IL MATTINO
23/09/2006
Islam, le ferite della Bosnia
«Ignoranza e violenza hanno reso fragili i valori moderati
di un luogo plurale»
Predrag Matvejevic
La presenza dell’Islam, divenuto
oramai la seconda religione dell’Europa, fa risorgere ben altre questioni dove
la laicità propriamente detta non è la sola posta in gioco. Mi limiterò a
evocare alcune analogie nella storia delle religioni cristiana e musulmana
capaci di chiarire probabilmente certi fenomeni odierni. L’Europa non è riuscita a cristianizzare la propria modernità, i Lumi vi si sono
opposti. Essa ha tuttavia modernizzato in modo rilevante il Cristianesimo.
«Modernizzare l’Islam o islamizzare la modernità», quest’alternativa fu presentata per la prima volta da un pensatore
musulmano in esilio. Allo stesso modo che nell’Europa di ieri, la modernità
rimane restia di fronte a diverse manifestazioni islamiche.
«Il Libro non si tocca», è la
risposta che danno nel caso specifico capi di fede islamica. Potremmo ricordare
che nulla è stato modificato nelle Sacre Scritture eliminando l’Inquisizione,
il rogo, la tortura inflitta agli eretici e certe altre «deviazioni» delle
nostre Chiese. La storia moderna - nella quale il colonialismo incide con tutto
il suo peso - non ha permesso alla maggior parte dei paesi islamici di vivere
il loro Secolo dei Lumi. La Nahda o il Tanzimat
così come altri tentativi importanti di riforma non hanno avuto la fortuna o la
possibilità di avere un esito soddisfacente. Possiamo dunque modernizzare la
lettura del Corano senza tradirne la
Lettera? C’è una nuova lettura possibile delle parole del
Profeta? Dipende in primo luogo dal mondo musulmano, dalla sua intellighenzia
illuminata, cercare la risposta a tali questioni. In fondo hanno delle buone
ragioni per diffidare di noialtri. Noi potremmo forse aiutarli cercando di
evitare certi nostri giudizi errati o tendenziosi: l’Islam e l’islamismo non sono la stessa cosa, l’islamismo e l’integralismo islamico
sono cose diverse, l’integralismo si differenzia dal fondamentalismo
e all’interno stesso del fondamentalismo esistono
delle correnti mistiche da una parte e fanatiche dall’altra - e sono solo
queste ultime che diventano terroriste e assassine. Queste distinzioni
aiuterebbero a riabilitare la grande maggioranza dei
musulmani del mondo intero (...). È stato probabilmente uno degli errori più
gravi compiuti dall’Europa e dagli Stati Uniti nell’ultima guerra balcanica: non aver riconosciuto in Bosnia l’esistenza di
una delle comunità islamiche più laiche del mondo. E non essere riusciti a opporla in quanto tale alle altre forme, più dure e
intolleranti, di religione musulmana catalogate sotto il comune denominatore di
islamismo o fondamentalismo. In questo caso,
l’ignoranza si è lasciata ingannare dalle propaganda
che veniva soprattutto dalla Serbia di Milosevic e
dalla Croazia di Tudjman, e che affermava che questa
comunità bosniaca era un «avamposto per la penetrazione dell’Islam in Europa».
Nella città di Mostar, dove sono nato, città che porta
il nome di un «vecchio ponte» considerato da quelli che lo hanno distrutto
brutalmente come un simbolo dell’Impero ottomano, più di un terzo degli
abitanti erano musulmani. I miei colleghi e amici di famiglia islamici
parlavano la stessa lingua dei croati cattolici e dei serbi ortodossi, erano
coscienti di condividere con noi le stesse origini, ci venivano a trovare in
occasione di feste cristiane: mangiavano il maiale e bevevano
raki quanto noi e di più. (...)
La resistenza antifascista è stata impresa comune alle tre comunità. I figli e
le figlie dei membri della resistenza trovavano con facilità un linguaggio
comune. Viceversa nel campo opposto, tra chi durante la seconda guerra mondiale
aveva collaborato con gli invasori, fecero la loro apparizione i primi segni di
discordia o diffidenza. Non si cancellò del tutto una memoria
inquietante. Gli ultranazionalisti serbi - detti cetnici
- massacrarono, soprattutto nella valle della Drina,
nel 1942-43, migliaia di musulmani, assimilandoli agli antichi invasori turchi
e ai traditori della fede cristiana e ortodossa. Mentre gli ustascia - fascisti croati - tentarono di farseli alleati,
chiamandoli «fior fiore della Croazia». Tito finì col riconoscere, alla
fine degli anni Settanta, una nazione musulmana: il nome o epiteto di
Musulmano, con la maiuscola, indicava l’appartenenza nazionale dei credenti e
anche degli atei; con la minuscola segnalava solo la religione. Questo creava a volte una certa ambiguità, presa spesso in giro dai
nazionalisti di fede cristiana, serbi o croati. Si trattava di segnare
una differenza che esisteva realmente, creata dalla storia e che, in un paese
multinazionale come quello, non poteva essere ignorata. Non ho mai sentito i
nostri musulmani parlare di «sunniti», «sciiti» e,
meno che mai, di «wahabi». Erano semplicemente slavi
di «origine musulmana» o «musulmani» e basta. (...) Quando, dopo la rottura della Jugoslavia di Tito con
Stalin (1948), si aprì uno spazio più ampio per la libertà di espressione, più
di uno scrittore d’origine musulmana, laico o credente, non tardò a confessare
il suo malessere a proposito dell’identità nazionale. (...)
I musulmani di Bosnia-Erzegovina hanno sofferto
orribilmente durante la recente guerra dei Balcani.
Oggi tutti sanno che Sarajevo è stata assediata per più di 1300 giorni, che più
di 7000 cittadini di Srebrenica sono stati fucilati
dagli estremisti serbi di Mladic e Karadzic o che, nei pressi di Mostar, gli estremisti croati
hanno costruito campi di concentramento e che questa città, con il suo celebre
ponte, è stata rasa al suolo per metà (la metà
musulmana). Questo odio e questa ferocia erano,
nonostante tutto, inattesi (...). È legittimo domandarsi in che misura questi
atteggiamenti siano una sorta di fondamentalismo
cristiano, ortodosso in primo luogo, ma anche cattolico, a cui mancherebbe
soltanto il dato dalla fede. (...) Le ferite della Bosnia-Erzegovina non cessano di sanguinare. Sono ferite
che tardano a cicatrizzare. Distrutta e ridotta a una
miseria materiale inconfessabile, a una sopravvivenza che dipende unicamente
dagli aiuti che vengono dall’esterno, più che uno Stato è una semplice regione
divisa in tre parti, smembrata in tre religioni, ciascuna delle quali
appoggiata da un nazionalismo primario e intransigente. È in un vicolo cieco
che non può trovarsi una via d’uscita da solo. (...)
Probabilmente, in Bosnia, l’Europa ha perduto una battaglia decisiva contro
l’islamismo integralista nel suo complesso: i musulmani bosniaci erano, in
maggioranza, inoffensivi, moderati e più laici degli altri. Nel cuore del
nostro continente, di cui condividono i valori fondamentali, meritavano una
maggiore protezione. Errori come questi si pagano molto cari.