IL DENARO
05/05/2007

Europa, continente della tolleranza e della lotta al razzismo

di Claudio Azzolini*

 

 

Il 3 maggio è stato presentato a Roma il Rapporto Ecri sull’Italia della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, iniziativa alla quale sono stato invitato a partecipare. Da anni questo importante documento ha assunto grande rilevanza nell’articolato panorama degli strumenti internazionali a salvaguardia dei diritti umani. In quasi quindici anni di attività, la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza ha acquisito vasta e consolidata expertise nel settore, grazie all’autorevolezza dei suoi Membri, specializzati nell’analisi e nel contrasto a fenomeni di razzismo, xenofobia, antisemitismo e intolleranza. Dov’è la forza, il “vantaggio comparativo” dell’Ecri rispetto ad altre istituzioni internazionali con gli stessi obiettivi?


Credo che risieda nel suo metodo di lavoro, nel suo approccio “Paese per Paese”, mediante il quale la Commissione può svolgere un’approfondita disamina delle problematiche connesse al razzismo ed all’intolleranza in ciascuno degli Stati membri del Consiglio d’Europa, prospettando suggerimenti e linee d’intervento.
Con questo approccio tutti i Paesi aderenti al Consiglio d’Europa sono posti su un piede di effettiva parità, senza il rischio — presente nelle iniziative di altre organizzazioni — che sorgano diatribe ed annose polemiche sull’adozione di “doppi standards” nell’esame dei diversi contesti nazionali.


Ho vissuto in prima persona, nell’aprile 2002, nella veste di Presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea di Strasburgo, il dibattito sorto attorno alla presentazione del precedente Rapporto sull’Italia che — lo devo rilevare per amore di verità - conteneva alcune forzature interpretative sia in relazione a talune opzioni legislative che agli orientamenti assunti, sulle questioni dell’immigrazione, da alcune forze della maggioranza.


Esprimo quindi vivo compiacimento per le considerazioni svolte nel nuovo Rapporto che riconosce, in termini positivi, le importanti innovazioni introdotte nell’ultimo quinquennio nella legislazione anti-discriminazione.
Viene inoltre opportunamente riconosciuto, nel nuovo Rapporto, il complesso degli sforzi posti in essere dalle Autorità italiane nella tutela e nell’assistenza alle vittime della tratta di esseri umani: il primato della normativa italiana di settore, e delle connesse politiche di attuazione, è stato del resto più volte sottolineato in sede internazionale e costituisce un motivo di orgoglio per il nostro Paese che, per primo, ha introdotto specifiche misure a tutela delle vittime dell’human trafficking.

L’Ecri manifesta altresì il suo apprezzamento per la procedura di regolarizzazione, avviata dal Governo Berlusconi, di circa 650.000 lavoratori extracomunitari che hanno potuto ottenere uno status legale nel nostro Paese.


Si tratta di indirizzi positivi cui purtroppo si contrappongono elementi di criticità del quadro italiano che il Rapporto doverosamente pone in rilievo, dalla mancata ratifica del Protocollo n. 12 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sul divieto di discriminazioni, alla perdurante carenza di una legislazione organica sul diritto d’asilo fino all’adozione di più efficaci sistemi di monitoraggio degli incidenti a sfondo razzista, xenofobo ed antisemita che però, fortunatamente, nel nostro Paese appaiono numericamente ridotti, secondo quanto riportato nelle statistiche fornite dal Ministero dell’Interno e confermato nelle analisi condotte dalle organizzazioni non governative.


Qual è allora il contributo che può dare il nuovo Rapporto dell’Ecri sul nostro Paese?. Credo che, al di là delle diverse articolazioni tematiche, si possa sostanziare in un apporto, spassionato ed autorevole, alla vasta riflessione in corso sui meriti — e sui demeriti - del “multiculturalismo all’italiana”, divenuta di stringente attualità in questi mesi segnati dal dibattito sulla nuova legge sulla cittadinanza e dall’esplosione di fenomeni di violenza collettiva da parte di comunità di immigrati extracomunitari come a Milano ed a Padova.


Come uomo politico, che continua a credere nella “società aperta”, penso di avere egualmente l’obbligo di lottare contro gli esiti illiberali e, paradossalmente, razzisti di certo multiculturalismo, coraggiosamente denunciati da intellettuali anti-conformisti.


