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PADOVA MEDITERRANEA
Maria Beatrice Rigobello Autizi


Padova è una città di antichissima cultura e i suoi legami con il Mediterraneo si rintracciano, in particolare, attraverso l’arte del Medio Evo. Certo la vicinanza al mare, e a Venezia in particolare, ha accentuato questo aspetto, ma ci sono opere che, per una loro particolare peculiarità, offrono esempi originali di questo legame con l’Oriente mediterraneo.
Uno degli edifici religiosi più famosi al mondo, punto di riferimento per milioni di pellegrini, è la Basilica di Sant’Antonio. Il Santo, originario del Portogallo giunto a Padova nel 1230, pochi anni dopo la fondazione dell’Università, ha legato il proprio nome alla città. Grande oratore, sapeva trascinare la folla con le sue parole di pace e fratellanza in un’epoca di violenza e dopo la sua morte, nel 1231, si è iniziato a costruire una grandiosa basilica a lui dedicata, divenuta poi il cuore religioso della Padova medievale.
L’edificio, costruito secondo lo stile romanico nella struttura e lo stile gotico nella spazialità e negli archi a sesto acuto della facciata, presenta all’esterno un aspetto molto vicino all’architettura orientale. Le cupole emisferiche e i campanili molto simili ai minareti offrono visioni inusuali per una chiesa occidentale. L’aspetto orientale si riscontra in particolare dai lati esterni e dalla parte absidale della chiesa. Minareto, in arabo ma’an nahr, significa “là dove c’è la luce”, ed effettivamente la luce scivola attraverso gli slanciati campanili che la catturano e portano sulle imponenti cupole emisferiche dell’edificio.
Nel Medio Evo non esisteva la figura dell’architetto come la intendiamo oggi, e gli edifici erano costruiti attraverso l’esperienza dei capomastri, spesso su suggerimento di quanti avevano viaggiato e avevano potuto accostarsi ad esperienze architettoniche di altri paesi. Questo deve essere stato il caso della Basilica di Sant’Antonio, la cui architettura fu forse suggerita da un frate che aveva viaggiato in Oriente.
Ancora più “orientale” è l’architettura di Palazzo della Ragione a Padova, uno degli edifici più importanti del Medio Evo europeo. Palazzo dove si amministrava la giustizia, fu eretto tra il 1216 e il 1219 con forme molto diverse da quelle attuali. Il palazzo, che ha la pianta irregolare di un parallelogramma, era più basso e diviso in tre piani: il pianterreno destinato alle botteghe e ai commerci, il mezzanino occupato da laboratori e dalle due ragionerie del Comune, e un ultimo piano destinato ai tribunali. Successivamente, agli inizi del ‘300, l’edificio fu sopraelevato di sei metri e fu realizzata la grandiosa copertura a carena di nave rovesciata. Fin da allora la parte “commerciale” di Palazzo della Ragione, come del resto ancora oggi, ricorda un souk arabo, con botteghe ricche di animazione, e porte che vengono chiuse di notte.
Nel ‘300 fu altresì realizzato il portico-loggiato a due piani, per ampliare la parte commerciale, e fu chiamato Giotto a decorare l’interno. Anche nei dipinti ritorna l’influsso dell’Oriente attraverso il ciclo astrologico suggerito da Pietro d’Abano, studioso di scienze naturali, medicina, astrologia, che ben conosceva l’arabo ed aveva soggiornato a lungo a Costantinopoli. Mese dopo mese i dipinti rappresentavano gli influssi esercitati sugli uomini dai cieli con i loro pianeti e costellazioni. La sua opera si rifà direttamente all’astrologia di Abu Ma’sar al-Balhi.
Purtroppo il ciclo astrologico di Giotto andò perduto nel corso di un furioso incendio che nel 1420 distrusse il soffitto e parte dei muri perimetrali, ma gli affreschi vennero rifatti dopo il restauro delle strutture murarie sul modello di quelli precedenti.
