28 ottobre 2004
di Romano Prodi
Nessuno era soddisfatto. E a ragione. Si poteva capire fin da allora che il macchinoso compromesso faticosamente raggiunto non sarebbe bastato per garantire il funzionamento dell’Europa allargata che per me, come presidente della Commissione, era l’obiettivo primario.
Fu allora, in un clima di
stanchezza e di nervosismo generale, che proposi di convocare una Convenzione
per la revisione dei Trattati: una sorta di assemblea costituente aperta alla
partecipazione del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Un organo
democratico che ponesse fine agli estenuanti e inconcludenti minuetti
diplomatici delle conferenze intergovernative che avevano preceduti i trattati
di Amsterdam e di Nizza.
All’inizio, come spesso è
successo in questi cinque anni, la mia proposta fu accolta con freddezza e se
non con aperto scetticismo. Ma poi, a poco a poco, l’idea si fece stradac e si
impose contro la logica burocratiche delle diplomazie. E un anno dopo, al
vertice di Leken, si arrivò al varo della Commissione presieduta da Giscard
d’Estaing, da Giuliano Amato e da Jean-Luc Dehaene che all’origine del trattato
costituzionale di Roma.
Va detto subito che la nuova
Costituzione rappresenta un passo avanti importante per l’Europa, anche se non
così importante come io avrei sperato e come avevo prefigurato come “Penelope”,
la bozza di proposte presentata dalla Commissione che è servita come base e
come stimolo per il lavoro della Convenzione. Sono almeno cinque i punti
salienti che rappresentano un grosso fattore di qualità.
1) Il fatto
che l’Unione Europea sarà dotata finalmente di una personalità giuridica
internazionale, pari a quella degli stati nazionali. Potrà cioè firmare
trattati e convenzioni ed essere rappresentata negli organismi internazionali.
2) L’integrazione
del testo del Trattato costituzionale della Carta dei diritti, i cui principi
avranno dunque una valore vincolare superiore a quella della legislazione dei
singoli stati membri.
3) La
creazione di un ministro degli esteri, che darà finalmente una voce all’Europa
sulla scena diplomatica mondiale. E la fine della rotazione semestrale delle
presidenze con la nomina di un presidente del Consiglio europeo che resterà in
carica per due anni e mezzo.
4) L’estensione
delle materie su cui si potrà decidere con un voto a maggioranza, e su cui il
Parlamento europeo avrà un potere di codecisione. In questo campo, purtroppo, i
progressi non sono stati sufficienti, specialmente per quanto riguarda i
settori della politica estera e del coordinamento delle politiche economiche.
Ma si è ottenuto il massimo che si poteva. E un passo avanti, sia pure modesto,
è comunque benvenuto. Una maggiore integrazione sarà possibile tra coloro che
lo vorranno con il meccanismo delle cooperazioni rafforzate.
5) La
semplificazione e la riunificazione dei testi giuridici in un testo unico ci
renderà i Trattati finalmente comprensibili anche ai normali cittadini.
Se tutto
questo basta e avanza per considerare la Costituzione come un fatto di grande
importanza per il futuro dell’Europa, tengo a sottolineare almeno due punti,
oltre all’insufficiente estensione del voto a maggioranza, che io consideravo
essenziali e che purtroppo non sono sopravvissuti al tiro incrociato dei
governi nazionali, in particolare di quello britannico.
Il primo
riguarda lo scorporo dal testo del trattato di tutta la parte di regolamento,
che avremmo così in futuro potuto modificare con procedura normale, senza dover
ricorrere ogni volta all’iter complesso e difficile di una revisione
costituzionale.
Il
secondo punto debole del nuovo Trattato costituzionale, e che rischia ora di
diventare motivo di crisi politica, è la possibilità di modificarlo solo
all’unanimità. Qualsiasi costituitone democratica si può modificare con una
maggioranza predefinita.
Nel
progetto “Penelope” noi suggerivamo una maggioranza superqualificata di quattro
quinti degli Stati membri. Questo Trattato, invece, deve essere approvato e può
essere modificato solo all’unanimità. Il che dà a qualsiasi stato membro un
diritto di veto sul futuro degli altri.
Il
problema, come ha sottolineato anche recentemente Mario Monti, rischia
purtroppo di porsi già nei prossimi mesi: basta infatti che uno dei Venticinque
membri dell’Unione non ratifichi il Trattato, e la nuova Costituzione non potrà
entrare in vigore.
E’ una
situazione che io considero inaccettabile. La Costituzione che firmeremo domani
a Roma è il frutto di lavoro di anni che ha coinvolto governi nazionali,
Parlamento europeo, parlamenti nazionali, Commissione e che resterà ora
sottoposto al lavoro di decine di milioni di cittadini. Si scala europea,
questo sarà indubbiamente favorevole. Se qualche Paese, come è possibile,
dovesse prevalere un giudizio negativo, questo non può e non deve distruggere
il diritto degli atri ad andare avanti lungo la strada comunemente accettata.
E’assolutamente
necessario, e in questo concordo pienamente con la proposta di Monti, che chi
sceglierà di dire no alla Costituzione ne tragga le conseguenze e accetti di
farsi da parte per consentire agli altri di andare avanti. L’Unione non è un
impero e non è una prigione, ma il risultato della libera scelta di un futuro
comune. Se qualcuno non vuol considerare questo futuro, deve poterlo fare. Ma
deve anche trarre le conseguenze della propria decisione e uscire dall’Unione
per non costringere tutto gli altri a vivere imprigionati in vecchie regole
ormai superate.