"IL DENARO"

26.10.2000

 

CONFERENZA EUROMEDITERRANEA. 1

Mare Nostrum: la pace affondata

Riuniti ad Amman politici, intellettuali, economisti, religiosi e giornalisti di vari Paesi euromediterranei per commemorare re Hussein di Giordania in un momento drammatico per il Medio Oriente.

Si è svolta il 10 e 11 ottobre la Conferenza euromediterranea "Il ruolo delle diversità culturali all’alba del terzo millennio", organizzata dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo, in collaborazione con l’Accademia del Mediterraneo, il Ministero degli Affari Esteri italiano, il Jordan Institute of Diplomacy di Amman e con il sostegno della Commissione europea.

La Conferenza è parte sostanziale degli eventi culturali programmati per il 2000 e deliberati dai ministri degli Affari Esteri dei 27 Paesi euromediterranei, riunitisi a Stoccarda nell’aprile 1999, al fine di commemorare re Hussein bin Talal di Giordania ed il suo ruolo essenziale nel processo di pace.

Sei le sessioni di lavoro, concluse da un concerto eseguito dall’"Orchestra della Pace", appositamente costituita per l’occasione dal CIMS (Centro iniziative musicali siciliane) e composta da 40 musicisti provenienti dai vari Paesi euromediterranei.

Tra i partecipanti alla Conferenza il principe Hassan bin Talal di Giordania, la principessa Basma bint Talal, il ministro degli Affari esteri italiano Dini, i rettori delle Università di Parigi, Bologna, Madrid, Amman, Marrakech, il delegato della Commissione europea, gli ambasciatori dei principali Paesi accreditati ad Amman ed i rappresentanti dei governi e delle istituzioni euromediterranee.

In questa occasione è stata istituita la sede dell’Accademia del Mediterraneo di coordinamento per il Medio Oriente.

La conferenza ha assunto un significato particolare in quanto si è svolta nel momento in cui il conflitto tra Israele e Palestina si è acuito coinvolgendo, indirettamente, anche la Giordania.

di Michele Capasso

Amman, sabato 7 ottobre 2000. E’ la quarta volta in poco più di un mese che ritorno nella capitale giordana. La preparazione della Conferenza e del concerto è stata particolarmente complessa. Ho lasciato Amman il 30 settembre con tutti i preparativi completati. Un gelo mi assale quando i ministri giordani degli esteri e dell’interno vogliono oggi annullare l’intero evento in segno di lutto per le vittime palestinesi degli ultimi giorni. Ancora una volta, ancora in Medio Oriente un senso di rabbia e insieme di impotenza mettono a dura prova un lavoro complesso e, al tempo stesso, necessario.

In meno di una settimana tutto è cambiato. Ho vissuto in prima linea l’inizio di questo ennesimo conflitto e, insieme alla pace, sembra qui essere affondata anche la modesta azione che noi volontari della Società civile portiamo avanti. La considerazione per l’attività finora svolta dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo e la partecipazione diretta agli organismi dalla stessa costituiti – quali l’Accademia del Mediterraneo, Euromedcity ed Almamed – di alte Istituzioni giordane hanno convinto alla fine il Governo giordano, proprio per lanciare un segnale forte a favore del processo di pace, a far svolgere comunque la conferenza ed il concerto, anche se quest’ultimo esclusivamente come solenne commemorazione musicale di Re Hussein e con l’obbligo di escludere i rappresentanti di Israele.

La Conferenza di Amman si è quindi svolta in un momento storico particolarmente grave per il Medio Oriente, causato dall’acuirsi delle tensioni tra Israele e Palestina e, in generale, tra Israele ed i Paesi arabi.

Martedì 10 ottobre 2000. Royal Hall del Radisson di Amman. Cerimonia inaugurale. L’"Orchestra della Pace" esegue l’Inno giordano. E’ opinione di molti che sia stata quella una delle migliori esecuzioni. Dopo la lettura dei versetti del Corano, il principe El Hassan bin Talal – fratello di re Hussein e, per molto tempo, reggente di Giordania- chiede a tutti i partecipanti di osservare alcuni minuti di silenzio per le vittime palestinesi. Il ministro Dini, già pronto a leggere il suo intervento, ha un attimo di disagio. Tocca a lui ricostruire la figura di re Hussein e la sua importanza nel costruire la pace. Dini ricorda le parole dette da re Hussein il 23 ottobre 1998 in occasione degli accordi di Way Plantation ed indirizzate agli israeliani ed ai palestinesi: "Noi possiamo essere amici o anche nemici: non abbiamo però, per questo, il diritto di condizionare attraverso azioni irresponsabili il futuro dei nostri figli e quello delle generazioni future. Ci sono state troppe distruzioni, troppi morti ed è tempo che insieme i nostri popoli possano vivere in pace nella terra dei figli di Abramo".

