IL MATTINO

15/05/2007

 

L’ANALISI

Medio Oriente la scelta del dialogo

 

Antonio Badini. Il piccolo periplo appena compiuto nel Medio Oriente dal presidente della Camera dei Deputati Fausto Bertinotti ha aperto nuove speranze di un’azione italiana volta a restituire movimento al processo di pace. Già la visita nella regione del ministro degli Esteri D’Alema prima e del presidente Prodi poi avevano dato netta la sensazione dell’accresciuto ruolo che il nostro governo intende svolgere per ridare credibilità e forza all’opzione negoziale. La congiuntura attuale presenta tuttavia nuovi fattori d’inquietudine. Innanzitutto, la perdita di fiducia del primo ministro israeliano Olmert. Molti all’interno del suo stesso partito ne chiedono le dimissioni dopo le accuse di inadeguatezza mossegli dalla commissione d’inchiesta Vinograd nel conflitto in Libano. Preoccupa altresì nel «paese dei cedri» lo stallo fra maggioranza e opposizione sulla «vexata questio» del Tribunale internazionale per giudicare i responsabili dell’assassinio di Rafik Hariri. La recente riunione di Sharm El Sheikh sull’Iraq era sembrata preannunciare rapporti meno tesi tra i paesi vicini, un esito che avrebbe dovuto influire positivamente anche sulla crisi israelo-palestinese. È però un fatto che gli echi di una nuova dinamica di riconciliazione si sono affievoliti di fronte alla ripresa della violenza interetnica nel paese. Tutti si attendono ora che il primo ministro El Maliki onori i propri impegni di coniugare un miglior presidio militare del territorio con la politica della mano tesa verso l’insorgenza armata. Non ci si può però nascondere che in una situazione di crescente contrapposizione negli Stati Uniti fra un Congresso determinato a fissare i termini di una strategia di uscita dall’Iraq e la Casa Bianca ostinata a puntare sull’aumento delle truppe, ci si aspetterebbe dall’Ue l’assunzione di maggiori responsabilità.

Lascia soprattutto perplessi il percepibile scarso senso di urgenza da parte di Bruxelles almeno nel contenere le spinte suscettibili di fungere da detonatore di una nuova Intifada. Che sarebbe la terza, con il concreto rischio di alimentare pericolosamente l’intero arco del conflitto mediorientale con pesantissime ripercussioni sul dialogo inter-culturale fra Islam e Europa. Si spiega allora l’attenzione all’analisi italiana che vede concordi governo e Parlamento sull’esigenza di un soprassalto europeo di saggezza e coraggio. Al Cairo è piaciuto il piglio di Fausto Bertinotti ma anche la sua ricerca di una linea di equità politica prima ancora che etica, capace di coinvolgere anche l’opinione pubblica al movimento della pace. Nessuno in Egitto sospetta che il presidente della Camera sia andato a Ramallah a lisciare il pelo ai radicali di Hamas. I paletti posti da Bertinotti al governo palestinese di unità nazionale sono univoci. Il Muro non si salta con la violenza ma si abbatte con la conquista delle menti e dei cuori degli israeliani. Così come non vi è speranza di far avanzare un negoziato senza il reciproco, convinto riconoscimento delle due parti. Alla visione dei due Stati per due popoli non vi è alternativa e Bertinotti è andato a chiarirlo nella tana del «lupo cattivo». E, tuttavia, giustizia vuole che lo sguardo si alzi sopra il pregiudizio e che siano accantonate le battute stantie e, diciamolo con franchezza, un pochino indisponenti di chi respinge le argomentazioni dell’altro perchè false e menzognere per definizione. C’è oggi a Gaza e oltre disperazione e sgomento. Bertinotti se ne è fatto portavoce così come ha riconosciuto specularmente la legittima pretesa di Israele di garantire massima sicurezza al territorio di Israele e agli israeliani. In Egitto questa posizione è stata perfettamente capita e apprezzata. Antonio Badini