IL MATTINO
31/08/2006
L’ADDIO
Morto Mahfuz il Nobel arabo contro i fanatismi
di Francesca
Biancani Marcella Emiliani
«Quando arrivò al Vicolo, le botteghe
erano chiuse e tutto sarebbe già piombato nelle tenebre, se non ci fossero
state le luci del caffè. Fuori faceva fresco, ma all'interno del locale l'aria
si manteneva tiepida per il fumo dei narghilè, per la presenza degli avventori
e il calore del braciere. Seduti comodamente sui divani, i presenti
chiacchieravano bevendo tè e caffè, mentre la radio diffondeva un programma che
cadeva nell'indifferenza generale, come un noioso oratore che parli a una
platea di sordi». «Vicolo del mortaio», il romanzo che ha fatto conoscere Nagib
Mahfuz anche in Italia, è stato tradotto da Feltrinelli solo nel 1989: in realtà
era stato scritto nel 1947 ed era già concepito lungo le coordinate che
avrebbero retto tutta la sua produzione letteraria. Queste coordinate erano il
vicolo e il caffè, del Cairo naturalmente, anche quando Mahfuz si è cimentato
con la storia faraonica dell'Egitto, perché nel passato lui andava cercando
l'anima del suo paese, un’anima grande, complessa, figlia di grandi civiltà che
continuavano a rispecchiarsi non nella grandiosità dell’archeologia islamica o
delle piramidi, ma nella vita del vicolo di tutti i giorni, nei suoi odori,
nelle chiacchiere della gente comune.
L’Egitto è stata l’unica vera passione
di Mahfuz, e questo oggetto d’amore lui lo ha osservato-vissuto-ricreato lungo
un intero secolo, il ’900, dal suo oblò privilegiato: il caffè. Dal Cairo (cui
ha dedicato più di un’opera, tra cui la celeberrima Trilogia del 1956-57) non
ha mai voluto spostarsi, convinto che la materia grezza della letteratura fosse
già sotto i suoi occhi, nel brulicare delle miserie, delle gioie, delle
speranze, dei dolori di un’umanità fusa e confusa nel grande calderone di una
città immensa che, anno dopo anno, diventava sempre più straniante, drammatica,
decadente. Mahfuz non è stato il cantore di una Cairo solare, intrigante e
cosmopolita come Lawrence Durrell lo è stato di Alessandria
nell’indimenticabile Quartetto. Ma Durrell era un inglese, forse l’ultimo dei
romantici, Mahfuz invece è stato un entomologo, uno scrittore che ha usato la
penna per amare, provare pietà e partecipare senza aver bisogno di creare miti
per la fantasia occidentale. Non ha mai mitizzato neanche se stesso. Di sé
amava dire: «Sono diventato uno scrittore perché sono stato un impiegato»,
prima al ministero dei Beni religiosi, poi come direttore artistico del
ministero della Cultura e del Museo del cinema. Fare l’impiegato gli permetteva
di non farsi fagocitare dal lavoro per dedicarsi interamente alla letteratura e
per lo stesso motivo si è sposato molto tardi, nel