18 marzo 2005
I dieci anni del
processo di Barcellona, strategia dell’ Unione Europea per promuovere
sicurezza, cultura e scambi economici nell’area euromediterranea, hanno portato
l’attenzione sui Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Tuttavia la
crescente presenza degli Stati Uniti nello scenario mediorientale, pone oggi la
necessità di interrogarsi sul futuro delle relazioni internazionali alla luce
della sua azione e delle sue strategie. La Fondazione Laboratorio Mediterraneo,
recependo questa esigenza, ha intrapreso un dialogo a più voce tra esperti e
studiosi di cui la città di Napoli è protagonista. Ieri, alla Maison de la
Méditerranée, si è svolto il sesto appuntamento del ciclo di conferenze
"La politica internazionale nel Mediterraneo". Michael Cox della
London School of Economics, parla della “Grand Strategy Americana e la guerra
globale contro il terrorismo” affrontando il tema del ruolo degli Stati Uniti
nell’era di Bush. Noto studioso di scienze internazionali o, come oggi si suole
dichiarare, di politiche globali, Cox ha dedicato la sua attenzione alle
relazioni transatlantiche, agli effetti delle guerra nell’ Irlanda del Nord e
più recentemente all’ Irak e al post-11 settembre. Insomma, un esperto con cui
addentrarsi nei molteplici aspetti del ruolo dell’America in relazione alla
politica Europea e al Mediterraneo e che anticipa in esclusiva al “Denaro”
alcune considerazioni. La conferenza fa parte dell’elenco ufficiale della
Commissione europea per celebrare il 2005 “Anno del Mediterraneo e decennale
del Partenariato euro-mediterraneo” ed è stata introdotta da Rafael
Dochao-Moreno, responsabile della Commissione per il terzo volet del partenariato
euro-mediterraneo. In questa occasione è stato presentato il portale della
Fondazione Laboratorio Mediterraneo dedicato al decennale del Partenariato
euro-mediterraneo - www.euromed10.org
Domanda. Gli accordi bilaterali e multilaterali, l’intensificarsi degli scambi,
e la promozione di dialogo interculturale hanno costituito lo “zoccolo duro”
della politica europea per il Mediterraneo. Ora, il Mare nostrum si accorge di
non essere un “lago chiuso”, gli Stati Uniti, dall’Irak risultano sempre più
vicini. In uno scenario mediorientale in lento fermento, dove la presenza
americana non agisce solo nel sostegno a Israele, comprendere la cornice
relazionale in cui siamo inseriti richiede un’analisi della realtà americana.
Lei che cosa pensa a questo proposito? Risposta. La nuova Roma sulle rive del
Potomac, è stata con la sua vasta macchina militare, con le sue ingenti risorse
materiali e la enorme fiducia in se stessa, la più grande potenza della terra.
Talvolta, i problemi con l’ex Unione Sovietica e la Cina, e rivoluzioni e la
lotta contro il comunismo, hanno turbato la pax americana, ma possiamo
affermare che dal dopo guerra, nei primi vent’anni, gli Stati Uniti avevano il
consenso di tutto il “mondo libero”. D. Poi cosa è successo?
R. Con la guerra del Vietnam questo equilibrio imperiale si è rotto, l’America
è diventata un Paese normale. Ma questa è la posizione dei pessimisti.
D Che cosa intende dire? R. L’America si è affacciata al terzo millennio in
tutto il suo splendore, estendendo sempre più la propria sfera di influenza;
l’attitudine imperiale di Bush non è più una sorpresa e non crea nemmeno
indignazione.
D. Come se lo spiega? R. Se analizziamo le forme di consenso utilizzate
dall’impero britannico vediamo concessioni, compromessi e tolleranza rispetto
al dissenso e a forme d’indipendenza locale. Per l’ America, in forma diversa,
possiamo dire che solo quando si trasgredisce da un agire “ formalmente”
democratico, quest’ ultima interviene per riaffermare chi veramente detiene il
potere. Questo spiegherebbe il grande successo che ha riscosso negli anni il
vivere sotto il suo ombrello comportando allo stesso tempo protezioni di vasto
respiro e conseguenti vantaggi economici.
D. La politica irakena sembra tuttavia mostrare un’azione americana ben più
pervasiva. Nel nome della difesa della democrazia possono essere traditi i
principi di autodeterminazione e libertà dei popoli? R. Oggi non sono solo i
neo- con difensori della dottrina di Bush a guardare all’America in un ottica
imperiale. Bush ha attribuito a sé il compito di stabilire regole
internazionali, minacciare, usare la forza e amministrare la giustizia.
Definire tutto questo una politica unilaterale è troppo poco. Il potere, come
dice Weber non è l’ autorità e un potere illimitato porta naturalmente alla sua
corruzione e al logoramento di chi lo esercita. Questo è quanto è accaduto
negli Stati Uniti negli ultimi anni.
D. Si spieghi meglio.. R. La posizione unipolare di Bush aveva creato scontenti
che sono esplosi nell’avvio della guerra Irakena. Mai come in questo caso
l’America si è avviata ad una guerra con pochi alleati. Per la mentalità
americana, cresciuta nel mito di essere una grande forza di liberazione e non
mai di conquista, è molto difficile accettare che la politica in Irak sia nell’interesse
dell’America e non per la liberazione dell’Irak.
D. Quali saranno le conseguenze di questa contraddizione?
R. Secondo alcuni gli Americani non avranno il coraggio di continuare una
simile battaglia e questo influenzerà la politica estera del Paese. Ciò non
ridurrà il potere americano nel più ampio sistema internazionale, ma in ogni
caso non ne può prevedere la sua riproduzione automatica, in tempi in cui le
vecchie certezze dell’economia cominciano a essere messe in crisi. Gli
imperialisti di Washington non hanno pensato a un tempo migliore per costruire
il loro nuovo impero americano. m.i.