IL MATTINO

2 settembre 2005

 

 

Perché la Turchia può aiutare la Ue

 

Di Antonio Badini

 

 Il primo ministro della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, è oggi a Napoli per ricevere il Premio per le Istituzioni attribuitogli dalla Fondazione Mediterraneo. Il riconoscimento non è certo casuale né è solo la giuria della ormai affermata istituzione napoletana a ritenere che la Turchia abbia già compiuto un buon tratto di strada nel suo lungo cammino verso l’Ue. Anche la presidenza di turno del Regno Unito e la Commissione di Bruxelles concordano che il governo di Ankara ha soddisfatto i criteri fissati per iniziare dal prossimo 3 ottobre il negoziato di adesione. Un negoziato, si badi bene, ancora irto di ostacoli. Se tutto dovesse procedere nel modo giusto, l’entrata in vigore dell’accordo non avverrà prima di 15 anni.

Ci sono mille ragioni per convincersi che un arco temporale così esteso rischia di attenuare il contributo che la Turchia può apportare al potenziale di azione dell’Ue in tempi prevedibilmente carichi di tensione per il Grande Mediterraneo. Ma è da sperare che questa lunga anticamera serva almeno a sciogliere i dubbi che qualche stato membro ancora nutre sulla capacità della Turchia di familiarizzarsi con regole e metodologie dell’Ue. Non dimentichiamoci che il Paese cerniera euro-asiatica, sfidando gli scettici della prima ora, ha tenuto fede con coerenza e credibilità agli impegni assunti in sede Nato. Impegni assunti in presenza, prima di una forte contrapposizione Est-Ovest, oggi di una inquietante minaccia del terrorismo globale. Anche in termini di relazioni internazionali la Turchia ha compiuto da tempo e senza equivoci la sua scelta di campo. Ankara é infatti membro delle maggiori istituzioni multilaterali che imperniano la collaborazione fra gli stati nel rispetto delle regole di mercato, della libera iniziativa privata e della good governance (Ocse, Fmi, Banca mondiale, ecc.). Non meno significativi sono i progressi sul piano più strettamente politico-istituzionale. Nell’intervista esclusiva accordata al Mattino, pubblicata ieri, il primo ministro Erdogan ha ricordato la riconfermata lealtà del suo governo al carattere laicista e repubblicano della Costituzione kemalista affermando che la religione non è che una, sia pur importante, componente soggettiva, e perciò privata, della identità culturale della società turca. È quindi onestamente difficile non riconoscere che il governo guidato da Erdogan si è spinto molto avanti nell'accogliere i valori della democrazia. In Turchia, la maggioranza politica, che è sorretta dal Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), é islamista ma tutt'altro che fondamentalista. L'Akp pratica in chiave moderna la «igtihad», (letteralmente sforzo di interpretazione) della legge islamica. Chi temeva che l'avvento al potere di Erdogan avrebbe riacceso tensioni religiose nella società civile, restituendo attualità al rischio di una deriva islamista ha dovuto ricredersi. Certo, il processo riformista é ancora incompleto ma vedere la bottiglia mezza piena e mantenere aperta la prospettiva dell'adesione dimostra che il pregiudizio e la diffidenza si possono vincere con politiche serie e coerenti. Alcuni importanti provvedimenti sono stati già adottati dal governo del primo ministro Erdogan in risposta alle richieste dell'Ue. Ricordiamo, tra le altre, la riforma del sistema giudiziario con l'adozione di un nuovo codice penale, l'emancipazione femminile, l'abolizione della pena di morte e l'introduzione di una regolamentazione per prevenire la violazione dei diritti umani. Particolarmente significativa è stata altresì la recente decisione della Turchia di estendere l'unione doganale ai nuovi stati membri incluso Cipro, un atto la cui valenza politica non può sfuggire ad alcuno. Attendersi tuttavia che Ankara possa addirittura riconoscere l'isola prima del 3 ottobre significherebbe porre una nuova condizione e sottovalutare gli obiettivi problemi che la questione verrebbe a porre alla stabilità del governo turco. Non si può, d'altra parte, fingere di dimenticare che è stata la popolazione greca di Cipro a pronunciarsi negativamente nella primavera del 2004 sul piano di pace patrocinato dall’ Onu mentre i turco-ciprioti lo avevano approvato, non senza un'abile azione di sensibilizzazione del governo Erdogan, con la significativa maggioranza del 65%. Tutti sanno che il problema del riconoscimento è nell'agenda politica dell'Ue. Ma la discussione andrà rinviata al momento giusto quando un positivo andamento del negoziato avrà fatto maturare le condizioni propizie e il governo di Ankara potrà sottoporre il riconoscimento di Cipro all'elettorato da una posizione di forza, con un bilancio positivo cioè sulle prospettive dell'adesione del paese all'Ue. Nel dialogo delle culture, quello serio, la Turchia di Erdogan può diventare la cartina di tornasole del tentativo volto a mostrare che democrazia e Islam non sono antinomici e che società islamica può non essere sinonimo di stato islamico né di fondamentalismo. La specificità culturale implica naturalmente la diversità religiosa. Ma ciò non deve essere un problema. Quello che si chiede agli stati membri è la salvaguardia della libertà del credo in una Unione europea che deve rimanere impegnata a garantire il pluralismo confessionale. Negare le radici religiose ai valori culturali di una nazione non solo é difficile ma non é neppure conveniente. Molto meglio ammetterlo come fanno gli islamici, gli ebrei e felicemente anche la Costituzione italiana, la quale riconosce che i principi del cattolicesimo costituiscono parte integrante del patrimonio storico del popolo italiano. La fierezza delle proprie tradizioni è il vero antidoto, più che il contenimento dell'«altro», alla convivenza serena e arricchente delle diverse identità culturali. Un approccio epistemologico, senza inutili infingimenti e riserve mentali, è il miglior viatico per promuovere una reale coalizione dei valori e degli interessi condivisi, che taluni preferiscono definire Alleanza delle civiltà. Una coalizione che valga a sradicare l'ideologia terrorista e l'estremismo eversivo, che nulla possono avere a vedere con l'Islam. La Turchia in questo senso é un partner ineludibile. Il governo italiano lo ha ben compreso. Speriamo che lo comprendano anche gli stati membri che appaiono ancora esitanti o reticenti, consentendo alla Commissione di Bruxelles di avviare il 3 ottobre prossimo il negoziato di adesione della Turchia all'Ue e di portarlo avanti nei tempi previsti e con equità, in un giusto contemperamento cioè di obblighi e diritti. Noi vogliamo sperare che il premio odierno della Fondazione Mediterraneo sarà di buon auspicio alla decisione che proprio oggi il Consiglio informale dei ministri degli Esteri dell'Ue è chiamato ad adottare sull'avvio del negoziato.