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Intervento di
rete: un obiettivo formativo del master prevedeva la formazione di esperti in
grado di intervenire progettualmente sul sociale per promuovere interventi che
fossero autenticamente forieri di cambiamento all’interno di una comunità. A
tal fine un modulo del master è stato interamente dedicato all’analisi di un
approccio ancora poco noto ed applicato in Italia, relativo al lavoro di
comunità e alla promozione delle risorse: l’approccio “milieu” del
Prof.Guay, dell’Università di Montreal.
Con
il Prof. Guay è stato dunque approfondito l’approccio “milieu”, che si
contraddistingue per l’importanza attribuita alle influenze del contesto
sociale.
L’approccio
“milieu” si caratterizza per il suo forte ancoraggio al territorio e si
alimenta delle specifiche variabili di crescita e di sviluppo di una
determinata comunità.
Sempre
più numerose sono le sperimentazioni del lavoro in ambito sociale incentrate sull’ambiente di vita. Gli
inglesi definiscono tale approccio “community-centered practice”, in
opposizione al modello tradizionale che definiscono “client - centered
practice”: invece di essere destinato ad un singolo individuo l’intervento è
rivolto all’intera comunità locale. Siamo di fronte ad una vera e propria
rivoluzione di paradigma, che implica una totale riconversione della finalità
dei servizi pubblici, tradizionalmente individuata nel servizio individuale fornito ad un singolo utente.
Altra
sostanziale differenza tra l’approccio tradizionale e quello milieu è data dal carattere reattivo
del primo versus il carattere proattivo
del secondo. L’approccio reattivo si sostanzia di servizi individuali
che vengono forniti quando le condizioni sono già notevolmente compromesse e le
risorse d’aiuto presenti nell’ambiente sono ormai esaurite o quanto meno
fortemente inadeguate. In questi casi l’operatore può soltanto reagire “in
extremis” e offrire un intervento intensivo, che spesso si realizza sottraendo
al suo ambiente il soggetto in difficoltà. L’operatore ha la completa
responsabilità della presa in carico, dal momento che non è più possibile far
affidamento sulle risorse naturali: in molti casi le persone più vicine al
soggetto in difficoltà sono, in questi casi, felici (perché sollevate, ormai
esauste) di lasciare ogni cosa nelle mani dell’operatore.
Il
diffondersi di questa pratica reattiva comporta notevoli difficoltà:
·
il sovraffollamento delle strutture pubbliche;
·
un graduale ma irreversibile processo d’adattamento
graduale che trasforma l’originario bisogno affincé si modelli ai servizi
offerti;
·
l’intervento professionale di fatto è offerto fuori
dall’ambiente sociale (si esclude la rete sociale) e isola il soggetto con
comportamenti sintomatici.
L’approccio
proattivo, tipico dell’approccio “milieu” interviene prima che vi sia una
richiesta formale di aiuto, nel momento in cui la condizione sintomatica è
ancora ai suoi esordi e le risorse naturali (aidants naturels) sono disponibili e in grado di collaborare nella
presa in carico. Il luogo di lavoro dell’operatore diventa la comunità, dove
egli si rende visibile ed accessibile per offrire il proprio aiuto. Il target
dell’approccio proattivo non è dunque il singolo utente, ma l’intera rete
sociale. In questo modello succede frequentemente che la persona che necessita
d’aiuto non ne faccia essa stessa richiesta, ma che siano i vicini, la
famiglia, gli amici a entrare in contatto con l’operatore maggiormente inserito
nella comunità.
Il
modello organizzativo alla base dell’approccio milieu è dato dal funzionamento di équpe territoriali. Queste
équipe sono formate non solo dagli operatori, ma anche dai c.d. “case manager”: queste persone, che si
sono sempre molto impegnate nella loro comunità e che pertanto conoscono tutti,
sono parte attiva di ogni équipe, svolgendo uno specifico ruolo di mediazione
tra l’operatore professionale e le reti sociali delle comunità e supportando in
modo costante i soggetti in difficoltà, in collaborazione con gli operatori.
Attraverso
tale modalità si attua una presa in carico congiunta del problema da parte
dell’operatore e della comunità, con un’effettiva condivisione di
responsabilità. Tale condivisione può avvenire attraverso tre modalità:
1.
fornire un supporto quando le persone della rete
sociale non sono più in grado di reggere: RINFORZARE LA RETE INFORMALE D’AIUTO;
2.
riattivare e stabilizzare la rete di supporto sociale
nel momento in cui le risorse di autoaiuto siano scarse o inattive: OFFRIRE UN
AGENTE CATALIZZATORE E COORDINATORE DELLE RISORSE FORMALI ED INFORMALI;
3.
creare legami con la rete sociale qualora essi siano
inesistenti o inadeguati: TALI LEGAMI SI FONDANO SUL PRINCIPIO DI AUTOAIUTO.
