1 maggio 2004
Centro storico bisogna osare di più con progetti condivisi rispettando la storia
di Leonardo Impegno
Negli anni novanta, il “cuore” di Napoli, il suo centro antico ha rappresentato per la politica del centro sinistra, ma anche per la stessa intera città. La scommessa ed anche il simbolo di un possibile quanto auspicabile aumento.
Basta pensare all’entusiasmo
generato dalle iniziative “Adozione dei monumenti” del 1994 il “Maggio” dei
monumenti” del 1997. iniziative che avevano coinvolto le scuole e i cittadini,
ma soprattutto, avevano ridato speranze al ceto medio napoletano. Ad esempio in
quegli anni la “liberalizzazione” di Piazza Plebiscito ha rappresentato il
simbolo di una città decisa a cambiare pelle. Tutti i segnali di un vicino
prossimo cambiamento del “volto” più degradato della città. Ma così non è
stato.
Quello che resta è il senso
effimero di una politica che ha sì liberato le piazze senza riuscire però,
paradossalmente, a riempirle di qualcosa. E’ sotto gli occhi di tutti il
deprimente “deserto” di Piazza Plebiscito che l’incomprensibile abbandono dei
locali sotto i portici. Così come è evidente il degrado dei quartieri storici
di Napoli, dei i suoi vicoli, dei i suoi palazzi, oltre che del suo tessuto
sociale ed economico. Si tratta, di una vera e propria “implosine” economica e
sociale dei quartieri a cui corrisponde, come da tempo sottolinea anche il
Corriere del Mezzogiorno, un’”esplosione” della violenza e della criminalità
disorganizzata.
Il problema fondamentale è che
non si è costruito un rapporto vero tra cittadini ed istituzioni, è mancata la
compartecipazione e la condivisione di un progetto di recupero di scusso e poi
realizzato insieme ai cittadini. In più, ad aggravare la situazione, c’è stato
anche un movimento d’opinione culturale di ceti medio alti napoletano volto
alla conservazione dell’esistente che ha impedito qualsiasi cambiamento o
trasformazione dei quartieri. Nasce da qui, credo, la popolarità attuale di
idee del passato come la Neanapolis di
pomicino. Da questa incapacità di mettere senza paure “le mani sulla città”, di
osare, di provare a dare una nuova identità alla storia e alle sue pietre. Come
è successo alle grandi metropoli europee, Parigi, Berlino, Barcellona dove si è
investito e creduto ne binomio recupero/innovazione e condivisione/decisione.
E’ mancata, in sostanza, il coraggio e la fermezza delle scelte. Troveremo mai
a Napoli le torri di cristallo del Louvre? Insedieremo mai a Napoli il Senato
dei cittadini, come avviene Berlino, per le trasformazioni urbane?
Oggi purtroppo a Napoli prevale
la cultura dell’imbalsamazione della città, fondata sulla ricostruzione
filologica degli immobili. Inoltre i nostri uffici tecnici deputati al
controllo del ridisegno della città sono aperti al pubblico un solo girono alla
settimana.
Un esempio, invece, d’intervento
compartecipato sul territorio è quello che si sta faticosamente tenendo per
Piazza Bellini. Lo sforzo che deve accumunare-unire cittadini e istituzioni è
quello di evitare che le piazze e le vie del centro diventino ciò che
recentemente la sociologa Caterina Arcidiacono ha definito il “luogo della
rabbia collettiva”. Infatti il Progetto di Riqualificazione è stato discusso
con gli abitanti e i commercianti della piazza. Insieme si elaborerà un
protocollo d’intesa che prevedrà, ad esempio, il recupero di risorse per la
riqualificazione del territorio attraverso la detassazione dell’immondizia. O,
ancora, l’idea di costruire una Cooperativa di giovani abitanti del luogo per
curare il verde della piazza e mantenere le mura greche.
Per questi motivi ho sostenuto
(con poco successo) in consiglio comunale quanto poco efficace fosse un
generico ed “elefantico” Piano Regolatore rispetto a Progetti d’Area mirati e
condivisi con gli abitanti dei quartieri. L’estensione del centro storico
napoletano, rende necessario una differenziazione tra il centro antico e quello
storico. Così come si rende necessario, una maggiore integrazione del Progetto
Urban, Sirena e Recupero Urbano per ottenere risultati significativi.
Rappresenterebbe, senza dubbio, un segnale importante e concreto l’acquisto, da
parte del Comune, di tutti i bassi del centro antico per rivenderli poi ai
cittadini che vogliono iniziare una qualche compatibile e documentata attività
produttiva artigianale. Rappresenterebbe, infine, un segnale vero di rinascita
anche l’idea di coinvolgere i cittadini sulla trasformazione del proprio
quartiere bandendo un concorso di idee e creatività internazionale, con lo
scopo di restituire la visone del bello a chi ha sempre vissuto nel degrado.
Misuriamoci con tutto ciò, altrimenti saremo costretti ad assistere, per molto
tempo ancora, ad una società civile e un ceto politico che continua ad usare un
linguaggio da guerra fredda: sventrameto, deportazione, mani sulla città ecc.
con il risultato di lasciare tutto com’è, stando tutti peggio.