4 giugno 2003
L’Accademia del Mediterraneo conferisce un premio alla memoria di Sarajlić e Bugno
L’Accademia del Mediterraneo - Maison de la Méditerranée organizza un incontro sul tema “Ricordando Sarajevo – Riflessioni dieci anni dopo l’inizio della guerra in ex Jugoslavia” e conferirà il “Premio Mediterraneo – Delfino d’Argento” alla memoria del poeta bosniaco Izet Sarajlić e del giornalista Federico Bugno.
Alla manifestazione in ricordo di Izet Sarajlić
e Federico Bugno partecipa, tra gli altri, Claudio Azzolini, presidente
dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Con l’occasione sarà anche
inaugurata la mostra fotografica “Per non dimenticare” che raccoglie le
immagini di Sarajevo.
di Benedetta de Falco
Dieci anni dopo l’inizio della guerra nella ex
Jugoslavia l’Accademia del Mediterraneo - Maison de la Mèditerranèe, presieduta
da Michele Capasso, onora la vita e l’opera di Izet Sarajlic’ e Federico Bugno, legati entrambi a Sarajevo e
tra i fondatori dell’Accademia, conferendo alla loro memoria il premio
“Mediterraneo - Delfino d’argento“ (motivazioni in pagina). Oggi, alle ore
18,30, nella Sala Vesuvio della Maison (via Depretis
130), la moglie e il figlio di Sarajlic’,Tamara e
Vladimir, e la moglie e il figlio di Bugno, Eleonora e Thomas,
riceveranno il prestigioso riconoscimento nell’ambito di un incontro al quale
partecipano Caternina Arcidiacono, il presidente
dell’Assemblea parlamentare al Consiglio d’Europa, Claudio Azzolini, il
presidente dell’Accademia del Mediterraneo Michele Capasso, lo scrittore
bosniaco Predrag Matvejevic,
Nullo Minissi, l’ambasciatore della Bosnia-Erzegovina
in Italia, il Sindaco di Sarajevo, i Sindaci di “Euromedcity per la pace“. Con
l’occasione sarà anche inaugurata una delle sale dell’Accademia - Sala Sarajevo
-, la mostra “Per non dimenticare“ e saranno lette alcune poesie ed alcuni
brani tratti da “Il libro degli addii“, raccolta di poesie di Sarajlic’ e da “Bajram“ e “Kanita“ di Bugno, entrambi editi dalla Fondazione
Laboratorio Mediterraneo. Di seguito pubblichiamo alcuni brani tratti dalla
lettera che Sarajlic’ inviò a Michele Capasso e Predrag Matvejvic.
***
di Izet Sarajilic’
Carissimi Predrag e Michele, cari amici.
È una grande disgrazia che un poeta debba rivolgersi alla gente con le parole del politico. E la disgrazia è talmente grande da non poter essere più grande.
Nei miei 66 anni — non calcolo i due anni della guerra scorsa passati a Dubrovnik e quei cinque-sei mesi trascorsi in aereo o in viaggio — ho vissuto in Bosnia-Erzegovina. E ora vogliono prendermi anche questo.
Non lo permetto: non soltanto perché desidero trascorrere in Bosnia-Erzegovina anche questa misera parte della vita che resta, ma anche perché in essa voglio morire. Non altrove. Un tempo, come l’eroe di Andrej Platonov, credevo che per l’uomo la cosa più importante fosse non disturbare l’altro nella sua vita. Adesso la penso un po’ diversamente: è ancora più importante fare tutto il possibile perché nessuno possa disturbare la vita degli altri. Nell’arte, nella politica, in tutte le sfere della vita mi è chiaro che viviamo in questa fine secolo (e millennio!) in un mondo di persone di second’ordine. Forse la tragedia bosniaca sarebbe potuta accadere anche al tempo di Sartre, Camus, Picasso, Krleza, Iwaszkiewicz, Nerval, Ehrenburg, Chruscev, Eisenhower, Charles de Gaulle, Willy Brandt, Sandro Pertini, Olof Palme, Nehru, Neruda, Brecht, Heinrich Böll, Alberto Moravia, Arthur Miller, Max Frisch, ma sarebbe stata minore per la dimensione dei crimini.
Le battaglie di Stalingrado e di Normandia, che trainano
la storia in avanti, vengono vinte da generali come Zukov
o Sir Alexandre. Cosa può
aspettarsi il mondo, la Bosnia in un generale come McKenzie,
che invece di difendere i bosniaci — che d’altronde era il suo mandato —
frequenta le case chiuse cetniche dove gli offrono
bambine musulmane per violentarle. Cosa aspettarsi da un Major che, al
contrario di Tito che ha saputo dire "No" anche ad un onnipotente Dzugasvili, non è in grado di dire "No" ad un
comune bandito da strada di Pale.
E cosa è rimasto dei veri ma stanchi intellettuali, dei veri artisti, dei veri
scrittori? Che ne è di loro? (...).
