“IL MATTINO”
23 dicembre 2002
di Erri De Luca
Ho un banco da calzolaio alto dieci centimetri, cosparso di arnesi anch’essi in
miniatura: lesine, marcapunti, punzone, tirasuole, pinza per occhielli. È
oggetto di precisione pura del nostro artigianato di presepe, una scuola di
perfezione inesistente altrove. Da noi l’amore per l’imitazione, per la
riproduzione ci ha reso anche falsari, ma sublimi. Da noi e in nessun altro
mercato ha resistito l’artigianato, la bottega gelosa della sua eccellenza.
Si accampano presepi in tutti i continenti con le statuine nostrane,
con i fondali e le architetture immaginarie della natività. Spelonche, rupi e
alloggi dispersi in un paesaggio d’aspro meridione, bestie dappertutto, angeli
aggrappati a un soffitto di stelle: non piove, non nevica sopra il presepe, non
è giorno né notte, è insonnia di un’attesa. Stanno immobili apposta le
statuine. Di che luogo e di che gente esse sono la riproduzione: è cosa
trascurata. Esiste davvero una Betlemme o è solo il nome celebre di un luogo
inventato? Assegnato al recinto delle cose sacre, è stato perciò espulso dalle
carte geografiche? Il presepe non vuole più sapere da che origine proviene, ora
il suo luogo è ovunque. Ma per curiosità soltanto, l’informazione è che
Betlemme esiste e, quello che più conta, è che è esistita allora.
È città minuscola del territorio toccato alla tribù di Giuda, nome che
in ebraico viene dal verbo ringraziare, perché sua madre Lea così volle
chiamare il suo quartogenito: «Questa volta ringrazierò Iod/Dio»
(Genesi/Bereshìt 29,35). Gli uomini di Giuda, giudei nati dalla parola grazie,
diventano titolari del suolo di Gerusalemme attraverso la vicenda epica di
Davide. Lui è il più piccolo della sua casa, pastore solitario di greggi del
padre, tiratore infallibile di frombola, cantautore di strofe tra le rocce
nelle pause del giorno, musicista selvatico che si addestrava così senza
saperlo ai salmi e al dominio regale. La scelta di nominarlo re viene da un
vecchio profeta, Samuele, che gli fa gocciolare sulla chioma l’olio santo,
mentre il respiro di Davide si mescola d’improvviso al vento da Dio.
Da quel respiro viene anche l’impeto di conquistare Gerusalemme e farne
la capitale del regno.
Dal più piccolo dei figli, della piccola città di Betlemme di Giuda è destinato
a venire il messìa, l’unto finale della storia. La provvidenza esclude
volentieri i grandi e le grandezze dai suoi disegni. Betlemme, da Bet Lèhem,
casa di pane, un tempo aveva campi, era un granaio. Nei presepi è rocciosa, un
luogo da capre, ma in basso aveva grano e lunghi mesi estivi di raccolto con
mietitori e falci e pause di mezzogiorno all’ombra di una quercia a consumare
il cibo del ristoro dissetandosi con acqua e aceto. Bet Lèhem, il suo nome
appare per la prima volta negli spostamenti di Giacobbe, quando sua moglie
Rachele, nel travaglio del parto di Beniamino muore ed è sepolta lì. Betlemme è
poi concimata a sangue di neonati quando il terrore di perdere il trono spinge
Erode ad annientare tutta l’infanzia maschile del territorio, per impedire la
profezia dei Magi. Betlemme è spaccata dal grido delle madri per i neonati
scannati in braccio a loro, Betlemme è nome dello strazio atroce di bambini
immolati come agnelli per placare il panico del tiranno. Dov’è questa Betlemme
dietro, dentro i presepi? Betlemme da noi non è più un luogo, è una notte di
veglia senza nuvole e senza luna, rischiarata dallo strascico di ghiaccio di
una cometa e dalle lampadine accese su un albero di Natale nella stessa stanza,
a confondere il sentiero dei Magi che finiscono per portare i loro doni e
pacchettini sotto l’abete. Là proprio doveva nascere il misterioso figlio della
ragazza vergine, non sotto l’albero addobbato, ma nell’altro angolo della
stanza, a Betlemme di Giuda: perché Matteo potesse scrivere ad apertura di
Nuovo Testamento la discendenza che da Abramo digrada fino a Gesù passando per
Davide e per Betlemme. Là doveva nascere e poi traslocare con tutta la baracca
nei presepi del mondo.
Allora l’informazione completa è che i presepi sono tutti in provincia
di Giuda e il fatto che la loro fabbrica sia a Napoli non fa che ribadire
l’evidenza che tra Gerusalemme e la città del Vesuvio c’è un’alleanza antica,
più che scritta, prescritta.