Secondo Riessman, che ha proposto l’helper therapy principle, aiutando un altro si può meglio aiutare se stessi.. Si tratta di un ruolo attivo nel quale chi offre aiuto si sente
meno
dipendente, sperimenta un senso di benessere perché ha qualcosa da offrire,
ricevendo anche un riforzo della propria imagine sociale.
In base a tale pricipio si riconoscono competenze di aiutanti alle persone che hanno vissuto
un problema in maniera diretta. Trasformando i soggetti che necessitano d’aiuto
in soggetti che offrono aiuto (“helper-therapy”),
si assiste ad una reale implementazione delle risorse sociali e ad una
possibile ristrutturazione dei servizi sociali. Il principio di autoaiuto si
declina secondo due differenti modalità: 1) l’autoaiuto tra persone che
condividono la stessa difficoltà e 2)i gemellaggi tra persone con problemi e
risorse spontanee in grado di offrire aiuto nelle comunità. L’esperienza di
autoaiuto può condurre alla riappropriazione del proprio ruolo sociale o alla
“padronanza” del proprio destino (ed è questa una forma di empowerment), dal
momento che implica una sensazione di controllo, con la consapevolezza di poter
fronteggiare una situazione critica.
Esistono
numerosi vantaggi connessi all’approccio milieu:
in primo luogo l’approccio proattivo è caratterizzato da una sostanziale
flessibilità, sia per ciò che concerne i tipi di intervento sia per la
tipologia di persone raggiunte. Nel momento in cui gli operatori diventano più
visibili ed accessibili sul territorio, la popolazione tende a rivolgersi loro
su base informale e spesso per tipi di problemi che non corrispondono ai
servizi specifici offerti nei servizi pubblici. Si assiste, dunque, ad una diminuzione della specializzazione a
vantaggio della polivalenza: ma questa polivalenza è il riflesso della
realtà quotidiana delle persone, che vivono i loro problemi con continue
interrelazioni con elementi diversi ed in maniera non dissociabile dalle
proprie condizioni di vita. Con l’approccio milieu
è l’operatore che, reso maggiormente sensibile ai problemi dei propri
utenti (grazie anche ad una conoscenza approfondita delle loro reti
sociali), deve adattare i propri
servizi ai bisogni dell’ambiente ed alle specificità locali.
In
sintesi, con un approccio di tipo proattivo:
·
è un intervento che mira alla prevenzione;
·
il servizio è offerto a persone che non l’hanno
sollecitato;
·
l’obiettivo degli interventi non è l’utente specifico,
ma chi gli sta vicino;
·
la presa in carico è effettuata congiuntamente con i sistemi d’aiuto formali ed informali;
·
i problemi affrontati non necessariamente corrispondono
perfettamente ai servizi offerti (progressivo adattamento dei servizi ai
bisogni esplicitati).
Il
Prof. Guay ha anche sottolineato l’esistenza di numerosi ostacoli che rendono
difficile l’attuazione dell’approccio milieu.
E’ assai arduo realizzare una concreta partneship tra operatori professionali e
risorse informali di autoaiuto: a parte il pericolo di cooptazione e
strumentalizzazione dei sistemi informali di autoaiuto, bisogna fronteggiare
mutamenti radicali nella pratica professionale. La vera condivisione rispettosa
di responsabilità si verifica raramente, dato che gli operatori si sentono
spesso più competenti degli aiutanti naturali e spesso turbano, invece di
sollecitare, l’ecologia sociale della rete in cui intervengono.
Due
principi sono alla base dell’approccio milieu e derivano dall’intersecarsi, con
proficue contaminazioni, della psicologia clinica e quella di comunità:
1.
Superamento della nozione di AIUTO PROFESSIONALE (si
attivano le risorse naturali);
2.
Superamento della nozione di CLIENTE IDENTIFICATO
(l’intervento non è condotto sul singolo, ma sull’intera rete).
L’approccio
milieu permette inoltre di intervenire ad un livello in cui la crisi non si è
ancora cronicizzata e quindi la persona è più motivata all’intervento.
Il rapporto tra tipologia di crisi e motivazione si esplica essenzialmente in questi termini:
1. CRISI alto livello di
motivazione
Il bisogno di
cambiamento è molto alto.
