"Il Denaro"

25 marzo 2000

La società tra conflitti e cooperazione

di Michele Capasso

Ventuno—ventitré marzo 2000. Napoli, Istituto Universitario Orientale, Palazzo Corigliano.

Nell’aula delle Mura Greche si ritorna a parlare di Mediterraneo tra le vestigia lasciate da chi, già 2500 anni fa, viveva il mare come punto di arrivo e punto di partenza. Il Convegno promosso dall’Istituto Universitario Orientale ha visto la presenza di relatori provenienti da vari Paesi e ha permesso di analizzare lo stato del partenariato euromediterraneo iniziato con la Conferenza di Barcellona del dicembre 1995.

Il filo conduttore dei lavori è stato il dibattito intorno alla necessità che il dialogo tra i popoli avvenga attraverso un nuovo equilibrio che non può essere solo politico ma che intorno alla politica possa far crescere, alimentandola, una nuova cultura capace di assumere il ruolo di "Forza" in grado di incidere nei processi della storia, oggi dominati solo dalla politica e dall’economia (spesso, purtroppo, dalla parte peggiore della politica e dell’economia).Questi stimoli teorici sono avvalorati e supportati da alcuni elementi concreti di notevole importanza.

Il primo è la costituzione entro il 2010, nell’area euromediterranea, di un’area di libero scambio: un grande mercato le cui prospettive di sviluppo porranno nuove e stimolanti sfide nella definizione dei modelli di partenariato che imporranno, insieme allo scambio di merci, il radicamento di forti relazioni umane e culturali.

Il secondo è la redigenda "Carta per la Pace e la Stabilità", uno strumento dotato di un grande "potenziale": la possibilità di delineare con esattezza il ruolo della "Soft security", quella "Sicurezza cooperativa" che affida la co-gestione delle tensioni e dei conflitti in atto nell’area mediterranea non solo a strumenti politici e militari ma, anzitutto, al dialogo interculturale che dovrebbe trasformare le differenze da elemento di conflitto in risorsa. Un’Europa, quindi, che vada oltre "Schengen", che sia in grado di conciliare la fermezza alla flessibilità. L’Italia, e in particolare il Mezzogiorno, saranno ancora una volta chiamate all’arduo compito di fungere da ponte tra culture, da spazio di mediazione e confronto. Durante il convegno il sottosegretario agli Esteri Umberto Ranieri ha descritto i tre pilastri definiti dal partenariato euromediterraneo, evidenziando come siano stati ampiamente sviluppati il primo e il secondo (Politica di sicurezza e scambi economici e tecnologici) mentre il terzo (Cultura) è ancora oggi privo degli sviluppi necessari per dare i risultati attesi. Il "Pilastro Cultura" è la base per realizzare tutte le finalità che gli altri due pilastri si propongono di raggiungere o stanno raggiungendo: ciononostante, le istituzioni internazionali sono state carenti nel promuoverne lo sviluppo, privilegiando gli altri due. La storia ha insegnato che la politica senza cultura, intesa come dialogo culturale, è sterile, improduttiva e talvolta nociva: è una politica che non tiene in conto l’essenza del vivere, dell’agire e del mutare della Società. E’ una politica cieca rispetto al mondo e sorda ai bisogni della gente. Il terzo elemento, già evidenziato dalla Conferenza di Stoccarda dell’aprile 1999, è il nuovo ruolo della problematica "Democrazia e Diritti Umani": occorre rivendicare l’universalità dei diritti umani in un mondo globale e promuovere una politica dei diritti oltre lo Stato-Nazione per far si che essa diventi "la politica principale" di nuovi grandi spazi senza frontiere e, quindi, senza "possessi" e senza conflitti. In un periodo in cui l’occhio della politica e dell’opinione pubblica è fermo a guardare l’allargamento ad Est dell’Unione Europea, per tenere viva l’attenzione verso le problematiche del Mediterraneo risulta vitale un coinvolgimento unitario di tutti gli attori del partenariato, in modo particolare quelli responsabili delle azioni nell’ambito della cultura in cui, alla carenza delle istituzioni internazionali nell’attuare le politiche essenziali, fortunatamente, nella realtà storica attuale, vi è stato un compenso attraverso l’attività che ha svolto spontaneamente la Società Civile, con sue iniziative e con proprie organizzazioni esclusivamente civili e del tutto indipendenti dalla politica e dalle politiche. In questo ambito si muove lo sforzo della Fondazione Laboratorio Mediterraneo che, con l’Accademia del Mediterraneo, costituisce oggi lo strumento principale che lega i popoli dell’area euromediterranea attraverso un incontro diretto ed una interrelazione sempre più intensa dei fondamenti della vita sociale, economica e politica. I Paesi che per primi hanno aderito all’Accademia del Mediterraneo sentendo la necessità di questa interrelazione sono quelli della sponda Sud e del Sud—Est: cioè quelli abbandonati, spesso, dalla storia dell’Occidente che li ha considerati come spazi di espansione, di conflitti, di conquista. Solo oggi ci si rende conto che essi fanno parte di una continuità indissolubile: uno "spazio unico" con i Paesi della Nuova Europa, nei suoi limiti attuali e con le future espansioni, che — se unito — potrà sostenere la sfida della globalizzazione. Anche i Paesi interessati da conflitti (Israele, Macedonia, Palestina) hanno riconosciuto all’Accademia del Mediterraneo il ruolo essenziale di "Grande Casa Comune" in cui raccogliere informazioni ed elaborare strumenti di dialogo. Questo lavoro intenso tenta di far conciliare tradizioni, culture, patrimoni storici e ambientali: l’obiettivo è quello di recuperare, potenziare e armonizzare le ricchezze del passato al fine di costruire un nuovo presente sociale, politico, economico e culturale più armonioso, più umano e più giusto. La sfida futura sarà la "gestione delle differenze": esse, da elemento di conflitto, devono essere trasformate in risorsa. Questo compito essenziale è affidato dalle istituzioni internazionali ad aree macroregionali: tra queste le principali sono la Spagna, la Francia e l’Italia (con le Regioni Obiettivo 1 del Mezzogiorno d’Italia). Mentre la Francia e la Spagna, con le rispettive Regioni, sono in piena azione riuscendo ad attuare concretamente progetti, il Mezzogiorno d’Italia langue e non riesce a percepire la sfida importante proposta.

L’Accademia, quale strumento delle politiche di internazionalizzazione culturale, ha prodotto progetti concreti proprio nelle Regioni del Mezzogiorno d’Italia che consentono l’utilizzazione di 1700 miliardi impiegabili da Provincie e Comuni. Queste risorse non saranno utilizzate — questa volta solo per l’inerzia delle Regioni — e sarà definitivamente perduta non solo un’opportunità storica ma la possibilità di dare corpo al ruolo che la storia e la geografia hanno loro assegnato: essere il "centro" culturale, economico e politico del Mediterraneo.