Dal momento che la battaglia per Sarajevo e la Bosnia-Erzegovina non è stata ancora vinta, gli onorati
intellettuali europei e mondiali hanno ancora il tempo di interrogare la
propria coscienza. Se crollasse l’idea della Bosnia nel mondo crollerebbe
l’idea di una morale ed in quel mondo non so se varrebbe più la pena vivere...
È il momento di essere triste, come scrisse il mio fratello di vita Josif Brodskij nella sua poesia
del ’93, che, insieme ad altre cose, mi ha portato non molto tempo fa una
straniera a me cara, con la quale fino a questa guerra aveva vissuto nello stesso
paese, perché non perdessi il contatto con un’epoca che vorrebbero rendere loro
proprietà privata vari pigmei politici, molti dei quali, come modellatori del
futuro ordine mondiale, si aggirano anche a Sarajevo. Sì. È il momento di
essere tristi. Ma oggi forse è una cosa comune, essendosi la gioia ritirata
dalle nostre vite. E’ lo stato normale di un normale uomo di fine secolo, e
forse lo sarà anche per molto tempo del prossimo (...).
La cattiva politica mondiale, oggi senza un punto di riferimento, senza
personalità che siano in grado di trainare l’epoca in avanti, con una vita
spirituale di livello criminosamente basso, con spot televisivi che
probabilmente vengono prodotti in tale quantità con l’intento di ridurre più
gente possibile al livello dei più comuni imbecilli, con il teatro nuovo nel
quale la cosa più importante è l’assenza del teatro, con bosniaci e ceceni il cui martirio si guarda (se ancora si guarda) come
una volta, quando i fiumi fluivano placidi, si guardavano i serial televisivi —
questo è dunque il futuro che da Thomas Mann ai nostri giorni hanno sognato le più grandi menti del
secolo.
I medici sembrano resistere ancora, almeno ancora riescono ad amputare bene una gamba (...). Sembra tuttavia che i generali stranieri vengano da noi esclusivamente per i loro futuri libri di memorie. Solo che a noi non importa delle loro memorie future, a noi importa la pace, ma non quella di Dayton, una pace sul modello svizzero o belga. Per una pace all’irlandese non mi batterei.
Mi è capitato spesso durante la guerra in Bosnia, in seguito a un mio intervento radiofonico, televisivo oppure su un giornale, di essere chiamato addirittura da persone sconosciute che mi hanno detto che le mie parole le avevano fatto piangere. In verità, io non ho mai afferrato la penna o il microfono per strappare le lacrime, ma in questo momento non ho niente neppure contro questo ruolo.
Risvegliare i buoni sentimenti oggi è forse più importante di quanto lo sia mai stato in tutta la storia umana. Non volesse Dio, con tutta la sua gloria, che io fossi Charles Bukowski. Men che meno Brana Crncevic.
Wolfang Borget, Heinrich Böll, Hans Werner Richter, Gunter Grass, Hans Magnus Enzensberger dopo il crollo della Germania hanno fatto di tutto, fornendo elementi per completare l’atto d’accusa contro il nazismo, per restituirle la dignità di patria degli uomini. Mentre Brana Crncevic continua, schiumante di rabbia nazional-sciovinista, a tener discorsi nei quali del criminale Karadzic dice che forse non lo faranno santo, ma che ha un posto assicurato fra i martiri del popolo serbo. Simili discorsi dello scrittore serbo di sicuro non faranno piangere nessuno, e non credo nemmeno che qualcuno, come nel ’92, andrà a farsi ammazzare per il "serbismo" di un istigatore alla guerra che ha il culo al caldo. Tuttavia non sono qui per dare lezioni a nessuno. Sto semplicemente parlando.
Nell’estate del ’94 è capitato che per alcune questioni
letterarie sono praticamente dovuto andare a Monaco per quindici giorni. La
nostra lingua a Marienplatz, nelle cui vicinanze
alloggiavo, era per così dire la lingua madre della più famosa piazza tedesca.
Osservavo quelli che fino a ieri erano i miei compatrioti ed ecco cosa ho
annotato su un mio quaderno ritrovato recentemente in una borsa "Povera
gente, /ma non di Dostoevskij /povera gente /dell’ex
Jugoslavia. /Qui stanno a meraviglia, /soprattutto quando riescono a rinnovare
il Duldung /di altri sei mesi. /Qui stanno a
meraviglia. /Allora perché la sera sono tutti infelici, /tanto infelici /che in
un istante /questa vita qua /la cambierebbero /per una qualunque morte
là".
Forse anche questa poesia trascritta dal mio quaderno di appunti di Monaco farà
piangere qualcuno. Questa volta, lo voglio.
Caro Predrag, caro Michele. Per voi, miei fratelli di vita, una sola parola per quello che avete fatto e che farete per noi bosniaci: grazie.