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Prof. Marcello Piazza
Sono profondamente commosso per questo grande onore di ricevere questo premio così prestigioso. Vorrei dire qualche parola che possa motivare questo premio. Quando fu scoperto il virus dell’epatite B molti anni fa, l’epatite B era considerata uno dei più grandi flagelli dell’umanità. Bastano alcune considerazioni: nel mondo erano infettate 300 milioni di persone e secondo l’organizzazione mondiale della sanità fra queste 86 milioni sarebbero morte per epatite cronica, cancro del fegato e cirrosi epatica. In Italia esistevano 2 milioni di malati di epatite B e ogni anno morivano 10 mila persone per eventi causati dal virus dell’epatite B. Noi eravamo atterriti: tutte le donne che aspettavano un bambino avevano inesorabilmente un figlio che aveva la cirrosi epatica. Io ricordo nella mia mente una volta che all’ambulatorio della clinica si presentò una donna, una popolana napoletana, che aveva 7 figli tutti malati di cirrosi epatica: morirono tutti. Quando fu scoperto il vaccino contro l’epatite B e si dimostrò la sua efficacia e notevole potenza nel senso che preveniva la malattia, le autorità sanitarie del mondo dovettero decidere quale strategia adottare cioè chi vaccinare e si stabilì che dovevano essere vaccinati solo i soggetti a rischio di infettarsi; questi soggetti erano: i neonati di madre infetta, i medici, i chirurgi che avevano la possibilità di contagiarsi, i tossicodipendenti, i familiari di soggetti infetti. Questa fu la strategia del mondo a cui però mi opposi perché la consideravo sbagliata e lottai con tutte le mie forze per dimostrarlo perché esisteva una grande percentuale di soggetti affetti da epatite B che erano portatori del virus B senza nessuna sintomatologia, che godevano ottima salute ma che vivendo nell’ambiente, in famiglia, in comunità, a prescindere da qualsiasi rapporto intimo, potevano diffondere la malattia. Nelle famiglie in cui vi erano portatori il virus era stato trovato sui muri, sui bicchieri quindi era semplice che questi s’infettassero anche perché il virus era enormemente concentrato nel sangue del soggetto infetto. Faccio agli studenti sempre lo stesso esempio: una goccia di sangue messa in una piscina e agitando l’acqua può infettare un soggetto. Questo virus è enormemente resistente e quindi stando così diffuso nell’ambiente il portatore sano poteva diffondere la malattia attraverso una via che io avevo descritto, una via di penetrazione del virus, la via parentenale in apparente cioè la penetrazione del virus attraverso lesioni difficilmente individuabili della cute e della mucosa. Quindi a cosa serviva vaccinare soltanto i soggetti a rischio se poi tanti soggetti sani potevano infettarsi inconsapevolmente se nel loro ambiente c’era un soggetto portatore di virus? Allora dissi che la strategia era sbagliata e proposi un’altra strategia: quella di vaccinare tutti i nuovi nati; però ciò era difficile perché non esisteva nessun protocollo per vaccinare tutti i nuovi nati. Allora vi ricordai che in Italia esistevano le vaccinazioni obbligatorie per cui tutti i bambini al 3°, 5° e 11° mese di vita dovevano essere vaccinati contro la poliomelite, difterite, tetano e allora proposi di abbinare la vaccinazione contro l’epatite B a queste vaccinazioni dell’infanzia. Era difficile, non c’erano esperienze e allora cominciai prima con un piccolo gruppo di 70-80 bambini e dimostrai che somministrando il vaccino a questi bambini a questi tempi si aveva un’ottima risposta e i bambini producevano l’anticorpo neutralizzante. Occorreva però uno studio sul territorio e c’era una cittadina, Afragola, in ui l’epatite B era diffusissima sicchè con l’allora ufficiale sanitario il dottor D’Avilla fu pianificato uno studio per sperimentare questo protocollo sul campo e quando venivano le mamme ai centri vaccinali di Afragola il dottor D’Avilla domandava loro l’assenso: questa vaccinazione fu accolta al 100%; si vide che con questa vaccinazione l’epidemia diminuiva e così pian piano anche nelle altre città del mondo si diffusero questi dati e quindi le autorità sanitarie dell’epoca fecero una legge per cui la vaccinazione contro l’epatite B doveva essere fatta obbligatoriamente e l’Italia è stato il primo paese dove è stato applicato questo nuovo protocollo; in seguito anche altre nazioni hanno seguito l’esempio dell’Italia. Nelle altre nazioni in cui era stato segiuto il primo protocollo, quello standard (vaccinare solo i soggetti a rischio) fu abbandonato: fu decretato il fallimento di questo schema di vaccinazione e quindi ecco che ovunque fu adottato lo schema italiano. Questo ha portato una diminuzione significativa dell’epatite B. Volevo ricordare i miei collaboratori in questa ricerca, il Prof. Picciotto, mio carissimo amico ora scomparso, ma anche altri: Prof. Guadagnino, Prof. Borgia, Prof. Orlando, Prof. Villari.
Questo vaccino si è diffuso in molti paesi per cui la malattia andrà sempre diminuendo.
Abbiamo parlato dell’Africa. I popoli africani fanno le vaccinazioni obbligatorie e anche questo schema di vaccinazione che fa diminuire l’epatite. Io penserei in questo momento all’altra parte dell’Africa, l’Africa subsahariana: lì non si fa la vaccinazione contro l’epatite B, non si cura l’AIDS, la tubercolosi, la malaria: è un popolo che sta morendo. Io rivolgo il mio pensiero a tanti poveri bambini, a tante mamme, tanti poveri orfani: in questo momento esistono circa 45 milioni di soggetti infettati dal virus AIDS di cui 28 milioni vivono nell’Africa subsaharina; il mio augurio è che tutti i paesi ricchi pensino a questo fatto veramente tremendo. Grazie.

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