Altro gioiello dell’arte medievale a Padova è la Cappella degli Scrovegni, dove Giotto lascia la parte migliore della propria attività di pittore e dove restano tracce di Islam forse in nome della fratellanza.
Nella Cappella degli Scrovegni si possono già riconoscere quelli che saranno i grandi valori del Rinascimento: l’osservazione acuta della realtà, il senso del volume e della prospettiva, il coinvolgimento emotivo e psicologico dei personaggi, e la celebrazione del committente, Enrico degli Scrovegni. Dalla Cappella Giotto, artista geniale e coraggioso, forse manda dei messaggi nuovi e non del tutto allineati con la mentalità medievale. Ad esempio egli osserva che il 25 marzo, giorno della Vergine Annunciata a cui è dedicata la Cappella, entrando dalla seconda finestra a destra rispetto all’ingresso, il sole colpisce con i suoi raggi uno spazio ben preciso su cui l’artista non dipinge la Madonna, ma Enrico degli Scrovegni, il suo committente, che offre l’edificio a Maria.
Anche l’aureola del Cristo del Giudizio Universale rimanda la luce dei tre piccoli specchi verso la tomba dello Scrovegni dietro l’altare, creando un collegamento diretto tra la divinità e il ricco padovano.
La realtà osservata direttamente ritorna anche nel Noli me tangere dove Giotto dipinge attorno al Cristo alcune piante aromatiche, l’alloro, l’aneto, il prezzemolo, proprio quelle piante che davano sapore alla povera cucina medievale. Come il Cristo dava il senso alla vita dell’uomo.
Ma l’aspetto forse più segreto di Giotto della Cappella degli Scrovegni è rappresentato dai motivi di talune passamanerie negli abiti di Cristo, nella fascia che avvolge il Bambino Gesù nella Fuga in Egitto e perfino nel tondo con San Malachia e in quello della Madonna con il Bambino, nonché nell’aureola del Cristo del Giudizio Universale. Qui si rintracciano motivi calligrafici di tipo arabo che hanno per molti una funzione puramente calligrafica, anche se c’è chi crede di aver individuato la scritta Allah akbar. Certo necessiterebbero una serie di studi attenti e precisi per poter confermare questa ipotesi. Ma i numerosi caratteri pseudo epigrafici che derivano dall’alfabeto arabo sono solo giustificati dagli scambi commerciali con la Toscana da cui proviene Giotto e da Venezia, città con la quale Enrico degli Scrovegni intratteneva stretti rapporti? Forse no.
Ad Assisi la figura di San Francesco, che predicava la fratellanza tra gli uomini, potrebbe aver fatto nascere in Giotto l’idea di un mondo universale. Ma forse può aver influenzato Giotto anche Pietro d’Abano, grande ammiratore dell’Averroismo all’Università di Padova, inteso sia come primato della filosofia di Aristotele e accettazione del commento che ne aveva fatto il filosofo arabo Ibn Rusd, noto in Occidente come Averroè, sia come opposizione al dogma dell’autorità della Chiesa. Accusato di magia, Pietro d’Abano venne processato, ma morì in carcere nel 1315 prima della fine del processo. Quali sono stati i veri rapporti tra Giotto, uomo intellettualmente già rinascimentale e Pietro d’Abano, grande ammiratore del mondo islamico? Mi piace pensare che Giotto nella Cappella degli Scrovegni e nei distrutti dipinti di Palazzo della Ragione ci mandi dei messaggi trasversali in cui le culture del mondo si interrelazionano, e la pace è vagheggiata attraverso un pensiero che sta al di sopra di noi, addirittura al di là delle religioni. Ciò farebbe di Giotto non soltanto un grande artista ma anche un filosofo che potrebbe avere lanciato un messaggio trasculturale al mondo contemporaneo.

Maria Beatrice Rigobello Autizi, professore di Storia dell’Arte presso l’Istituto Statale d’Arte di Padova P.Selvatico, critica d’arte, organizzatrice di mostre, autrice di cataloghi d’arte, pubblicista, autrice con il marito Francesco Autizi, di volumi sulla storia e sull’arte a Padova.

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