3
ottobre 2004
di Fabrizio Coscia
Torinese, grande conoscitore e amante delle rose, di cui ha realizzato,
nell’Astigiano, la più grande collezione botanica del Piemonte, Piero Amerio è
oggi tra i maggiori esperti in Italia di psicologia di comunità, disciplina che
s’interessa «dei problemi umani e sociali nell’interfaccia tra individuo e
collettività». Il suo ultimo libro, pubblicato da Einaudi, Problemi umani in
comunità di massa. Una psicologia tra clinica e politica - presentato ieri alla
Maison de la Mediterranée in un incontro organizzato dall’Università degli
studi di Napoli Federico II e la Fondazione Laboratorio Mediterraneo, dopo la
partecipazione mattutina di Amerio al Congresso nazionale della Società italiana
di Psicologia della Salute, al Centro Congressi fridericiano di via Partenope -
affronta, in questa prospettiva, alcuni dei problemi e concetti fondamentali
della nostra realtà, quali l’identità personale, la diversificazione
dell’altro, la violenza, la giustizia, la solidarietà e la sicurezza. Professor
Amerio, parole come «comunità» e «massa» rimandano nel linguaggio corrente a
una contraddizione. Come si conciliano? «Nella formula "comunità di
massa" ho unito, un po’ provocatoriamente, due concetti antitetici per far
emergere le contraddizioni emergenti nella condizione umana e sociale del
nostro tempo. La società di massa è una società formata da una folla solitaria,
da tanti individui soli che fanno e consumano le stesse cose. Eppure il
concetto di individuo, che pure è alla base della modernità, contiene in sé
anche l’idea della diversità. È proprio questa diversità che, se fatta emerge
nelle pratiche sociali, forma la comunità. Partendo dal principio che una
convivenza degli esseri umani non può basarsi unicamente sul principio
individualistico, la comunità è possibile laddove prevale il lato sociale della
soggettività e si riesce a dare il giusto valore alla relazione umana in sé. È
vero, oggi dominano la competizione, l’egoismo e il mercato, ma non c’è solo
questo: in Italia esistono milioni di persone impegnate nel volontariato. E non
dobbiamo pensare solo al tipo di volontariato eroico delle due Simone liberate
in Iraq. Ci sono forme di solidarietà anche più spicciole, quotidiane. La gente
s’impegna nel volontariato non necessariamente per andare verso l’altro, ma
anche perché trova una soddisfazione per sé, una base di costruzione della
propria identità e del proprio benessere sociale».
Come scriveva Marcel Mauss, dunque, non c'è solo una morale mercantile?
«Proprio così. Il valore della relazione umana non è un concetto
spiritualistico ma semplicemente un modo di stare nel mondo. Il problema è di
tenerne conto e di utilizzare queste energie per pensare una comunità in cui il
bene comune venga costruito dalla collaborazione e dalla partecipazione
paritaria». Eppure oggi, nello scenario internazionale, la violenza sembra
essere l’unico strumento capace d’imporre all’altro il proprio modello di vita
(economico, politico e religioso). Qual è l’alternativa a questo stato di cose?
«Il terrorismo è un problema che va affrontato facendo appello alla coesione
sociale, andando fino in fondo ai nostri principi democratici, e progettando
proprio quella comunità aperta e pluralistica, che non neghi la diversità
dell’altro, di cui parlo nel mio libro, perché, a dispetto di ciò che pensano
certi politici, una comunità chiusa è una comunità persa».