Prima di lui il presidente Prodi, rappresentato dal capo della delegazione della Commissione euopea James Moran, ha sottolineato l’ineluttabilità del processo di pace ed indicato le successive iniziative culturali euromediterranee previste per commemorare re Hussein.

Il principe El Hassan bin Talal, politico di razza ed uomo di cultura, traccia il bilancio dell’insegnamento dello statista e dell’uomo. Ricorda le parole di Shimon Peres che, insieme ad Hussein, condivideva la necessità di fondare la pace su tre azioni: la pace con se stessi, la pace con i propri vicini, la pace con la propria epoca. Ed è proprio in questo equilibrio – sottolinea Hassan – il grande merito di re Hussein che ha saputo conciliare la tradizione con la modernità, sviluppando la pace all’interno del suo popolo – composto in gran parte da tribù beduine e da profughi palestinesi – e quella con i vicini, primi fra tutti gli israeliani.

Devo confessare che in quel momento ho letto negli occhi di Hassan e di altri presenti una forte nostalgia dettata dalla mancanza di re Hussein proprio in questo momento storico. La sorella Basma dice: "Se fosse stato qui non sarebbero accaduti gli scontri di questi giorni". Penso allora alla straordinaria importanza del nostro evento proprio perché, sottolineando la mancanza di re Hussein, viene esaltata la sua importanza di costruttore di pace attraverso una commemorazione che, oggi, significa analizzare una situazione pesante in cui le lacune dell’Occidente sono sempre più gravi e costituiscono la spia di un malessere grave.

Sono seduto vicino ad Hassan mentre parla. Con lui, con il ministro Dini e con il delegato europeo abbiamo a lungo discusso prima dell’inizio della conferenza sulla situazione in Medio Oriente. Molte volte mi guarda per cercare un assenso immediato, una complicità attesa. Alla fine del suo ricordo del fratello scomparso, il principe si scusa per la mancata partecipazione del re Abdullah II alla conferenza, come preannunciato fino all’ultimo: lo stato di allerta permanente ed un colloquio telefonico con Clinton e Moubarak glielo hanno impedito. A suo nome, in maniera solenne, El Hassan bin Talal mi conferisce il più alto riconoscimento del Regno Hascemita di Giordania. Lo ricevo con umiltà a nome di tutti coloro che in questi anni mi hanno accompagnato, con la Fondazione Laboratorio Mediterraneo, in un complesso lavoro che oggi prosegue lanciando, come un messaggio in una bottiglia nell’oceano, l’ennesimo appello per la pace, per far si che il futuro possa essere costruito sul valore delle diversità e delle tradizioni assicurando identità e rispetto reciproco in un mondo globale che rischia di annientarle.

A conclusione della cerimonia consegniamo a Dini e alla memoria di re Hussein il "Premio Mediterraneo di Pace e di Cultura" attribuito dalla Fondazione lo scorso anno.

La conferenza si è poi sviluppata in due giornate ed articolata in sei sessioni di lavoro.

La prima sessione, dedicata a "Cultura e politica insieme per la pace e lo sviluppo" è stata presieduta dal principe Talal bin Mohammud ed ha visto gli interventi di chi scrive, di Claudio Azzolini, Nello Formisano e Jordi Pujol. Da segnalare l’intervento della principessa Basma bint Talal che ha posto l’attenzione sull’importanza dell’interazione culturale per lo sviluppo della pace tra le nazioni. Ricordando il fratello Hussein dice: " E’ impossibile separare la sua vita politica da quella privata. Per questa ragione vogliamo ricostruire la sua eredità spirituale insieme al modello della sua vita e del regno. Oggi, in questo momento, si sente la sua mancanza, proprio perché ha saputo preservare l’orgoglio e la dignità di tutti i giordani. Non ci sono dubbi che l’umanità di re Hussein è stata uno dei motivi più significativi che gli hanno conferito popolarità e successo politico".

La seconda sessione ha avuto come tema "Una pedagogia per la rinascita nazionale".Sono intervenuti Walid Ma’ani, presidente dell’Università di Giordania, Kamel Abu Jaber, presidente del Jordan Institute of Diplomacy e Valeria Piacentini, direttrice del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

L’ intervento di Abu Jaber, in particolare, attraverso un excursus nella storia moderna del proprio paese, ha sviluppato un’analisi del complesso rapporto tra Israele e Palestina, delle tensioni che dilaniano il mondo arabo e della difficile posizione ricoperta dalla Giordania nel tentativo di garantire una pacifica e duratura risoluzione.

