LA REPUBBLICA
17/09/2005
Parla Gigiotto Del Vecchio,
curatore della sezione Campania della mostra: 'è un' occasione per sconfiggere
i cliché'
Napoli nuova centrale
dell' arte ora l' obiettivo è il Mediterraneo
la polemica Questa città ha
tanti problemi ed è da rifondare, ma nel senso di ricostruzione: dobbiamo
ritrovare la purezza della sua magia e delle sue infinite contraddizioni il
personaggio
MARIO FRANCO
Nell' ambito
della dodicesima edizione della Biennale dei giovani artisti dell' Europa e del
Mediterraneo, istituzione itinerante che quest' anno ha per tema la Passione e
che si terrà dal 19 al 28 settembre a Castel Sant' Elmo mostrando opere di
giovani artisti tra i 17 e i 30 anni, ci sarà una sezione Campania, curata da
Gigiotto Del Vecchio, che ha il compito di rendere protagonista la città
ospitante, facendo della mostra l' atelier sperimentale in cui il visitatore e
l' istituzione prendono atto dei sotterranei fermenti dei propri giovani
talenti. Gigiotto Del Vecchio non è un critico-curatore che si è formato solo
in ambito accademico o studiando e visitando mostre e gallerie. è
fondamentalmente un "figlio d' arte", di quel Crescenzo che è stato
tra i protagonisti dell' arte a Napoli nei primi anni Settanta e che partecipò
con il gruppo di artisti che intendevano l' arte come azione sociale (A. Social
Group) alla storica rassegna voluta da Crispolti nella Biennale del 1976.
«Avevo cinque anni - racconta Gigiotto - e quella fu per me la scoperta della
Biennale dell' arte. Vedevo mio padre al lavoro con i suoi amici, gente che
conoscevo: mi sentivo come a casa e mi comportavo con la disinvoltura e l'
irrequietezza di un bambino di quell' età. In uno dei padiglioni c' era una
troupe televisiva che intervistava Guttuso, ed io, attratto dalle luci e dalle
macchine, correvo tutt' intorno. Finché Guttuso mi afferrò al volo e mi poggiò
sulle sue ginocchia, per concludere l' intervista senza altri fastidi. Con mio
padre mi sono divertito a rivedermi in una replica di Raisat-Arte~». Parliamo
della Biennale dei giovani e del tema di quest' anno che individuerebbe nella
passione una delle peculiarità della nostra terra, connotata da una creatività
«estrema», fatta di eccessi, emozioni, novità e sperimentazioni. - come dettano
gli uffici-stampa. Una creatività vissuta storicamente in modo intenso e
passionale. A me sembrano elaborazioni lessicali che non superano l' eterno
côté autoreferenziale di questa città. «In realtà - risponde Del Vecchio - le
parole celano un senso che l' uso quotidiano occulta. Diciamo, ad esempio, che
Napoli è una città da ricostruire, in termini economici, culturali, sociali, di
ripristino della legalità~ ma non dovremmo dimenticare quello che diceva lo
scrittore peruviano Manuel Scorza (Dadapolis, Ramondino-Muller. Einaudi, 1989),
che «ricostruzione», secondo il significato letterale, vuol dire «costruire di
nuovo la stessa cosa». La stessa cosa napoletana è quindi magia pura, mutevole
continuità esente da contraddizioni: il capoluogo partenopeo, la perenne
capitale del Regno, in catartica attesa dell' evento straordinario, poiché il
Vesuvio incombe, sempre pronto a cantare il suo canto di purificante
distruzione. Un popolo in questa aspettativa subconscia, in costante attesa del
peggio, celebra «l' aria 'mbarzamata», immobile, in cui si consumano oggi come
ieri amori, riti, violenze, ma anche generosità, slanci umani, commozione,
malinconia e festa. Obietto: «Mi sembra una variante del delirio paranoico. La
messa in scena della passione come metafora visiva della paura o del desiderio.
«Forse, - risponde Gigiotto - ma solo perché l' analisi di Napoli è un cliché
che passando di bocca in bocca, di penna in penna, di pennello in pennello
alimenta la leggenda. Napoli è la mitopoiesi fatta territorio, cultura e uomo.
Tutto e il contrario di tutto? No: la stessa cosa. E quale criterio ha seguito
nella scelta dei giovani artisti napoletani? «Per operare nel settore delle
arti visive serve molta pazienza e grande passione in Italia: il giovane
artista vive allo sbaraglio e non esiste un programma statale che lo accompagni
lungo il percorso, che magari lo coltivi e lo aiuti. - risponde Gigiotto -
Napoli è fortunatamente una città propositiva e questa biennale, in cui Napoli
è il ponte che la sposta da Atene proiettandola verso Alessandria d' Egitto,
sarà una festa nella quale l' arte uscirà dai salotti economici dell' occidente
per parlare tante lingue antiche e nuovissime, con risolutezza, in nome di un
pluralismo che troppi nominano e pochi affermano. Le opere di Giovanni D'
Onofrio, di Federico del Vecchio, di Carlotta Sennato, di Zak Manzi, di
Clemente Capasso, di Rosaria Iazzetta, di Barbara La Ragione, di Anna Mercurio,
di Rocco Salvatore, di Eugenio Tibaldi di Moio & Savelli, sono la
dimostrazione, per la lenta pigrizia napoletana, che il fermento, il
cambiamento, qui non è solo importato dall' estero, ma espresso e codificato
dai suoi figli più giovani con lucidità e fervore. Guardando le cose in questa
prospettiva la Biennale del Mediterraneo è la prima reale interprete del
proprio tema, la passione: quella in cui la possibilità di espressione è data
sia agli artisti dei paesi poveri presenti nell' area del Mediterraneo, che a
quelli di paesi più ricchi, ma le cui strutture istituzionali svolgono poco il
ruolo di sprone della sperimentazione, dei nuovi linguaggi, della ricerca».
Gigiotto Del Vecchio è anche il consigliere (o meglio, il complice, il compagno
d' avventura) della grande raccolta di artisti giovani di fama internazionale
messa insieme da Maurizio Morra Greco e che ora formano la collezione di una
Fondazione che aspetta un aiuto e un riconoscimento ufficiale da parte della
Regione per esser messa a disposizione del pubblico. «Perché non una semplice
fondazione privata - gli chiedo - come Rebaudengo di Torino o Ratti di Como o
Trussardi o Prada a Milano? Perché si vuole un sostegno pubblico?». «I problemi
sono molti. Vanno dal palazzo che ospita la collezione, da restaurare, - spiega
Gigiotto - al fatto che ci sembra giusto investire su giovani talenti e non
solo su artisti universalmente noti. Mentre un museo di capolavori consacrati
accentua la frattura tra arte e pubblico, lavorare con giovani artisti
internazionali innesca un virtuoso cortocircuito con i giovani artisti locali,
stimola confronti, fa condividere esperienze. Ecco, io sono convinto che uno
dei compiti che può darsi oggi un museo moderno è quello di unire ad un alto
livello scientifico uno stimolo per una continua modificazione dell'
immaginazione e dei comportamenti».