vettori, fragile nelle sue terre, nelle acque e nell’ambiente, incerta nella sua volontà di ricostruirsi. Che debolezze! Ma non abbiamo forse detto, dall’inizio, che i Mani tutelari vegliano sulla nostra casa? Non abbiamo forse già portato la prova della nostra ferma volontà di costruire insieme il nostro Mediterraneo come un insieme solidale e complementare, grazie al suo mosaico umano e ad i suoi contrasti geografici e culturali?



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Signore e Signori,

È forse un sogno credere nell’esistenza di una monade variopinta dei colori infiniti del Mediterraneo ? È forse un sogno quest’Andalusia in cui razze, culture e religioni differenti si sono edificate una terra comune, pacificata dalla ragione? È forse un sogno questa “Confraternita degli illuminati” che Jacques Attali ricostituisce organizzando l’impossibile incontro di tre filosofi che qualunque cosa avrebbe potuto opporre? Ibn Tofyal, Maïmonide et Averroè, riuniti in una stessa storie del pensiero e dell’uomo! È forse finzione?

Forse! Forse tutto ciò non è che un bel sogno. Ma il realismo non ha mai ucciso i sogni.

Sogniamo dunque sotto questo bel cielo di Napoli! ma realizziamo che, aldilà delle fratture del quotidiano mediterraneo, bisogna che noi costruiamo e costruiamo ancora, e tendiamo fino al suo limite estremo l’arco degli impegni tra gli uomini ed i popoli.

Persino qui, a Napoli, tesi verso la prospettiva europea, rivendichiamo ancora oggi il diritto alla memoria. Rivendichiamo l’antica culla della civiltà. Una civiltà mediterranea operosa, dotata dell’arte combinata di coniugare le differenze nella tolleranza, non fosse altro che per cancellare questo “scontro di civiltà” ormai diventato moda perniciosa.

Piantiamo insieme una nuova decorazione, un luogo situato in un posto da inventarsi, come Raffaello fece al centro del Vaticano, nella stanza detta della Segnatura. Come il geniale pittore, firmiamo il nostro capolavoro, creando il nostro centro mediterraneo al di sopra dello sporadico, dell’episodico, dell’accidentale.


Diventiamo inoltre, cari amici europei, degli autentici contemporanei spirituali, dei protagonisti di un vero dialogo dello spirito. Questo spirito che veglierà sul focolare del nostro mare comune. Se vi è un soffio, nessuno spirito maligno potrà udirlo. I Mani dell’antico Mediterraneo ci saranno per sempre benevoli.



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