Nella terza sessione su "Re Hussein e l’azione per lo sviluppo" si sono confrontati chi scrive, Wasef Azar, ministro per l’Industria ed il Commercio della Giordania, il senatore Subhiyya Ma’ani ed Andreu Claret.

La quarta sessione è dedicata a "Liberazione e valorizzazione delle donne". Sono intervenute Boulouiz Bouchra, consigliere del Ministero delle Comunicazione e delle Tecnologie del Marocco, Caterina Arcidiacono, vice presidente della Fondazione Laboratorio Mediterraneo, Amal Sabbagh, segretaria generale della Commissione Nazionale per le Donne di Giordania.

La quinta sessione, dedicata al " Dialogo tra Culture e Civiltà",ha visto gli interventi di Zeid Rifai, presidente del Senato Giordano, di Mohammed Knidiri, rettore dell’Università Cadi Ayyad di Marrakech, di Manuel Gala, rettore dell’Università di Alcalà de Henares e di Alain Mauger in rappresentanza del rettore dell’Università di Bologna Fabio Roversi Monaco.

La sesta sessione è dedicata a "Il significato della costruzione di un’identità euromediterranea nel contesto della globalizzazione: il ruolo della Società civile e delle città". Sono intervenuti Nadir Mohammed Aziza, segretario generale dell’Accademia del Mediterraneo, Ekmeliddin Ihsanoglu, segretario generale del Centro di ricerca di storia islamica, arte e cultura della Turchia, monsignore Ra’ouf Najjar, Giulio Lamanda, esperto in politiche di internazionalizzazione ed Alfonso Ruffo, direttore de "Il Denaro" che ha proposto la realizzazione di un giornale mediterraneo, ottenendo l’inserimento della sua proposta nelle raccomandazioni finali che saranno presentate alla prossima Conferenza euromediterranea di Marsiglia.

Durante la discussione finale sono intervenuti Antonio Altiero, in rappresentanza del Sindaco di Ercolano Luisa Bossa e Nidal Hadeed sindaco di Amman.

Le conclusioni, riportate in box a parte, sono state tracciate da chi scrive, da Kamel Abu Jaber, dalla principessa Wijdan Ali, vice presidente del Jordan Institute of Diplomacy e da Stefano Jedrkiewicz, Ambasciatore d’Italia in Giordania.

Tre gli eventi collaterali importanti: l’esecuzione del Concerto per la pace (in cui, per la prima volta, è stato eseguito l’Inno del Mediterraneo composto dal maestro Betta ed adottato dall’Accademia), l’istituzione della sede dell’Accademia del Mediterraneo di coordinamento per il Medio Oriente e l’attribuzione del sigillo dell’Università di Giordania alla Fondazione Laboratorio Mediterraneo (alla presenza dei rettori delle Università di Parigi, Madrid, Marrakech, Amman e quale riconoscimento per la costruzione di un’autentica cultura della pace).

Martedì 24 ottobre 2000. Ventiseiesimo giorno di scontri. Diciotto, di questi ventisei giorni, li ho trascorsi tra Giordania, Palestina e Israele. Migliaia di palestinesi rifugiati in Giordania tentano di forzare il ponte di Allenby, frontiera con Israele che ho attraversato più volte negli ultimi tempi. Le vittime ora sono 137 ed i feriti più di quattromila. Arafat forse dichiarerà unilateralmente l’indipendenza della Palestina il 15 novembre. Barak cerca di costituire un governo di unità nazionale con Ariel Sharon, lider del Likud che accese la miccia visitando la spianata delle moschee a Gerusalemme.

Mercoledì 25 ottobre. Shimon Peres mi chiama a telefono dalla Russia dove è in visita annunciando agli amici membri dell’Accademia l’intenzione di dimettersi da ministro di Israele. Netanyahu si prepara a nuove elezioni. Kinneret, giovane moglie israeliana, si allena in un "Corso di sopravvivenza per le vittime del Terrore Arabo" ed in breve tempo imparerà ad usare le armi e ad uccidere "il nemico".

Dopo un anno di intenso lavoro, dopo estenuanti equilibrismi tra meccanismi burocratici arrugginiti, esigenze della Società civile, contrasti effimeri tra vari Paesi e dopo aver realizzato eventi complessi come la Conferenza di Marrakech, les Assises di Marsiglia e questo ultimo di Amman, tutto sembra spazzato via e le speranze di pace e cooperazione sembrano affondate, o – come ha detto recentemente il ministro degli esteri egiziano Moussa a conclusione della Conferenza dei Paesi Arabi del Cairo – "seppellite per sempre".

Ancora una volta, ancora a noi – uomini e donne della Società civile – il compito di cancellare la parola "per sempre" e disseppellire la pace che, sono sicuro, è sempre lì, a portata di mano.