Intervento di Fabio Roversi Monaco

Rettore dell’ Università di Bologna

 

 

Autorità, gentili colleghi, signore e signori ,

 

 il mio compito è quello di parlare molto brevemente.  Voglio farlo con poche indicazioni che credo servano a tutti noi professori universitari numerosi qui convenuti e a coloro che da noi dovranno trarre quella scienza ed esperienza che consentirà loro di sapere e di integrare nel tempo, aggiornare nel tempo, il sapere, come ha detto questa mattina molto bene Shimon Pérès.

Voglio ricordare le parole di Edgar Morin, che nel riaffermare la missione transecolare dell’università  rileva che da secoli essa produce, conserva e trasmette cultura. Tre aspetti assolutamente fondamentali, perché esista un’università, per produrre cultura e per trasmetterla, per essere immersi nella società, ma mantenere la propria indipendenza di fronte a qualsiasi autorità religiosa, statale,  nazionale e sovranazionale. Questo ci porta a parlare di due documenti importanti e il caso ha voluto che siano stati firmati entrambi a Bologna. Molti di voi ricorderanno la “Magna Carta dell’Università” che 450 rettori hanno firmato nel medesimo giorno il 18 settembre 1988 per il primo documento scritto in cui vengono rivendicati alcuni privilegi eclissati, alcuni principi per la vita delle università. Nacque come documento destinato alle università europee, ma fu assunto subito dalle altre università dell’America Latina, del Nord America dell’Australia e dell’Africa. Il secondo documento è quello sottoscritto un anno fa, il 19 giugno 1999, sempre a Bologna, da 30 Ministri Europei tutti i Ministri dell’Unione Europea più altri Ministri dei paesi che aspirano ad entrarvi ed in questo documento si cerca di fissare il principio fondamentale, la definizione fondamentale dell’integrazione europea delle istituzioni di alta cultura e sono fissate regole anche puntuali che sono state il prodotto di una lunga discussione nell’ambito della quale molte idee sono venute proprio dal Ministro dell’Università Francese.

Entrambi questi documenti, secondo me, costituiscono il pari, le linee di indicazione fondamentale lungo le quali sviluppare la funzione dell’università nell’ambito dell’Accademia del  Mediterraneo; non soltanto in quell’ambito, ma in questa sede, noi parliamo di una integrazione forte nella necessità di svolgere una missione che va al di là di quella tradizionalmente svolta dalle singole università; diventa la missione di un sistema complesso, con obiettivi molto ambiziosi.

Vedo tre difficoltà importanti da superare:

la prima è la divaricazione tra le discipline cosiddette umanistiche e quelle scientifiche e tecnologiche, che ha costituito un limite fortissimo per lo sviluppo delle università dell’ultimo mezzo secolo, che non è frutto probabilmente della cultura europea ma che la cultura europea ha fortemente subito; un solco che dobbiamo chiudere, un ritardo dell’integrazione fra le discipline che dobbiamo colmare, una macchia sul concetto stesso di Università che non può accettare suddivisioni di questo genere, soprattutto quando esse si trasformano non soltanto in affermazioni di principio ma in modi di gestione delle università e delle loro risorse, in modi di gestione della politica scientifica e culturale di un paese.

Il secondo punto attiene a una certa incapacità a comprendere che per integrare le culture bisogna studiare e capire e che non è possibile tranciare giudizi decisivi o definitivi senza conoscere bene le ragioni culturali e storiche degli altri e questo è un ruolo che l’Accademia del Mediterraneo potrà svolgere con grande efficacia.

            Il terzo punto riguarda un problema comune, io credo, a tutte le università, alle grandi università del mondo: noi diciamo che non siamo torri d’avorio ma che ci integriamo nella società, perché siamo strumento della società, al servizio della società pur nella piena indipendenza dei nostri principi, però credo che sia difficile negare che è in atto in molte università una sorta di sovradattamento, di eccessivo adattamento a quelle che possono essere definite le mode del momento, la università non può in questo rinunciare ad una sua funzione politica, altrimenti viene da pensare che sia giusto quel che un premio Nobel ha detto qualche tempo fa a proposito dell’Università, che qualche volta egli ha l’impressione di trovarsi di fronte a un grande magazzino promiscuo e frenetico; qualche volta io stesso ho questa impressione.

Quindi no al sovradattamento; seguire la società, ma non adeguarsi alle mode per svolgere una funzione critica per la società.

            Questo è il ruolo dell’università e voi capite che in questo rientra a mio parere anche la necessità di valorizzare i linguaggi europei. Noi possiamo capire che la lingua inglese sia la più comoda e per i commerci e per le comunicazioni attraverso internet e per tante altre cose. Se è un arricchimento di quello che noi dobbiamo sapere e seguitare a studiare attraverso la presenza rilevante nelle università del Mediterraneo delle lingue e delle letterature di paesi che sono stati grandi e che semmai attraversano un momento di disadattamento o di incapacità di piena espressione, anche questo, secondo me, è uno degli obiettivi che noi dobbiamo in qualche modo conseguire e attraverso l’integrazione di sistemi universitari e attraverso questa “Session des Universités Méditerranénne” che fa capo all’Accademia del Mediterraneo.

Io credo che molti di questi obiettivi possano essere raggiunti soprattutto operando in questa fase: nell’attività di formazione post-laurea che è quella più importante, che richiede conoscenze di un più alto livello e che è la premessa per poi penetrare integrandosi anche agli altri livelli del sapere.