Già nel 1993 Samuel Huntington descrisse il fenomeno del multiculturalismo come una minaccia interna all’Occidente dopo il tramonto delle grandi ideologie totalitarie: la sua parve allora una critica alla migrazione multietnica e multiculturale che contraddistingueva e contraddistingue tutte le società aperte occidentali. In realtà l’autore di “Scontro tra le civiltà” intendeva stigmatizzare l’ideologia del multiculturalismo che, muovendo da istanze egualitarie, finisce per accentuare le disuguaglianze, perché finisce per tollerare o addirittura promuovere il razzismo delle minoranze contro le maggioranze.
Non è un caso che a queste stesse conclusioni sia arrivato il Presidente della britannica per l’uguaglianza razziale, il laburista Trevor Phillips, di origini afro-caraibiche, esponente di una cultura politica che da quarant’anni ha fatto del multiculturalismo uno dei cardini della sua piattaforma programmatica, assegnando diritti collettivi differenti a comunità etniche o religiose.


E’ chiaro che in una società in cui il multiculturalismo venisse applicato alla lettera, si dovrebbe concedere il “diritto” all’infibulazione o alla poligamia a quelle comunità che le praticano per tradizione, si dovrebbe sancire per legge l’inferiorità giuridica di certe caste sociali ereditarie o delle donne se richiesto da comunità che tradizionalmente praticano la discriminazione sessuale o castale.


In una società multiculturale, insomma, l’unica libertà che sopravvive è quella della comunità (e dei suoi capi), non degli individui che ne fanno parte, i quali si vedrebbero negare anche i loro diritti individuali più basilari.
Ciò significherebbe violare proprio il patrimonio giuridico-politico promosso in sessanta anni dal Consiglio d’Europa a salvaguardia dei diritti umani, introducendo forme di discriminazione contrastanti con il diritto di ogni persona umana alla libertà e alla parità riconosciuto e tutelato da tutte le costituzioni occidentali.
Significa anche scegliere la tribalizzazione come modello di società, istituzionalizzare forme di sviluppo diverso e separato che, come Europei, non possiamo accettare senza tradire noi stessi ed il nostro passato.
L’Europa, grazie anche all’azione dell’Organizzazione di Strasburgo, si è più volte mostrata disponibile al dialogo interculturale: l’Ecri ne rappresenta uno degli strumenti di punta.

 
Ritengo però che la vulgata multiculturalista attualmente dominante non serva oggi a promuovere un’effettiva integrazione che alligna nei mass media come nelle organizzazioni internazionali.
Questo perché il multiculturalismo non ha mai voluto comprendere che alla base dell’integrazione si pone una vera e propria scelta di vita, una decisione che non è l’Europa a dover prendere, ma piuttosto la persona che si trova di fronte al dilemma di dover optare tra un’esistenza improntata alla condivisione di comuni valori universali di libertà e l’isolamento auto-ghettizzante.


Occorre lucidamente riconoscere che oggi la reale problematica dell'integrazione non trae origine, in molti Paesi europei, dalla xenofobia di certe frange della società ma piuttosto dalla negazione e dall’ostentata ostilità dell’Islam intransigente, il quale spesso tiene sotto il giogo della paura i credenti più moderati, che, in passato, hanno scelto l’Europa perché assetati di libertà e di tolleranza.


Proprio la lotta all’intolleranza religiosa deve oggi indurci a contrastare attivamente la nuova gravissima minaccia rappresentata dalla cristianofobia che alligna in alcuni Paesi di area mussulmana e che si manifesta in forme violentissime come nel recente eccidio di Malatya: l’intolleranza per le confessioni cristiane è oggi una nuova, devastante forma di violazione dei diritti umani rispetto alla quale dobbiamo registrare il colpevole disinteresse della Comunità internazionale e di gran parte delle sue Organizzazioni.
Per molti decenni abbiamo ritenuto che la comune battaglia contro il razzismo e l’intolleranza si sarebbe conclusa con il crollo di ideologie e mitologie del passato, liquidate dal progresso dello Stato di diritto e dall’affermazione universale dei diritti umani: oggi abbiamo dolorosamente appreso — e non tutti ancora compreso - che questa battaglia continua contro nuovi razzismi e nuove intolleranze, rimanendo il principale terreno di prova sul quale il nostro Continente - attraverso il Consiglio d’Europa e l’Ecri - è chiamato a dimostrare la propria credibilità e la propria vocazione di “Continente della Tolleranza”.