“CORRIERE DELLA SERA”

7 gennaio 2003

 

Non esiste Europa senza Mediterraneo

 

di Predrag Matvejevic’

 

Fra i dieci paesi che, da tempo, bussano alla porta dell’Unione Europea e che oggi si presentato come i primi candidati al suo allargamento, ci sono due isole: Malta e Cipro. La prima è unita ma esigua, la seconda, più grande, è divisa. Questa scelta è più significativa che non paia a prima vista. Due ancore sono state gettate, malgrado tutto, nel nostro mare.

Si può interpretare in vari modi questo gesto. Si tratterebbe, da un lato, della volontà da parte di un’Europa nascente di non dimenticare “la culla dell’Europa”.

Dall’altro lato, si può sospettare un caso di cattiva coscienza: per varie ragioni, forse più economiche e strategiche che culturali e storiche, l’Unione ha guardato in questi ultimi anni quasi esclusivamente all’Europa centrale e orientale.

Il Mare Mediterraneo è diventato uno stretto marittimo, spazio di conflitti continui, canale di vie di petrolio, crocevia storico che non ha saputo trovare un vero dialogo con la storia stessa o con la modernità. L’accettazione di due membri isolani riflette dunque questi fatti, di solito assenti dalle grandi dichiarazioni internazionali.

Il che induce a riesaminare alcuni problemi del Mediterraneo stesso e le nostre esperienze nei suoi confronti. L’immagine che ci offre questo mare non è affatto rassicurante. La sua riva settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa e altrettanto la Riva meridionale rispetto a quella europea. Tanto a Nord quanto a Sud l’insieme del bacino si lega con difficoltà al continente. Non è davvero possibile considerare questo mare come un “insieme” senza tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: Palestina, Balcani, Libano, Cipro, Maghreb, eccetera.

Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono presse al di fuori di esso: ciò genera frustrazioni e talvolta fantasmi. Le coscienze mediterranee si allarmano ma non riescono a organizzarsi e, ancor meno, a diventare efficienti. Le loro esigenze hanno suscitato, nel corso degli ultimi decenni, numerosi piani e programmi che quasi tutti – e anche la famosa Conferenza di Barcellona del 1995 – hanno fallito. Le  nozioni di scambio e di solidarietà, di coesione e di “partenariato” devono essere sottoposte a un esame nuovo e diverso del precedente. La sola paura dell’immigrazione proveniente dalla costa Sud non basta per determinare una politica ragionata.

Il Mediterraneo si presenta come uno Stato di cose, non riesce a diventare un progetto. Questo mare ha affrontato la modernità con ritardo. Non ha conosciuto la laicità lungo tutti i suoi bordi. Per procedere a una analisi di questi fatti, occorre prima di tutto liberarsi da una zavorra ingombrante. Ciascuna delle coste conosce le proprie contraddizioni, che non cessano di riflettersi sul resto del bacino e su altri spazi, talvolta lontani. La realizzazione di una convivenza in seno ai territori multietnici e plurinazionali, lì dove s’incrociano e si mescolano tra loro culture diverse e religioni differenti, conosce sotto i nostri occhi uno smacco crudele.

Non esiste una sola cultura mediterranea, ce ne sono molte in seno a un unico Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime. Il resto è mitologia.

“Elaborare una cultura intermediterranea alternativa”: mettere in atto un progetto del genere, di cui si è spesso parlato, non pare imminente. “Condividere una visione differenziata”: questo sembra meno ambizioso,  senza essere sempre facile da realizzare. Tanto nei porti quanto al largo “le vecchie funi sommerse”, che la poesia si propone di ritrovare e di riannodare, sono spesso state rotte o strappate dall’intolleranza o dall’ignoranza.

Il vasto anfiteatro per molto tempo ha visto sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori sono talvolta noti e prevedibili. In compenso, il suo genio ha saputo in ogni grande epoca raffermare la sua creatività a nessun’altra uguale.

Questa epoca non è grande per il Mediterraneo. Occorre ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità, i significati dei tagli e degli inglobamenti, le relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie. La “patria dei miti” ha sofferto delle mitologie che essa stessa ha generato o che altri hanno nutrito. Questo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si è perpetuata. L’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non si identificano affatto. Una identità dell’essere, amplificandosi, eclissa o respinge un’identità del fare, mal definita. La retrospettiva continua ad avere la meglio sulla prospettiva. Ed è così che lo stesso pensiero rimane prigioniero degli stereotipi.

“Il Mediterraneo esiste al di là del nostro immaginario?” ci si domanda al Sud come al Nord, a Ponente come a Levante. Eppure esistono modi di essere e maniere di vivere comuni o avvicinabili, a dispetto delle scissioni e di conflitti che vive o subisce questa parte del mondo. Non vedo come si può immaginare una vera Europa senza un suo Mediterraneo.