La persona è in uno stato di grande influenzabilità
2.
Motivazione ambivalente:
DISORGANIZZAZIONE DEGRADO
La
persona soffre a causa La persona è in stato di
della
sua situazione, è in uno malessere ma comincia ad
stato di malessere e squilibrio adattarsi alla
situazione
3.
Motivazione assente (cambiamento non volontario):
CRON1CIZZAZIONE
La
persona è rassegnata ha sconforto
e
non spera che la situazione cambi
CRISI RICORRENTI
La
persona non sente più il bisogno di
cambiamento ed è spesso molto
resistente
E’stata anche analizzata la differenza esistente tra il mutuo aiuto
(informale) e l’aiuto professionale. Schematicamente:
MUTUO
AIUTO AIUTO
PROFESSIONALE
Fondato sull’affinità e la Fondato su una somma di
mutualità conoscenze
scientifiche
e
sulla formazione
Clientela
Parenti, amici, oppure Persone
non note e specializzate
soggetti che hanno Eterogeneità
dei soggetti
vissuto gli stessi problemi
Alleviare la sofferenza e ri- Conoscenza
di se stessi, crescita
trovare un buon adattamento. personale,
risoluzione di pro-
Eliminare i sintomi. blemi.
Elim.re i sintomi. Dare
accesso
ai servizi professionali.
Approccio
Implicazione personale Implicazione limitata e
utilizzazione
fondata sulla spontaneità, l’im- di
tecniche fondate su una formaz. provvisazione e il senso comune. spesso
precedute da una Conoscenza basata sulle
esperienze vissute valutazione
Tipi
di problemi
Bisogni primari (amore) Bisogni secondari
(Conoscenza
di
se stesso)
1- sostegno emotivo 1- strategie
sistematiche per
2- paragone sociale la
risoluzione dei problemi
3- osservazione di modelli 2
-distanza e oggettività
4- creazione di legami nuovi di
fronte alle situazione
5- rivelazione di se stesso 3-perizia
fondata sull’esperienza
6- chiarificazione di un problema con
numerosi utenti
7- informazione
8. socializzazione, tempo libero
9. difesa dei diritti
Dopo aver
approfondito la suddetta differenza, il Prof. Guay ci ha illustrato i possibili
ruoli della figura del “case manager.”
I tre ruoli del case
manager potrebbero essere definiti come quelli del “fratello maggiore”,
di agente di collegamento e di professionista.
Persona vicina (fratello maggiore)
Questo ruolo si
attualizza attraverso la funzione centrale di case manager, vale a dire
l’accompagnamento dell’utente nell’apprendimento delle attività necessarie a
un’integrazione alla vita in società. L’atteggiamento di distanza terapeutica è
totalmente inappropriato poiché questa funzione del case manager esige delle
attitudini di autenticità, di spontaneità e di trasparenza, come hanno
dimostrato numerose esperienze di case management. Questo ruolo esige
anche molto dinamismo, iniziativa e pragmatismo che devono essere trasmesse al
cliente impedendo tuttavia lo sviluppo della dipendenza.
Agente di
collegamento
Il ruolo di agente
di collegamento si colloca a due livelli: i servizi pubblici formali e i
sistemi informali di mutuo aiuto nell’ambiente sociale. Questo ruolo esige di
possedere una abilità nello stabilire dei contatti e nel creare reale
collaborazione, così come la capacità di fornire supporto ai familiari e ai
cittadini.
Professionista
Il ruolo del
professionista psico-sociale è abbastanza specifico ed esclude il lavoro
sociale individuale a lungo termine il cui obiettivo sarebbe la riduzione dei
sintomi o un cambiamento della personalità. Nel contesto del case
management esso implica una presenza ed un ascolto durante i momenti
critici in cui l’utente ha bisogno di condividere le sue emozioni negative;
implica anche l’intervento di crisi, cioè l’intervento esplicitamente mirato
alla destabilizzazione di una situazione. Questo ruolo esige che il case
manager sia non solo capace di accogliere le forti emozioni negative
dell’utente ma anche di agire sulle proprie in modo consapevole, poiché esse
costituiscono il suo strumento privilegiato. Dobbiamo imparare, da psicologi,
ad ascoltare ciò che accade dentro di noi (avere il “terzo orecchio”) perché i
nostri sentimenti sono lo strumento migliore per comprendere chi abbiamo di
fronte. Infine i trattamenti familiari a breve termine, con un obiettivo di
rottura costruttiva, sono un’altra competenza richiesta.